tabella gennaio/agosto 2003

Tabella della giurisprudenza (gennaio / agosto 2003) della Cassazione Italiana sulla Legge Pinto.
elaborata dall’avv. Maurizio de Stefano

 

 

Tabella della giurisprudenza (gennaio / agosto 2003) della Cassazione Italiana sulla Legge Pinto elaborata dall’avv. Maurizio de Stefano

Anno 2003 numero sentenza

Recenti SENTENZE DELLA CORTE di CASSAZIONE ITALIANA SULLA LEGGE PINTO n.89/2001

3

Cassazione italiana . sezione prima civile - sentenza 03 gennaio    2003, n. 3. Ministero della giustizia C. Mastroianni.Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001. Durata del processo. Non censurabilita’ in cassazione della valutazione motivata della ragionevolezza dei tempi di durata e della quantificazione dei danni.

 

In tema di equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, la valutazione operata dalla Corte d'Appello in ordine alla ragionevolezza dei tempi di durata dello specifico procedimento ed alla effettiva esistenza e quantificazione dei danni lamentati si risolve in un apprezzamento tipicamente di merito, come tale rimesso all'esclusivo giudizio della Corte territoriale e non suscettibile di revisione in sede di legittimità, se non per vizi di motivazione.

 

Il motivo di ricorso per Cassazione con il quale venga denunciato l'errore dell'adita Corte territoriale, consistente nell'avere dato corso al procedimento di equa riparazione, promosso ai sensi della disciplina transitoria di cui all'art. 6 della legge 24 marzo 2001, n. 89, nonostante il difetto della condizione di proponibilità, prevista dalla richiamata disposizione, della preventiva e tempestiva proposizione della domanda dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo, è riconducibile alla previsione dell'art. 360, n. 4, c.p.c., costituendo la denunciata violazione un "error in procedendo"; ne consegue che la S.C. ha il potere-dovere di prendere direttamente in esame gli atti del procedimento onde accertare l'esistenza del lamentato vizio.

 

4

Cassazione italiana . sezione prima civile - sentenza 04 gennaio  2003, n. 4.  Ministero della giustizia C. Frosio

Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001.

 

La domanda di equa riparazione, proposta ai sensi degli artt. 3 e 6 della legge 24 marzo 2001, n. 89 da chi abbia anteriormente presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo, non apre un'ulteriore fase di un unico processo, atteso che la Corte d'Appello è chiamata a pronunciare sull'istanza ad essa presentata, non sul precedente ricorso alla Corte di Strasburgo, l'estraneità all'ordinamento giudiziario italiano dell'autorità inizialmente adita radicalmente ostando alla configurabilità di una "translatio iudicii" in senso proprio. Ne consegue che gli oneri eventualmente assunti dalla parte istante con l'avvalersi di un difensore per il ricorso alla Corte europea non rientrano tra le spese del processo, in ordine alle quali la Corte d'Appello ha il potere-dovere di statuire ai sensi degli artt. 91 c.p.c. e segg., dato che tali norme, dettate con riferimento alle sentenze ed estensibili in via analogica ai decreti camerali muniti di valore decisorio, riguardano le spese del processo davanti al giudice che adotta i relativi provvedimenti; né a diversa conclusione può indurre la circostanza dell'avvenuto inserimento, nella tariffa forense, di un'apposita voce per gli onorari dovuti in caso di assistenza dinanzi alla Corte europea, atteso che la relativa previsione, se implica debenza di tali onorari da parte del cliente che ha conferito il mandato professionale, non interferisce sulla diversa problematica della rivalsa delle spese di causa nel rapporto fra i contendenti, affidata in via esclusiva alla legge processuale.

 

In tema di equa riparazione per il mancato rispetto del termine ragionevole del processo ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, l'interessato ha l'onere di dedurre e dimostrare il pregiudizio subito, non essendo configurabile un danno "in re ipsa", fermo restando che, secondo i principi generali, tale prova può essere data per presunzioni, soprattutto quando si invochi la riparazione del danno non patrimoniale, atteso che preoccupazioni, tensioni e disagi della persona fisica non sono suscettibili di una dimostrazione diretta; ne consegue che - posto che la prova per presunzioni non postula che il fatto ignoto da dimostrare sia l'unico riflesso possibile di un fatto noto, essendo sufficiente la rilevante probabilità del determinarsi dell'uno in dipendenza del verificarsi dell'altro, secondo criteri di regolarità causale ("id quod plerumque accidit") - l'attribuzione di equa riparazione, per danno morale consistente nei menzionati turbamenti psichici, è legittima allorché si correli all'accertamento dell'eccessiva durata della causa ed all'individuazione dell'entità del superamento del termine ragionevole, ed inoltre tenga conto dell'oggetto della contesa e delle posizioni delle parti, e così esprima, quantomeno implicitamente, un convincimento di probabilità del prodursi di quel danno, secondo criteri di normalità causale (quantificandolo poi in misura coerente con i dati considerati).

 

8

Cassazione italiana . sezione prima civile - sentenza 3 gennaio  2003, n. 8.  Pres. del Consiglio dei Ministri C. Vitale

Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001.

 

Ai sensi della l. 24 marzo 2001, n. 89, fonte del diritto all'equa riparazione è il protrarsi della durata del processo oltre il termine che, in rapporto alle caratteristiche specifiche del processo medesimo, appaia ragionevole, indipendentemente dal fatto che ciò sia dipeso da comportamenti colposi di singoli operatori del processo o da fattori organizzativi di ordine generale riconducibili all'attività o all'inerzia dei pubblici poteri deputati a far funzionare il servizio giurisdizionale; ne consegue che il diritto all'equa riparazione è configurabile anche quando il grave ritardo nella definizione dei processi sia causato da disfunzioni generalizzate, riferibili all'intero settore della giustizia o anche a singoli rami di essa o a singoli uffici giurisdizionali, ma pur sempre tali da sfuggire, nell'immediato, alla possibilità di intervento dei singoli operatori coinvolti, loro malgrado, in tali disfunzioni.

 

L’ art. 6 l. 24 marzo 2001, n. 89, consente, entro il termine di sei mesi dall'entrata in vigore di questa, di adire il giudice italiano anche con riferimento a situazioni - esauritesi prima dell'introduzione, nell'ordinamento nazionale, del diritto all'equa riparazione per irragionevole durata del processo - in ordine alle quali sia spirato il termine di decadenza fissato, in via generale e a regime dall'art. 4 della stessa legge, purché il ricorrente si fosse rivolto in precedenza alla corte europea dei diritti dell'uomo per il mancato rispetto del termine ragionevole di cui all'art. ai sensi della citata norma transitoria l'onere di dimostrare di avere preventivamente proposto il ricorso davanti alla corte europea, indicandone la data di presentazione; una volta fornita siffatta prova, l'esistenza di una eventuale già intervenuta pronuncia della predetta corte di Strasburgo sulla ricevibilità del ricorso costituisce circostanza ostativa alla proponibilità dell'istanza innanzi al giudice nazionale, sicché compete all'amministrazione resistente l'onere di eventualmente eccepirla e di dimostrarla.

 

In tema di equa riparazione per il mancato rispetto del termine ragionevole del processo ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, il danno, patrimoniale o non patrimoniale, che si pretende venga indennizzato deve essere di volta in volta accertato e non può considerarsi conseguenza automatica ed indefettibile dell'eccessivo protrarsi del processo; peraltro, quando trattasi di danno non patrimoniale, la sua stessa natura ne rende plausibile sia l'accertamento mediante ricorso a presunzioni ed a fatti notori, sia la liquidazione con valutazione equitativa a norma dell'art. 1226 c.c. (disposizione, questa, richiamata dall'art. 2056 c.c., cui a propria volta fa riferimento l'art. 2 della legge n. 89 del 2001), sempre che - ad evitare che la valutazione discrezionale propria del metodo equitativo non si risolva in una quantificazione arbitraria - il giudice di merito fornisca nella motivazione del decreto, che può assumere anche caratteri di sommarietà, indicazioni sui criteri che lo hanno guidato nel giudicare proporzionata una certa misura del risarcimento.

