Caso Dangeville

Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (Strasburgo) CASO DANGEVILLE  contro FRANCIA . SENTENZA del 16 aprile 2002, ricorso n. 36677/97.  Violazione dell’articolo 1 del Protocollo n.1 della Convenzione (rispetto dei beni) quanto al mancato rimborso dell’IVA versata dal ricorrente allo Stato francese indebitamente, in conseguenza  del mancato adeguamento dello Stato francese ad una  direttiva comunitaria  entro il termine da questa previsto. Danno materiale , pari al valore dell’imposta, liquidato in 21.734,49 Euro,oltre 21.190,41 Euro per spese legali.

 

FRANCIA

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Strasburgo)

CASO S.A. DANGEVILLE contro FRANCIA 

La sentenza così motiva

(traduzione  non ufficiale a cura della dott.ssa Loredana Tassone)

 

SECONDA SEZIONE

Sentenza del 16 aprile 2002

(Sul ricorso n° 36677/97)

Presentato dalla S.A. DANGEVILLE

contro la Francia) 

Sul caso S.A. DANGEVILLE c. Francia,

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (seconda sezione), riunitasi in una camera composta da:

A.B. Baka, presidente, J.-P Costa, Gaukur Jörundsson, L. Loucaides, C. Birsan, M. Ugrekhelidze, A. Mularoni, giudici, e da S. Dolle, cancelliere di sezione.

Dopo averla deliberata in camera di consiglio il 12 settembre 2000 e il 26 marzo 2002, rende la seguente sentenza adottata in quest’ultima data:

PROCEDURA

1.All’origine del caso vi è un ricorso ( n° 36677/97) indirizzato contro la Repubblica francese; una società di questo Stato, la società anonima Dangeville ( “ la ricorrente”), aveva adito la Commissione Europea dei Diritti dell’Uomo ( “la Commissione”) il 6 marzo 1996 in virtù del vecchio articolo 25 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali ( “ la Convenzione”).

2. La ricorrente è rappresentata davanti alla Corte dall’avv. Garreau, avvocato patrocinante al Consiglio di Stato ed alla Corte di Cassazione. Il Governo francese (“ il Governo”) è rappresentato dal suo agente R. Abraham, Direttore delle questioni giuridiche al Ministero degli Affari Esteri.

3.La ricorrente denunciava in particolare che il suo diritto al rispetto dei beni era stato violato e che era stata vittima di una discriminazione.

4.Il ricorso è stato trasmesso alla Corte il 1° novembre 1998, data d’entrata in vigore del Protocollo n° 11 alla Convenzione ( art. 5 §2 del Protocollo n°11).

5.Il ricorso è stato assegnato alla terza sezione della Corte ( art. 52§ 1 del regolamento). In seno alla quale, la camera incaricata di esaminare il caso ( art. 27 §1 della Convenzione) è stata costituita conformemente all’articolo 26 § 1 del regolamento.

6.Con una decisione del 12 settembre 2000, la camera ha dichiarato il ricorso parzialmente ricevibile.

7.Tanto la ricorrente che il Governo hanno presentato delle osservazioni scritte sul merito del caso (articolo 59 §1 del regolamento).

8.Il primo novembre 2001 la Corte ha modificato la composizione delle sue sezioni (articolo 25 §1 del regolamento). Il presente ricorso è stato attribuito alla seconda sezione così ricomposta (articolo 52 § 1).

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DELLA FATTISPECIE

9.L’attività commerciale della ricorrente è stata sottoposta all’imposta sul valore aggiunto (in seguito IVA), in applicazione del codice generale delle imposte nella sua redazione in vigore fino al 31 dicembre 1978. A questo titolo, la ricorrente pagò, sulle sue operazioni del 1978, un’imposta per un ammontare di 292 816 Franchi francesi (FRF).

10. Le disposizioni della sesta direttiva del Consiglio delle Comunità Europee, in data 17 maggio 1977, nel suo articolo 13-B-a « esoneravano le operazioni d’assicurazione e riassicurazione, ivi comprese le prestazioni di servizio afferenti a quelle operazioni effettuate dai mediatori e dagli intermediari di assicurazione». Esse dovevano entrare in vigore dal 1° gennaio 1978.

11.Il 30 giugno 1978, la nona direttiva del Consiglio delle Comunità Europee, in data 26 giugno 1978, fu notificata allo Stato francese. Questa nona direttiva accordava alla Francia un termine supplementare per l’attuazione delle disposizioni dell’articolo 13-B-a della sesta direttiva del 1977, fino al 1° gennaio 1979. Non avendo una tale direttiva effetto retroattivo, la sesta direttiva doveva perlomeno applicarsi dal 1° gennaio al 30 giugno 1978.