 

L'art. 4 l. 24 marzo 2001, n. 89, ammette la proponibilità della domanda di equa riparazione anche nella pendenza del processo la cui durata costituisce titolo della domanda stessa, e quindi anche nel corso dello stesso grado di giudizio cui si assume imputabile il mancato rispetto del termine ragionevole, senza che ciò determini, per il giudice di quel processo, l'obbligo di astensione dall'ulteriore trattazione di esso in pendenza della causa di equa riparazione, atteso che questa non è distinta dall'accertamento di una qualche responsabilità del giudice nella conduzione del processo.

 

358

Cassazione italiana . sezione prima civile - sentenza 14 gennaio  2003, n. 358.  Pres. Cons. C. Bonifacio

Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001.

 

In tema di equa riparazione ai sensi della l. 24 marzo 2001, n. 89, accertata la violazione del termine di durata ragionevole del processo, la prova dell'esistenza di un danno morale può essere desunta anche in via presuntiva.

 

Nell'ambito applicativo della I. 24 marzo 2001, n. 89, introdotta nell'ordinamento allo scopo di dotare l'Italia di un rimedio effettivo in caso di mancato rispetto del termine di ragionevole durata del processo, di cui all'art. 6, paragrafo 1, della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, rientrano anche le violazioni conseguenti a scelte, ad inerzie o inefficienze comunque riconducibili all'organizzazione dell' apparato pubblico.

 

 

360

 

Cassazione italiana . sezione prima civile - sentenza 14 gennaio  2003, n. 360.  Pres. Cons. C. Montesano

Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001.

 

Il diritto all'equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo, introdotto dalla l. 24 marzo 2001, n. 89, non può essere acquisito da persona che, al momento dell'entrata in vigore di detta legge, non era più in vita, giacché con la morte viene meno la soggettività giuridica e, di conseguenza, la capacità di assumere la titolarità di situazioni giuridiche; in tal caso, pertanto, il diritto all'indennizzo neppure può essere preteso dall'erede del defunto, non essendo trasmissibile all'erede ciò che non è esistente nel patrimonio del de cuius al momento del suo decesso.  

 

 

362

Cassazione italiana . sezione prima civile - sentenza 14 gennaio  2003, n. 362. Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001Proponibilità  della domanda in pendenza della causa oggetto del ritardo.

La domanda intesa al riconoscimento di un equo indennizzo per la non ragionevole durata del processo e' proponibile anche con riferimento a processi ancora in corso, senza che sia percio' configurabile un dubbio di legittimita' costituzionale della relativa normativa per violazione dei principi di precostituzione del giudice naturale e di imparzialita' (nel presupposto che il giudice del suddetto processo potrebbe essere indotto ad astenersi), giacche' l'eventuale accoglimento della domanda di equo indennizzo contiene in se' esclusivamente l'accertamento che nel caso specifico il sistema giudiziario, complessivamente, considerato, " non e' riuscito a rendere il servizio attribuitogli in tempi ragionevoli, non anche una valutazione circa la legittimita' (civile, penale, disciplinare o contabile) del comportamento del giudice.

 

363

Cassazione italiana . sezione prima civile - sentenza 14 gennaio  2003, n. 363. Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001.  Valutazione dei tempi e della complessita' del caso.

In tema di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo, ai sensi della legge n. 89 del 2001, l'oggetto dell'accertamento e' costituito dal mancato rispetto del termine ragionevole del processo, accertamento il cui percorso e', dalla stessa legge, individuato nella valutazione della complessita' del caso ed, in relazione a questa, del comportamento delle parti e del giudice del procedimento, nonche' di ogni altra autorita' chiamata a concorrervi o, comunque, a contribuire alla sua definizione. E' pertanto, necessario che il giudice, una volta individuato l'intero arco temporale del processo, operi un'analitica selezione tra i segmenti temporali attribuibili alle parti e quelli attribuibili all'operato del giudice, sottraendo i primi alla durata complessiva del procedimento; quanto risulta da tale sottrazione costituisce il tempo complessivo attribuibile al giudice, inteso come "apparato giustizia" (cioe' come complesso organizzato di uomini, mezzi e procedure necessari all'espletamento del servizio), ed in relazione ad esso va emesso il giudizio circa la ragionevolezza o meno della durata. Quanto, poi, alla complessita' del caso, si tratta di un giudizio di merito (il quale, se logicamente e congruamente motivato, sfugge alla censura di legittimita') che attiene, in generale, alla materia ed al tipo di procedura trattata, nonche', in particolare, alla novita' o "serialita'" delle questioni discusse, al numero delle parti e delle domande, alla tipologia (qualitativa e quantitativa) dell'istruttoria espletata, alla presenza di sub procedimenti sommari, ecc. (La S.C. ha cosi' cassato la sentenza che, pur avendo operato la menzionata sottrazione, aveva del tutto omesso di valutare la ragionevolezza o meno del tempo attribuibile al giudice, limitandosi all'assiomatica considerazione che "il termine ragionevole per lo svolgimento del doppio grado di giurisdizione non sembra nella specie essere stato rispettato").

 

521

Cassazione italiana . sezione prima civile - sentenza 15 gennaio  2003, n. 521.  Pres. Cons. C. Soc. gruppo sicurezza.Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001.Durata di un processo amministrativo.

 

La domanda di equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89 e' proponibile anche per l'eccessiva durata del processo instaurato dinanzi al giudice amministrativo, salvo il limite preclusivo, risultante dalla giurisprudenza della Corte europea formatasi sull'art. 6, paragrafo l, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali rappresentato dalla partecipazione attiva del ricorrente all'esercizio della potesta' pubblica.

 

 Ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, il diritto all'equa riparazione per il mancato rispetto del termine ragionevole di cui all'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e' commisurato alla durata del singolo procedimento giurisdizionale, sicche' non e' possibile cumulare il ritardo di piu' procedimenti connessi e contestualmente pendenti dinanzi a giudici diversi, quali il giudice ordinario e il giudice amministrativo.

 

920

Cassazione italiana . sezione prima civile - sentenza 22 gennaio  2003, n.920 . Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001.  Proponibilità  della domanda in pendenza della causa oggetto del ritardo. Durata del processo,  evento di per se' lesivo del diritto della persona alla definizione di un processo a prescindere dalla colpa del giudice.

 Ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, la domanda di equa riparazione per il mancato rispetto del termine di durata ragionevole del processo e' proponibile anche nella pendenza del grado di giudizio cui si addebita detta violazione.

 

L'art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89 prevede, in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, un diritto, non al risarcimento del danno, ma ad un'equa riparazione; ne consegue che il relativo riconoscimento, non richiedendo l'accertamento di un illecito, non presuppone neppure la verifica dell'elemento soggettivo della colpa a carico di un agente, essendo invece ancorato all'accertamento della violazione dell'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, cioe' di un evento di per se' lesivo del diritto della persona alla definizione di un processo in cui essa e' parte in una durata ragionevole.

 

996

Cassazione italiana . sezione prima civile - sentenza 23 gennaio  2003, n. 996. Amendola C. Ministero della giustizia

Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001.

 

In tema di equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, il diritto alla trattazione del processo entro un termine ragionevole è riconosciuto dall'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, specificamente richiamato dall'art. 2 della legge n. 89 del 2001, solo relativamente alle cause "proprie" e, quindi, solo in favore delle "parti"; pertanto la persona offesa dal reato ed il querelante sono legittimati a chiedere l'indennizzo solo se si siano costituiti parte civile nel processo penale, giacché soltanto a seguito di detta costituzione essi assumono la qualità di parte. (Nel caso di specie la corte territoriale - il cui decreto è stato cassato con rinvio dal S.C. - aveva peraltro escluso la legittimazione a richiedere l'equa riparazione, erroneamente ritenendo che il rinvio dell'udienza penale, conseguente alla nullità del decreto di citazione a giudizio dell'imputato, comportasse la caducazione degli effetti della costituzione di parte civile, benché ritualmente avvenuta ai sensi dell'art. 78 c.p.p.).   

 

1069

Cassazione italiana . sezione prima civile - sentenza 24 gennaio  2003, n. 1069. Petrocchi C. Ministero della Giustizia

Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001.

 

Ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, l'equa riparazione viene accordata senza alcun riguardo all'esito del giudizio che ha registrato l'irragionevole durata; pertanto ove la parte invocante l'indennizzo sia addivenuta, nella pendenza di un processo di durata irragionevole (nella specie, in corso da trentaquattro anni), a transigere la controversia, il giudice del merito non può rinvenire in tale vicenda di conclusione alcun ostacolo alla valutazione della domanda né può da detta scelta far discendere l'automatico diniego del ristoro del danno.

 

 

1078

Cassazione italiana . sezione prima civile - sentenza 24 gennaio  2003, n. 1078.  Scacciante C. Ministero della giustizia

Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001.

 

Ove la Corte territoriale, adita dall'invocante l'equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, fondi la propria decisione reiettiva su due distinte ed autonome "rationes decidendi" (nella specie, la durata non eccessiva del processo e la mancanza di prova dei danni lamentati), autonome l'una dall'altra e ciascuna sufficiente, da sola, a sorreggerla, l'impugnazione in sede di legittimità di tale decisione di merito è meritevole di ingresso solo se risulti articolata in uno spettro di censure che investano utilmente tutti gli ordini di ragioni esposte nel decreto della Corte d'Appello, atteso che l'eventuale fondatezza del motivo dedotto con riferimento a una sola parte delle ragioni della decisione non porterebbe alla cassazione del decreto, che rimarrebbe fermo sulla base dell'argomento non censurato.

 

Gli artt. 91 c.p.c. e segg. (in tema di spese giudiziali) hanno pieno ingresso nelle controversie dirette all'equa riparazione per irragionevole durata dei processi.

 

1399

Cassazione italiana . sezione prima civile - sentenza 30 gennaio  2003, n. 1399.  Giusti C. Ministero della giustizia

Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001.

 

L'equa riparazione prevista dall'art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, anche quando riguardi danni non patrimoniali, ha natura (non già sanzionatoria, ma) indennitaria e non rappresenta, quindi, conseguenza automatica dell'eccessivo protrarsi di una causa; detta riparazione, pertanto, può essere accordata solo se venga accertata l'esistenza, in concreto, del pregiudizio lamentato, essendo onere della parte legittimata a chiederne il ristoro dimostrare tale circostanza di fatto, ferma restando l'utilizzabilità, in suo favore, di tutte le risultanze istruttorie, comunque acquisite, e quale che sia la parte ad iniziativa della quale esse sono state prodotte. (Enunciando il principio di cui in massima, la S.C. ha confermato il decreto della Corte territoriale, la quale aveva negato la sussistenza del danno non patrimoniale, osservando che la natura della causa, avente ad oggetto il trasferimento di un box ex art. 2932 c.c., e l'esiguità della "posta in gioco" inducevano ad escludere, in assenza di prove concrete della parte istante o comunque acquisite, che la tardiva definizione del processo avesse arrecato ai ricorrenti, convenuti nel giudizio principale, qualsivoglia perturbamento o fastidio, anche perché costoro erano rimasti per tutta la durata della causa nel godimento dell'immobile).

 

1600

Cassazione italiana . sezione prima civile - sentenza 04 febbraio   2003, n. 1600 Katte Klitsche De La Grange C. Ministero della giustizia. Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001. Durata del processo. Non censurabilita’ in cassazione della valutazione motivata della ragionevolezza dei tempi di durata.

Ai fini del riconoscimento del diritto all'equa riparazione di cui alla legge 24 marzo 2001, n. 89, non esiste nell'ordinamento alcuna regola che permetta di stabilire con precisione numerica, in via generale ed astratta, la ragionevole durata di un processo; ne' tale regola e' desumibile da dati medi ricavati da analisi statistiche, le quali possono concorrere a formare il convincimento del giudicante, ferma pero' restando l'inderogabile necessita', stante l'espresso tenore dell'art. 2 della citata legge, di considerare ogni vicenda nelle sue specifiche caratteristiche, e quindi di tener conto della complessita' del caso e del comportamento in concreto assunto dal giudice, dalle parti e da chiunque altro sia chiamato a contribuire alla definizione del procedimento.


 In tema di equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, la valutazione operata dalla corte d'appello in ordine alla ragionevolezza dei tempi di durata dello specifico procedimento si risolve in un apprezzamento tipicamente di merito, come tale non suscettibile di riesame in sede di legittimita', se non per vizi di motivazione.

 Il decreto con cui la corte d'appello provvede, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, sulla domanda di equa riparazione per mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo puo' essere sorretto da una motivazione soltanto sintetica a, essendo a tal fine sufficiente, che il giudice dia conto dei cri eri in base ai quali ha fondato il proprio convincimento richiamandosi, salvo i casi in cui la durata e' di per se' sola cosi' eloquente da rendere "ictu oculi" superfluo ogni altro rilievo, ai canoni indicati nell'art. 2, comma 2, della legge citata, ossia facendosi carico di valutare la complessita' delle questioni trattate nello specifico processo e il comportamento in esso tenuto dai soggetti menzionati nella predetta disposizione, senza che sia in alcun modo necessario ripercorrere analiticamente tutti i passaggi del processo della cui durata si discute.

 

1653

Cassazione italiana . sezione prima civile - sentenza 04 febbraio   2003, n. 1653 Libertucci C. Pres. Cons.

Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001.

 

In tema di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo ai sensi della l. 24 marzo 2001, n. 89, la competenza territoriale per la trattazione dei ricorsi riguardanti ritardi verificatisi nel corso di giudizi svoltisi dinanzi a giudici diversi da quello ordinario deve essere individuata secondo principi generali con riferimento all'art. 25 c.p.c., il quale nel disciplinare il foro della p.a., prevede, quando essa è convenuta, la Competenza del giudice del luogo in cui è sorta o deve eseguirsi l'obbligazione od in cui si trova la cosa mobile od immobile oggetto della domanda, in applicazione quindi dei criteri previsti dagli art. 20 e 21 c.p.c., sia pure con l'ulteriore specifico riferimento al luogo dove ha sede l'ufficio dell'avvocatura dello stato; ne consegue che, ove il procedimento della cui non ragionevole durata si discute, penda avanti al consiglio di stato, la competenza territoriale spetta alla corte d'appello di Roma, giacché in Roma si è realizzata la fattispecie considerata dalla citata l. n. 89 del 20001 ai fini della richiesta di indennizzo, quivi essendo sorta l'obbligazione così come in Roma deve ritenersi eseguibile l'obbligazione medesima ai sensi dell'art. 1182, ultimo comma, c.c., atteso che riguardando una somma di denaro non determinata, essa è esigibile al domicilio del debitore.