12.La ricorrente, fondandosi sul testo della sesta direttiva, chiese la restituzione dell’imposta che ella stimava indebitamente versata per il periodo compreso tra il 1° gennaio ed il 30 giugno 1978, non comportando, la nona direttiva, alcun effetto retroattivo. Ella invocò egualmente la responsabilità dello Stato che, non avendo adeguato il diritto francese alla sesta direttiva entro il termine da questa previsto, aveva commesso una mancanza di natura tale da arrecarle un pregiudizio pari all’ammontare dell’imposta versata. Ella chiese la restituzione dell’ammontare dell’imposta versata o almeno della somma afferente al periodo che va dal 1 gennaio 1978 alla data di entrata in vigore della direttiva.

13.Con sentenza dell’otto luglio 1982, il Tribunale amministrativo di Parigi rigetta le sue domande. Egli rilevò in particolare che risultava dal Trattato delle Comunità Europee che, se le direttive che vincolano gli Stati quanto al risultato da raggiungere, le autorità nazionali restavano le sole competenti per stabilire mezzi appropriati a far loro produrre effetto nel diritto interno, di guisa che una persona sottoposta a giurisdizione non poteva invocare direttamente una direttiva contrariamente ad una disposizione di diritto nazionale.

14.Con sentenza del 10 giugno 1982, il Tribunale amministrativo di Parigi rigettò, per gli stessi motivi, la domanda di restituzione dell’IVA versata per l’anno 1978 presentata dallo studio Revert Badelon, egualmente società anonima di mediazione assicurativa.

15.Parallelamente, una istruzione amministrativa del 2 gennaio 1986 decise che:

« (…) i mediatori d’assicurazione che non hanno sottoposto le loro operazioni all’imposta sul valore aggiunto tra il 1° gennaio ed il 30 giugno 1978 e sono stati oggetto di correzioni per questo fatto, non saranno più chiamati a pagare le somme di cui sono ancora debitori a questo titolo alla data di pubblicazione della seguente istruzione».

16.Con la sentenza del 19 marzo 1986, il Consiglio di Stato rigettò l’appello della ricorrente. Egli ha invocato l’impossibilità per i privati d’invocare le disposizioni di una direttiva europea non ancora trasposta nel diritto interno e dichiarò l’azione di responsabilità irreievibile per non aver posto in essere un’azione preliminare rivolta nei confronti dell’amministrazione fiscale. Egli si espresse essenzialmente come segue:

17. Sulla prima domanda:

« Considerando che risulta che risulta chiaramente dalle disposizioni dell’articolo 189 del Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea, in data 25 marzo 1957, che, se le direttive del Consiglio obbligano gli Stati membri “quanto al risultato da raggiungere” e se, per ottenere il risultato che esse stabiliscono, le autorità nazionali sono tenute a adattare la legislazione degli Stati membri alle direttive che sono destinate loro, queste autorità restano le sole competenti per determinare dei mezzi appropriati per permettere alle direttive di produrre effetto nel diritto interno; che così, quali che siano, d’altronde, le precisazioni che esse contengono sulle intenzioni degli Stati membri, le direttive non possono essere invocate dai cittadini di questi Stati a sostegno di un ricorso relativo ad una controversia fiscale; è certo che le misure idonee a permettere alla sesta direttiva summenzionata di produrre effetto in diritto interno francese non fossero ancora state adottate durante il periodo dell’imposizione controversa; che, in queste condizioni, la detta direttiva che, contrariamente a quello che sostiene la società ricorrente, non costituisce un regolamento ai sensi delle disposizioni del Trattato succitato è, in ogni stato di causa, senza influenza sulle applicazioni delle disposizioni legislative anteriori, in particolare l’articolo 256 del Codice generale delle imposte; (…)»

18.Sulla seconda domanda:

Considerando che il Tribunale non ha statuito sulle conclusioni sussidiarie tendenti ad ottenere un’indennità di

291 816,21 F richiesta dalla società durante il processo; che la sentenza impugnata è dunque viziata di irregolarità su questo punto e deve, in questa misura, essere annullata;

  Considerando che, nelle circostanze della fattispecie, ha luogo evocare e statuire immediatamente sulle conclusioni della domanda sulle quali i primi giudici hanno omesso di pronunciarsi;

 « Considerando che in virtù del combinato disposto dell’articolo R.89 del Codice dei Tribunali amministrativi e dell’articolo 1 del decreto dell’11 gennaio 1965, il Tribunale amministrativo non può essere adito che per via di ricorso contro una sentenza; che la Società Anonima “ Cabinet Jacques Dangeville” non si basa su alcuna decisione che le abbia rifiutato l’indennità di 291 816,91 F che ella sollecita, né parimenti su alcuna domanda all’autorità amministrativa, al fine di ottenerne indennizzo; che così in mancanza di decisione preliminare, le sue conclusioni mirate all’indennità non sono ricevibili; (…)»

 

19.La seconda domanda essendo stata rigettata per motivi procedurali attinenti all’assenza di un’azione preliminare rivolta nei confronti dell’amministrazione fiscale, la ricorrente presentò una nuova domanda in risarcimento, dopo aver rispettato, questa volta, le forme richieste. La ricorrente, indirizzò dunque, il 16 marzo 1987, una domanda di risarcimento al Ministro del Bilancio. La sua domanda si articolava in due punti: da una parte ella invocava la responsabilità per inerzia dello Stato per il fatto della non-trasposizione nel termine previsto dalla sesta direttiva e dell’applicazione di una disposizione del diritto francese divenuta contraria al diritto comunitario; dall’altra parte, ella invocava la responsabilità senz’altro per la rottura dell’eguaglianza sugli oneri pubblici in seguito all’intervento dell’istruzione del 2 gennaio 1986.