 

I criteri di individuazione della competenza territoriale stabiliti dall'articolo 3, comma 1, della legge n. 89 del 2001 con riferimento all'articolo 11 c.p.p. non possono essere estesi a organi giurisdizionali che, sotto il profilo organizzativo e delle funzioni concretamente esercitate, operino in un ambito che eccede quello distrettuale proprio delle Corti d'appello, sicché i magistrati amministrativi e i magistrati delle Corti supreme non possono essere considerati come «appartenenti al distretto», dovendosi intendere che con tale espressione il legislatore del 1998 abbia inteso riferirsi unicamente ai giudici ordinari che esercitano le funzioni nell'ambito del distretto di Corte d'appello.

 

1740

Cassazione italiana . sezione prima civile - sentenza 06 febbraio   2003, n. 1740 Giordani C. Ministero della giustiziaGiudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001.

 

In tema di equa riparazione per violazione della durata ragionevole di un processo penale, fino a quando l'apertura del procedimento e lo svolgimento delle indagini preliminari rimangano effettivamente segrete non può parlarsi di pendenza del processo, trattandosi di fase assolutamente inidonea ad incidere sulla psiche o sul patrimonio dell'interessato; è pertanto da escludere che la semplice iscrizione della "notitia criminis" nell'apposito registro di cui all'art. 335 c.p.p., con il nome della persona alla quale il reato stesso è attribuito, valga a segnare, in difetto di conoscenza da parte dell'indagato, l'inizio del processo ai fini del computo della ragionevole durata di esso ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89.

 

 

1822

Cassazione italiana . sezione prima civile - sentenza 07 febbraio   2003, n. 1822.  Presidenza del Consiglio dei Ministri C. Rosa Giorgio. Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001.

 

In tema di equa riparazione per la violazione del termine ragionevole del processo ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, con l'allegazione e dimostrazione del protrarsi della controversia oltre il termine mediamente qualificabile come ragionevole, secondo parametri di normalità ed anche alla luce dei criteri in proposito elaborati dalla Corte europea, l'istante offre il titolo della propria richiesta indennitaria; spetta all'aministrazione convenuta di dedurre e provare eventuali peculiarità della vicenda, che siano giustificative di un prolungamento di detto termine, ovvero siano atte ad escludere la riferibilità del ritardo a disfunzioni dell'organizzazione giudiziaria.

 

Nella determinazione dell'indennità di cui alla legge 24 marzo 2001, n. 89 in caso di violazione del termine ragionevole del processo, la valutazione equitativa del giudice, ai sensi dell'art. 1226 c.c. (richiamato dall'art. 2056 c.c., a sua volta reso applicabile dall'art. 2, comma terzo, della legge n. 89 del 2001), è espressione del prudente apprezzamento del giudice, e non richiede altro sostegno argomentativo, oltre ad un logico riferimento, esplicito od implicito, alle circostanze del caso concreto.

 

 

2130

Cassazione italiana . sezione prima civile - sentenza 13 febbraio   2003, n. 2130. Bettoni C. Ministero della giustizia

Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001.

 

All'accertata violazione del termine di ragionevole durata del processo non può conseguire, in difetto di prova di un danno derivatone alla parte, la condanna del Ministero convenuto a dare "adeguate forme di pubblicità della dichiarazione dell'avvenuta violazione", atteso che l'art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89 prevede il ricorso a detto rimedio solo come forma sussidiaria di riparazione del danno non patrimoniale, e quindi richiede sempre l'esistenza di un siffatto danno.

 

 

2140

Cassazione italiana . sezione prima civile - sentenza 13 febbraio   2003, n. 2140 Raia C. Ministero della giustizia

Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001.

 

La norma transitoria di cui all'art. 6 della legge 24 marzo 2001, n. 89 consente, entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge, la riproposizione in Italia della domanda di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo a condizione che il ricorso sia stato già tempestivamente presentato alla Corte europea dei diritti dell'uomo, essendo irrilevante qualsiasi indagine su di una eventuale rimessione in termini da parte della Corte di Strasburgo.

 

Nei giudizi di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89 trova applicazione la disciplina della responsabilità delle parti per le spese processuali e della condanna alle spese in relazione al criterio della soccombenza.

 

2382

Cassazione italiana . sezione prima civile - sentenza 17 febbraio   2003, n. 2382 De Stefano C. Ministero della Giustizia

Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001.

 

In tema di equa riparazione per violazione del termine di durata ragionevole del processo, non ogni "fatto" che accade nel periodo di irragionevole durata del processo e determina danno deve ritenersi causativo, unitamente alla durata del giudizio, del pregiudizio prodottosi, e quindi indennizzabile ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, posto che il danno patrimoniale può essere ricollegato al ritardo nella definizione del processo solo se sia l'effetto immediato di tale ritardo e a condizione che vi si riconnetta sulla base di una normale sequenza causale. Tale nesso di causalità non è configurabile là dove la perdita economica lamentata derivi dalla sopravvenienza di una legge, applicabile anche alle fattispecie "sub iudice", prevedente una liquidazione della pretesa azionata in giudizio meno favorevole per l'interessato. (Nella specie, trattavasi della legge 23 dicembre 1996, n. 662, che, per il risarcimento del danno da perdita della proprietà per accessione invertita, ha previsto un criterio di valutazione parametrato sull'indennizzo da espropriazione legittima, così impedendo l'ulteriore applicazione delle regole di diritto comune), tanto più che non è in radice giuridicamente possibile ricollegare un evento dannoso alla promulgazione di una legge, la quale, essendo espressione della sovranità del Parlamento, e quindi caratterizzata dalla libertà nel fine, può anche incidere negativamente sulle posizioni dei singoli senza per questo essere fonte di un danno indennizzabile.

 

Gli interessi sulla somma liquidata a titolo di equa riparazione per superamento della ragionevole durata del processo ai sensi della l. 24 marzo 2001, n. 89 vanno riconosciuti dal momento della domanda azionata dinanzi alla corte d'appello non già a decorrere dal superamento della ragionevole durata del giudizio.

 

2478

Cassazione italiana . sezione prima civile - sentenza  19 febbraio  2003, n. 2478 Bovino C. Presidenza del Consiglio dei Ministri. Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001.  Durata irragionevole del processo  poi  definito  in via stragiudiziale. Sussistenza del diritto all’equa riparazione .

 

Ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, l'esito del processo, oggetto del ricorso per violazione del termine ragionevole, e' ininfluente ai fini dell'esperibilita' della prevista tutela indennitaria; ne consegue che la violazione del termine ragionevole del processo dinanzi al giudice amministrativo. cui si ricollega, per chi abbia subito un danno patrimoniale o non patrimoniale, il diritto ad un'equa riparazione. e' ipotizzabile anche quando al ritardo si accompagni la definizione in via stragiudiziale della situazione dedotta dinanzi a quel giudice con conseguente declaratoria di inammissibilita', per sopravvenuta carenza di interesse, del proposto ricorso.

 

 

2643

Cassazione italiana . sezione prima civile - sentenza 21 febbraio   2003, n. 2643.  Soc. Pirozzolo M. e C. C. Ministero della Giustizia. Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001.

 

In tema di ragionevole durata del processo (art. 2 della legge n. 89 del 2001), la normativa interna, nel recepire il dettato dell'art. 6, C. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, non fissa, essa stessa, il lasso di tempo massimo superato il quale la durata del processo diviene irragionevole, ma demanda, per converso, all'interprete l'onere di determinarlo desumendolo, giusta disposto dell'art. 2, comma 2, della legge n. 89 del 2001, dalla complessità del caso e dal comportamento del giudice e delle parti, nonché di ogni altra autorità chiamata a concorrervi o comunque a contribuire alla sua definizione, - e cioè valutando, in concreto, la natura delle questioni giuridiche proposte, il numero delle parti in causa, la quantità e complessità degli scritti difensivi depositati in giudizio e delle prove da espletare, la necessità, a fini istruttori, dei rinvii ed il lasso di tempo intercorso fra un rinvio e l'udienza successiva (alla luce del disposto dell'art. 81 disp. att. c.p.c.), le carenze di organico causative dell'eventuale congelamento dei ruoli, l'eventuale tempo di congelamento dei processi a causa della soppressione delle preture, l'eventuale stasi determinata dagli scioperi degli avvocati (da valutarsi nella loro oggettività ed in riferimento alla mancanza, nel vigente ordinamento, di mezzi predisposti dallo Stato per ovviare alla paralisi degli uffici giudicanti a causa di tali, non rari fenomeni) -, il tutto depurato dai ritardi attribuibili alla condotta dilatoria delle parti, da identificarsi sia nell'uso (specie se capzioso) dei mezzi che l'ordinamento pone legittimamente a disposizione delle stesse, sia nell'utilizzo di strumenti che si pongono al di fuori dei normali schemi processuali, pur nell'ottica che né l'art. 6 della Convenzione europea, né la legge n. 89 del 2001 prevedono un obbligo di collaborazione delle parti finalizzato a concorrere ad una rapida definizione dei processi, ricadendo tale incombenza esclusivamente sullo Stato che, se carente, deve in ogni caso rispondere della propria negligente inefficienza.

 

3347

Cassazione italiana . sezione prima civile - sentenza 06 marzo  2003, n. 3347. Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001. Durata di un processo amministrativo . Attenuazione della responsabilita’ dello Stato per l’omessa presentazione della c.d."istanza di prelievo".

 

Ai fini dell'apprezzamento della fondatezza della domanda, proposta a norma degli artt. 2 e 3 della legge 24 marzo 2001, n. 89, di equa riparazione del danno, patrimoniale e non patrimoniale, che possa essere derivato al ricorrente per effetto del ritardo eccedente il termine ragionevole del processo, la mancanza di opportuni impulsi sollecitatori, provenienti dalla parte interessata, tesi ad ottenere una piu' spedita trattazione della causa, del genere della cosiddetta "istanza di prelievo" nel processo amministrativo, non incide sul calcolo dei tempi del processo stesso, nel senso che il difetto di un tale comportamento rileva, non sul piano dell' "an debeatur", ma ai soli fini della liquidazione dell'equa riparazione anzidetta, onde la possibilita' di addivenire alla richiesta di simili anticipazioni (come, in senso piu' largo, ad altre istanze di natura analoga) integra l'ordinaria diligenza processuale ed il relativo, mancato esercizio, a differenza dell'ipotesi in cui mezzi siffatti non risultino previsti dall'ordinamento, esclude che la durata irragionevole del giudizio venga imputata esclusivamente allo Stato.

 

3410

Cassazione italiana . sezione prima civile - sentenza 07 marzo   2003, n.3410  Pres. del Consiglio dei Ministri C. Di Salvo . Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001. Durata  di un processo amministrativo. Diritto all’equa riparazione anche per la parte soccombente, salva l’ipotesi di lite temeraria o di un suo comportamento defatigatorio.

Ai fini dell'equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, il diritto alla ragionevole durata del processo e' riferibile anche al processo amministrativo, quantunque promosso per la tutela di una situazione di interesse legittimo.

 In caso di violazione del termine di durata, ragionevole del processo, il diritto all'equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89 spetta a tutte le parti del processo, attori o convenuti, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti, l'esito favorevole del processo non essendo, di regola, condizione di azionabilita' della pretesa indennitaria, salvi i casi di abuso del processo, configurabile allorquando risulti che il soccombente abbia promosso una lite termeraria o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire, con tattiche processuali di varia natura, il perfezionamento della fattispecie di cui all'art. 2 della citata legge n. 89 del 2001.

 

3973

Cassazione italiana . sezione prima civile - sentenza 18 marzo  2003, n. 3973 Dallapiccola C. Ministero della giustizia

Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001.

 

In caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all'equa riparazione prescinde dalla fondatezza della pretesa azionata nel giudizio; pertanto, anche la parte soccombente in un giudizio civile può dolersi dell'eccessiva durata del processo, purché, per effetto di questa, abbia subito un reale pregiudizio.

 

 

4138

Cassazione italiana . sezione prima civile - sentenza 21 marzo  2003, n. 4138.  Petrelli C. Ministero della giustizia

Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001.

 

Il nocumento rilevante, per il riconoscimento di equa riparazione ai sensi dell'art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, è quello provocato dal prolungarsi del processo oltre il termine ragionevole, indipendentemente dall'esito, e, quindi, non è identificabile con l'oggetto del diritto esercitato in causa, il quale non è in sé pregiudicato da detto prolungamento, e può trovare tutela, ove effettivamente sussista, con la definizione (sia pure tardiva) della causa stessa, o se del caso in separata sede (come nella specie, dato che l'estinzione del reato per prescrizione lascia integro il credito risarcitorio della parte offesa).

 

L'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, in relazione alla cui inosservanza l'art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89 accorda equa riparazione (ove si sia prodotto un danno patrimoniale o non patrimoniale), stabilisce il diritto di ogni persona di ottenere entro un termine ragionevole una pronuncia sui diritti o doveri oggetto di dibattito civile, o sulla fondatezza dell'accusa penale che gli venga mossa. L'eccessiva durata del processo penale può essere dunque foriera di equa riparazione, oltre che per l'imputato sottoposto ad accusa, anche per la persona offesa dal reato, soltanto se ed a partire dal momento in cui quest'ultima abbia inserito nel processo stesso domanda di riconoscimento dei propri diritti di natura civile, con l'iniziativa prescritta dalla legge per l'insorgenza del potere - dovere del giudice penale di statuire su tali diritti, vale a dire con la costituzione di parte civile. L'irragionevole prolungarsi del processo penale, pertanto, può implicare spettanza di equa riparazione, in favore dell'offeso dal reato, solo in relazione al tempo successivo alla sua costituzione come parte civile, mediante atto idoneo a segnare esercizio della domanda di restituzione o risarcimento del danno inerente al reato (risulti poi fondata o meno la domanda medesima), non anche in relazione al periodo in cui tale costituzione manchi, ovvero sia da reputarsi "tamquam non esset", per inosservanza di formalità essenziali o termini perentori, e non possa così determinare la predetta estensione delle attribuzioni giurisdizionali del giudice penale nei rapporti civili derivanti dal reato.

 

Nella determinazione dell'indennità di cui alla legge 24 marzo 2001, n. 89 in caso di violazione del termine ragionevole del processo, la valutazione equitativa del giudice, ai sensi dell'art. 1226 c.c. (richiamato dall'art. 2056 c.c., a sua volta reso applicabile dal terzo comma dell'art. 2 della legge n. 89 del 2001), è espressione di prudente apprezzamento del giudice del merito, e non richiede altro sostegno argomentativo, oltre ad un logico riferimento, esplicito od implicito, alle circostanze del caso concreto.

 

4142

Cassazione italiana . sezione prima civile - sentenza 21 marzo   2003, n.4142 . Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001.  Irrilevanza del comportamento delle parti  successivamente al superamento della soglia del ritardo irragionevole.

In tema di equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, il comportamento della parte che il giudice deve considerare nell'accertare la violazione della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, sotto il profilo del rispetto del termine di durata ragionevole del processo, e' soltanto quello che abbia contribuito con incidenza causale a rendere tale durata irragionevole; ne consegue che, allorquando il processo, pendente in primo grado (nella specie: da oltre otto anni), abbia gia' oltrepassato in concreto il termine di durata ragionevole, la corte territoriale non puo' escludere il domandato indennizzo dando esclusivo rilievo ad un comportamento della parte (consistente nella richiesta di rinvio dell'udienza di discussione dinanzi al collegio) posto in essere successivamente al superamento della predetta soglia.

 

5131

Cassazione italiana . sezione prima civile - sentenza 03 aprile 2003, n. 5131.  Associazione Sportiva Centro Sport più C. Ministero della giustizia. Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001.

 

Ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, l'equa riparazione non costituisce una mera sanzione pecuniaria, multa o pena privata dovuta dall'apparato per il solo fatto oggettivo della violazione del termine di durata ragionevole del processo; affinché scatti l'indennizzo previsto dalla citata legge non basta, pertanto, che il giudizio si sia protratto oltre il termine di ragionevole durata, ma occorre che, per effetto ed in conseguenza di tale eccessiva durata, il soggetto abbia subito un danno, patrimoniale o non patrimoniale, il quale va dimostrato dalla parte legittimata a chiederne il ristoro.

 

Alla accertata violazione del termine di ragionevole durata del processo non può conseguire, in difetto di prova di un danno derivatone alla parte, la condanna del Ministero a dare "adeguate forme di pubblicità della dichiarazione dell'avvenuta violazione", atteso che l'art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89 prevede il ricorso a detto rimedio solo come forma sussidiaria di riparazione del danno non patrimoniale, e quindi richiede sempre l'esistenza di un siffatto danno.

 

6168

Cassazione italiana . sezione prima civile - sentenza 17 aprile 2003, n.6168. Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001.  Onere della prova del danno morale.


 In tema di equa riparazione per il mancato rispetto del termine ragionevole del processo ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, il danno patrimoniale o non patrimoniale che si pretende venga indennizzato deve essere di volta in volta accertato e non puo' considerarsi conseguenza automatica ed indefettibile dell'eccessivo protrarsi del processo; peraltro, quando trattasi di danno non patrimoniale, la sua stessa natura ne rende plausibile sia l'accertamento mediante ricorso a presunzioni, a fatti notori ed a nozioni di comune esperienza, sia la liquidazione con valutazione equitativa a norma dell'art. 1226 cod. civ. (disposizione, questa, richiamata dall'art. 2056 cod. civ., cui a propria volta fa riferimento l'art. 2 della citata legge n. 89 del 2001), a condizione che ne siano allegati gli elementi costituivi e che siano addotte le circostanze di fatto o quelle notorie da cui dedurre presuntivamente la sua esistenza. Detto accertamento involge una valutazione di merito, come tale rimessa al giudizio esclusivo della corte d'appello, la quale tuttavia pur nei limiti di sommarieta' insiti nella natura del decreto e' tenuta a fornire una motivazione non elusiva e non contraddittoria delle ragioni, che l'abbiano indotta ad escludere la sussistenza del danno allegato dalla parte o che, viceversa, l'abbiano convinta dell'esistenza di tale danno, fornendo, in quest'ultimo caso, indicazioni sul procedimento logico attraverso il quale e' pervenuta a giudicare proporzionata una certa misura di risarcimento. (Enunciando il principio di cui in massima, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione impugnata, la quale dopo aver individuato un'eccedenza di durata del processo svoltosi dinanzi alla Corte dei conti per il riconoscimento del diritto alla pensione di guerra di ben oltre venti anni rispetto a quella ritenuta ragionevole ha disatteso la richiesta di riparazione del danno non patrimoniale limitandosi ad argomentare sul fatto che l'interessato non aveva dato alcuna prova dei riflessi negativi del protrarsi dell'attesa di giustizia sulla sua vita di relazione).

In tema di equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, il danno non patrimoniale indennizzabile non si identifica col (e non esaurisce nel) risvolto soggettivo del danno alla vita di relazione, giacche' rilevano, e sono autonomamente indennizzabili, anche gli stati d'ansia, di patimento, di disagio interiore, connessi al protrarsi nel tempo dell'attesa di una decisione vertente su un bene della vita cui il soggetto e' interessato prima ed a prescindere dal loro riflettersi sulla vita di relazione di quest'ultimo

 

6187

Cassazione italiana . sezione prima civile - sentenza 17 aprile   2003, n. 6187. Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001.   La domanda di riparazione si riferisce anche  al grado di giudizio in cui si è verificata la eccessiva durata.

 

 Nella disposizione dell'art. 4 della legge 24 marzo 2002, n. 89 sull'equa riparazione del danno derivante dalla irragionevole durata dei processi, secondo cui la domanda di riparazione puo' essere proposta anche "durante la pendenza del procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata", l'espressione "pendenza del procedimento" non deve essere interpretata nel senso, restrittivo, che essa non sia comprensiva del grado di giudizio in cui si e' manifestato il ritardo, di guisa che resti esclusa la proponibilita' della domanda nel corso di quel grado a causa della violazione, in caso contrario, del principio del giudice naturale (art. 25 Cost.) conseguente alla possibilita', insita nel sistema, di una astensione o ricusazione di quel giudice conseguenti ad un'azione di responsabilita' o ad un procedimento  disciplinare promossi nei confronti del magistrato. Infatti, il promovimento di quella azione o procedimento dipendono da autonomi presupposti, non identificabili nel mero mancato rispetto del termine ragionevole di durata, che invece costituisce condizione sufficiente del sorgere dell'obbligazione indennitaria (e non risarcitoria) dell'Amministrazione avente ad oggetto l'equa riparazione.

 

10902

Cassazione italiana . sezione prima civile - sentenza    10  luglio 2003, n. 10902. Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001.   Competenza territoriale per le cause davanti alla Corte dei Conti centrale.

In tema di equa riparazione per violazione del termine di durata ragionevole del processo, l'art. 3 della legge 24 marzo 2001, n. 89, nel disporre che la domanda di equa riparazione si propone dinanzi alla corte di appello del distretto in cui ha sede il giudice competente ai. sensi. dell'art. 11 del codice di procedura penale, fa riferimento alla sola articolazione territoriale della giurisdizione ordinaria ed il carattere eccezionale della norma né impedisce ogni interpretazione estensiva o applicazione analogica. Ne consegue che nel caso in cui il giudizio del quale si lamenta la non ragionevole durata penda dinanzi alla sezione centrale della Corte dei conti, con sede in Roma (la cui competenza territoriale, del resto, non é limitata nell'ambito di un distretto ma si estende a tutto il territorio nazionale), il giudice competente, va individuato secondo gli ordinari criteri dettati dal codice di procedura civile e, in particolare, essendo convenuta un'amministrazione dello Stato, dall'art. 25 del codice medesimo (nella fattispecie, la Suprema Corte ha dichiarato la competenza della Corte di appello di Roma, osservando che in Roma deve ritenersi sorta l'obbligazione dedotta in giudizio e che con il "forum commissi delicti" concorre il "forum destinatae solutionis", da individuarsi nel luogo della provincia dove é domiciliato il creditore e dove ha sede l'ufficio della tesoreria obbligato al pagamento secondo la legge di contabilità generale dello Stato).

 

11172

Cassazione italiana . sezione prima civile - sentenza    17  luglio 2003, n. 11172. Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001.   Criteri per la liquidazione del danno morale.

 In tema di equa riparazione del danno non patrimoniale per durata irragionevole del processo, é da escludere che, nel giudizio che si svolge dinanzi alla corte territoriale ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, dispieghi efficacia di giudicato riflesso la decisione con cui la Corte di Strasburgo, adita da un altro soggetto, abbia, in un caso dedotto come analogo, riconosciuto la violazione, in relazione ad un diverso processo, dell'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, sotto il profilo della ragionevole durata, ed accertato e quantificato il danno morale in favore della parte istante.

 

La legge 24 marzo 2001, n. 89, nell'escludere la configurabilità di un danno non patrimoniale “in re ipsa”, discendente in modo automatico ed indefettibile dalla violazione del precetto dell'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, e nel richiedere, ai fini di accordare l'equa riparazione, che, per effetto ed in conseguenza di quella violazione, sia derivato all'istante un pregiudizio effettivo, introduce un rimedio in linea con i principi della detta Convenzione, non potendosi ritenere che detta legge somministri una tutela non efficace, o soltanto apparente, solo perché il richiedente non ottenga, di fronte al giudice nazionale, l'indennizzo per non avere assolto, nel caso concreto, agli oneri, posti dal diritto interno, di allegazione e documentazione delle condizioni dell'azione.

 

11231

Cassazione italiana . sezione prima civile - sentenza    18 luglio 2003, n. 11231. Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001.  


   Nel disciplinare l'attività istruttoria in ordine alla produzione degli atti del procedimento in cui si assume essersi verificata la violazione del termine di durata ragionevole, l'art. 4, comma 5, della legge 24 marzo 2001, n. 89 consente alla parte di conseguire detto risultato, nel giudizio di equa riparazione, anche mediante la richiesta o la sollecitazione al giudice del potere di disporne l'acquisizione, fermo restando l'onere della parte di indicare quali fra gli atti e i documenti di detto procedimento debbano essere acquisiti nonché, in conseguenza, di integrare o reiterare la richiesta allorché l'acquisizione sia insufficiente o comunque difforme dal risultato istruttorio divisato.


 Della condizione di proponibilità della domanda di equa riparazione richiesta dall'art. 4 della legge 24 marzo 2001, n. 89 (pendenza del procedimento, nel cui ambito la violazione del termine di durata ragionevole si assume verificata, o mancato decorso del semestre decorrente dalla data in cui la decisione, che conclude il procedimento medesimo, é divenuta definitiva) deve essere data dimostrazione dalla parte istante, ed il giudice, anche in sede di legittimità, deve porsi d'ufficio la relativa questione, verificando che detta prova sia stata fornita, pur in mancanza di eccezioni di controparte al riguardo.


 Ai fini della condizione di proponibilità della domanda di equa riparazione, prevista dall'art. 4 della legge 24 marzo 2001, n. 89, sussiste la pendenza del procedimento, nel cui ambito la violazione del termine di durata ragionevole si assume verificata, allorché sia stata emessa la relativa sentenza di primo grado e non sia ancora, decorso il termine lungo per la proposizione dell'impugnazione.

 

11424

Cassazione italiana . sezione prima civile - sentenza    23  luglio 2003, n. 11424. Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001.   Criteri per valutare il comportamento delle parti.

In base al disposto dell'art. 175 cod. proc. civ., il giudice deve esercitare tutti i poteri intesi al più sollecito e leale svolgimento del procedimento e, perciò, impedire, avvalendosi di essi, comportamenti processuali ed attività istruttorie dilatori e sostanzialmente rivolti a ritardarne la definizione; tuttavia, tale potere di direzione del giudice deve essere contemperato, non solo con il principio dispositivo della domanda e delle prove, ma anche con l'esigenza di assicurare alle parti il rispetto del diritto fondamentale, di rango costituzionale, della difesa e del contraddittorio. Ne consegue che il potere di impulso del giudice non può spingersi sino ad impedire l'esecuzione di attività istruttorie che pur avrebbero potuto essere richieste in tempi meno lunghi ed in modo più appropriato, senza necessità di integrazioni, ovvero a non prendere in considerazione, soprattutto in mancanza di eccezioni di controparte, ulteriori richieste istruttorie dirette a dimostrare punti decisivi della controversia. Da tanto deriva che, ove l'eccessivo protrarsi di un processo civile sia dipeso dalla formulazione di istanze istruttorie incomplete ad opera delle parti e dalla necessità, dalle stesse dedotta, di apportare successivamente precisazioni ed integrazioni in proposito, legittimamente la corte d'appello, investita della domanda di equa riparazione, nell'accertare la violazione del termine di durata ragionevole di quel processo, imputa detta protrazione al "comportamento delle parti", ai sensi dell'art. 2, comma 2, della legge 24 marzo 2001, n. 89, anziché al mancato esercizio del potere di direzione da parte del giudice del processo presupposto.

 

11480

Cassazione italiana . sezione prima civile - sentenza 24 luglio  2003, n. 11480. Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001.  Persona offesa costituitasi parte civile. Esito della vicenda penale. Ritardo nella definizione della causa civile instaurata in sede penale.

Ai fini del sorgere del diritto all'equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89 in favore della persona offesa dal reato costituitasi parte civile nel processo penale, quel che rileva é, non già l'esito della vicenda penale, in sé considerata, ma soltanto l'eventuale ritardo che possa esserne derivato nella definizione della connessa causa civile instaurata in sede penale.

 La liquidazione in favore della persona offesa costituitasi parte civile, in esito al giudizio di primo grado, di una provvisionale, é atto suscettibile di essere modificato o eliminato, di modo che non tocca il diritto della parte civile di conseguire la definizione entro un termine ragionevole della causa da essa instaurata in sede penale, nè correlativamente esclude il dovere dello Stato di assicurare la conclusione di essa nel rispetto di quel termine. Sicché la condanna dell'imputato al pagamento di una provvisionale può ridurre, per la parte civile, le conseguenze negative del ritardo, specie quando la protezione provvisoria corrisponda a quella richiesta con la domanda e poi accordata in via definitiva con la decisione finale, ma non osta, di per sé, alla configurabilità di un pregiudizio morale da violazione del termine di ragionevole durata del processo perché detta provvisionale non é in grado di elidere del tutto l'incertezza e la connessa sofferenza per l'attesa della definizione della lite, potendone tutt'al più diminuire l'intensità in relazione all'aspettativa che la decisione finale possa conformarsi al contenuto del provvedimento provvisoriamente favorevole.

 

11712

Cassazione italiana . sezione prima civile - sentenza    01 agosto 2003, n. 11712. Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001.   Insindacabilità della valutazione della Corte d’appello  circa l’influenza dei rinvii della trattazione di una causa, nel cui ambito si assume essersi verificata la violazione del termine di durata.

 

 In tema di equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, la violazione del diritto alla ragionevole durata del processo non discende, come conseguenza automatica, dall'essere stati disposti, nel corso di un processo civile, rinvii della causa di durata eccedente i quindici giorni al riguardo previsti dall'art. 81 disp. att. cod. proc. civ. Né rileva il fatto che nei provvedimenti di rinvio non sia stata fatta, contrariamente a quanto richiesto da quest'ultima disposizione, menzione alcuna delle speciali circostanze da cui dipende un intervallo maggiore tra le successive udienze, atteso che la mancanza di una tale indicazione costituisce una mera irregolarità processuale, di per sé irrilevante ai fini del rispetto del diritto della parte alla ragionevole durata del giudizio, il quale non si identifica con il diritto ad ottenere rinvii non superiori a quindici giorni, e va comunque considerato in rapporto allo svolgimento complessivo della causa.

 

Costituisce accertamento in fatto, che compete unicamente alla corte d'appello, valutare se e in che misura i rinvii della trattazione di una causa, nel cui ambito si assume essersi verificata la violazione del termine di durata ragionevole, siano stati influenzati da scelte processuali delle parti, e siano quindi ascrivibili al loro comportamento, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2, comma 2, della legge 24 marzo 2001, n. 89; tale accertamento, pertanto, ove specificamente e non contraddittoriamente motivato, si sottrae a censure in sede di legittimità, ove non é consentito procedere ad un esame diretto della documentazione versata in atti e delle risultanze del processo, né rivedere i giudizi di merito al riguardo formulati dalla corte d'appello.

 

11713

Cassazione italiana . sezione prima civile - sentenza   01 agosto  2003, n. 11713. Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001.    Onere del ricorrente di dimostrare di avere preventivamente e tempestivamente proposto il ricorso davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo.

 

 In tema di diritto all'equa riparazione per eccessiva durata dei processi, introdotto nel nostro ordinamento dalla legge 24 marzo 2001, n. 89, chi intenda ottenerne il riconoscimento deve farlo entro i termini fissati dall'art. 4 di tale legge, ossia entro sei mesi da quando é divenuta definitiva la decisione che conclude il processo della cui durata si discute. Il mancato rispetto di questo termine di decadenza implica l'inammissibilità della relativa domanda, senza che, per questo, si configuri una lesione del diritto di tutela del cittadino, tenuto conto che l'esercizio ditale diritto non può che esplicarsi nell'alveo delle regole che per esso l'ordinamento stabilisce.

 

In tema di equa riparazione per la non ragionevole durata del processo, secondo la disciplina transitoria della legge 24 marzo 2001, n. 89, ai fini della sussistenza del presupposto processuale di cui all'art. 6 la parte ha l'onere di dimostrare di avere preventivamente e tempestivamente proposto il ricorso davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo; né il giudice é abilitato a sopperire al mancato assolvimento dell'onere probatorio gravante sulla parte, essendo al riguardo inconferente l'art. 3, comma 5, della stessa legge, il quale, nel dare alle parti la facoltà di richiedere al giudice l'acquisizione di atti e documenti del procedimento in cui si assume essersi verificata la violazione del diritto alla ragionevole durata, non si riferisce in alcun modo agli atti e ai documenti da cui possa desumersi la prova della tempestività del ricorso e dell'esistenza delle altre condizioni prescritte dalla legge per la sua ammissibilità.

 

11715

 Cassazione italiana italiana . sezione prima civile - sentenza    01 agosto 2003, n. 11715. Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001.   Infondatezza o inammissibilità delle questioni di costituzionalità.

 

 Con riguardo a ricorso per cassazione proposto nei confronti dell'Amministrazione, la nullità della notificazione, in quanto eseguita presso l'Avvocatura distrettuale anziché presso l'Avvocatura generale dello Stato, resta sanata dalla costituzione in giudizio dell'Amministrazione medesima rappresentata dall'Avvocatura generale, rendendo superflua la rinnovazione della notificazione.

 

E' manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 24, 97 e 111 Cost., sotto il profilo dell'imparzialità e terzietà del giudice, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89, sollevata sull'assunto che tale disposizione, nella parte in cui stabilisce che la domanda di equa riparazione per irragionevole durata di un processo deve essere proposta dinanzi al distretto della corte d'appello del distretto in cui ha sede il giudice competente ai sensi dell'art. 11 cod. proc. pen. per i procedimenti riguardanti magistrati, affiderebbe il relativo giudizio ad un giudice il quale potrebbe essere prevenuto, o perché egli stesso coinvolto nei ritardi sulle cui conseguenze deve ora provvedere, oppure perché vi sono interessati suoi colleghi o altre persone dipendenti dalla stessa amministrazione della giustizia. Difatti la garanzia del valore costituzionale della imparzialità del giudice é pienamente assicurata, oltre che dagli istituti dell'astensione e della ricusazione, dal fatto che la norma denunciata, proprio al fine di fugare ogni possibile dubbio, impedisce che a provvedere sull'equa riparazione possano essere chiamati magistrati facenti parte del medesimo distretto in cui si é svolto o si sta svolgendo il processo in qui si assume essersi vericata la violazione della ragionevole durata. Né é ragionevolmente sostenibile che il dubbio sull'imparzialità del giudicante investa l'intero ordine giudiziario italiano, sol perché si discute della durata di un processo celebrato in Italia: diversamente opinando, o si dovrebbe ipotizzare l'istituzione di un giudice speciale per le cause di equa riparazione, in evidente contrasto con l'art. 102, secondo comma, Cost., o si dovrebbe rinunciare, in materia, ad ogni forma di tutela giurisdizionale domestica, manifestamente disattendendo gli impegni derivanti dalla stessa Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

 

 La circostanza che, ai sensi dell'art. 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, la Corte europea di Strasburgo possa essere investita con ricorsi presentati direttamente dagli interessati, senza necessità di un patrocinio tecnico e senza che siano previsti particolari oneri per la parte, non implica che anche gli strumenti di tutela giurisdizionale approntati in sede nazionale per la salvaguardia dei corrispondenti diritti debbano essere sottratti alle regole generali del processo italiano, tanto più che la citata Convenzione si limita a disciplinare il processo in ambito europeo, ma non stabilisce alcun obbligo per gli Stati contraenti di armonizzare le disposizioni da ciascuno di essi previste per la trattazione dei processi nazionali. É pertanto manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, 10, 11, 24 e 111 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 2, della legge 24 marzo 2001, n. 89, nella parte in cui non prevede la gratuità del processo di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata e la possibilità che esso si svolga senza difesa tecnica della parte.

 

 In tema di equa riparazione per eccessiva durata dei processi, é manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 4, della legge 24 marzo 2001, n. 89, la dove, nel disciplinare il procedimento che si svolge dinanzi alla corte d'appello, rinvia alle disposizioni degli artt. 737 e ss. cod. proc. civ. in tema di rito camerale, rientrando nella piena ed insindacabile discrezionalità del legislatore la scelta di adottare questo particolare rito, evidentemente considerato più snello e quindi meglio adatto alla maggiore rapidità che il giudizio sull'equa riparazione richiede, in considerazione del suo stesso oggetto. Né può ravvisarsi in ciò violazione alcuna del diritto di difesa e del principio costituzionale del giusto processo, essendo comunque assicurata la possibilità di adire liberamente il giudice, di proporre domande ed eccezioni e di dedurre prove, ed essendo garantiti sia il contraddittorio delle parti sia la terzietà del giudicante.

 

Nel giudizio di cognizione diretto ad ottenere l'equa riparazione per eccessiva durata del processo, é inammissibile, per irrilevanza, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 7, della legge 24 marzo 2001, n. 89, che limita l'erogazione dell'indennizzo agli aventi diritto entro i limiti delle risorse di bilancio annualmente, disponibili, detta norma essendo destinata ad operare soltanto, eventualmente, in fase di esecuzione della pronuncia di condanna dell'amministrazione a corrispondere una determinata somma a titolo di equa riparazione.

 

Ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, la ragionevolezza della durata di un processo é nozione variabile, che non i presta ad un'identificazione quantitativa certa e predefinita; il relativo accertamento si sostanzia in una tipica valutazione di merito, incensurabile in sede di legittimità, salvo che per vizio di motivazione.

 

12541

Cassazione italiana italiana . sezione prima civile - sentenza    27 agosto 2003, n. 12541. Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001. Calcolo dell'eccessiva durata. Gradi e fasi del giudizio. Indivisibilità in segmenti del tempo impiegato nel corso dell'intero giudizio.

Nella determinazione del superamento della ragionevole durata del processo, che discende dall'eccedenza, oltre il termine ragionevole, del tempo intercorso dall'inizio della causa fino al momento della sua conclusione in esito all'ultimo grado od all'ultima fase, ovvero, in ipotesi di pendenza, fino al momento in cui l'interessato assuma l'iniziativa di reclamare,detta riparazione, denunciando la situazione in atto, non é consentito alla parte di formulare distinte domande per il primo ed il secondo grado, né al giudice di scindere l'unica domanda proposta, con riferimento all'intero giudizio, atteso che il diritto all'equa riparazione e la domanda diretta a farlo valere hanno carattere unitario e non sono suscettibili di essere frazionati o segmentati con riferimento ai singoli momenti della vicenda processuale.