 

20. Essendo stata, la domanda, rigettata dal Ministro, la ricorrente adì il Tribunale amministrativo di Parigi, che la respinse con sentenza del 23 maggio 1989.

 

21.Con la sentenza del 1 luglio 1992, la Corte amministrativa d’Appello di Parigi, statuendo in seduta plenaria, annullò parzialmente la sentenza. Ella ritenne il principio di una responsabilità per inadempienza dello Stato e, a titolo di risarcimento del pregiudizio, condannò quest’ultimo a versare alla ricorrente la somma di 129 845 FRF maggiorata degli interessi capitalizzati al tasso legale in vigore, somma pari a quella dell’imposta indebitamente versata.

 

22.La Corte si espresse essenzialmente come segue:

 

<<Sul principio della responsabilità dello Stato:

 

Considerando che risulta dalle disposizioni del Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea, e in particolare dal suo Trattato 5, che lo Stato francese deve adottare tutte le misure idonee ad assicurare l’esecuzione delle obbligazioni che le competono in virtù del suddetto Trattato; che tra queste obbligazioni si trova quella di eliminare le conseguenze illecite di una violazione del diritto comunitario sia direttamente, sia, per omissione, assicurando la riparazione effettiva dei pregiudizi che ne sono derivati; che, in seguito, le circostanze che un contribuente sostenendo di essere tassato sulla base di una disposizione legislativa incompatibile con gli obiettivi di una direttiva comunitaria abbia dapprima investito invano un giudice fiscale circa la imposizione in questione, il quale non ha ammesso la possibilità d’invocare utilmente questa incompatibilità, non sarebbe per essa stessa fare ostacolo a quello che l’interessato sia ammesso a domandare, sul fondamento delle obbligazioni risultanti dal Trattato precitato, il risarcimento del pregiudizio derivante per lui dalla mancata trasposizione nel diritto interno degli obiettivi della direttiva;

 

Considerando che risulta dall’articolo 13-B-a della sesta direttiva del Consiglio delle Comunità Economiche Europee del 17 maggio 1977che le legislazioni degli Stati membri dovevano, a partire del 1 gennaio 1978, esonerare dall’imposta sul valore aggiunto le operazioni di assicurazione e riassicurazione, ivi comprese le prestazioni di servizio afferenti a quelle operazioni effettuate dai mediatori e dagli intermediari d’assicurazione; che se la nona direttiva del 26 giugno 1978, notificata allo Stato francese il 30 giugno 1978, ha differito per la Francia la data limite per la trasposizione della sesta direttiva al 1 gennaio 1979, questa direttiva non ha comportato ai termini dell’interpretazione che è stata resa dalla Corte di Giustizia delle Comunità Economiche Europee, alcun effetto retroattivo; così le disposizioni dell’articolo 256 del Codice generale delle imposte, nella sua redazione anteriore al primo gennaio 1979 e in virtù delle quali essendo assoggettate all’imposta sul valore aggiunto le attività di mediatore in assicurazione della natura di quelle esercitate dalla società Jacques Dangeville, non erano compatibili, per il periodo tra il 1 gennaio e il 30 giugno 1978, con gli obiettivi fissati dalla sesta direttiva; che la società ricorrente perciò ha ragione di sostenere che, contrariamente a quanto ha deciso il tribunale amministrativo, la responsabilità dello Stato si trova implicata in ragione della situazione così creata e di chiedere che lo Stato sia condannato a riparare il pregiudizio a lei derivato dalla situazione illecita risultante dal suo assoggettamento all’imposta sul valore aggiunto a titolo del periodo su indicato;

 

Sul pregiudizio:

 

Considerando che, tenuto conto della modalità di remunerazione dei mediatori in assicurazione, determinata dagli assicuratori in percentuale dei premi versati dalla clientela di questi ultimi, l’imposta sul valore aggiunto versata dalla società Jacques Dangeville non era traslata sulla clientela e non ha dato luogo ad alcuna fatturazione; che così il pregiudizio di cui la società ha diritto di chiedere risarcimento è uguale al montante dell’imposta che ella ha versato per il periodo tra il 1 gennaio e il 30 giugno 1978 e che è pari alla somma di 129 845,86 F.>>

 

23.La Direzione generale delle imposte presentò impugnazione.

 

24.Nella memoria depositata il 23 maggio 1995, la ricorrente presentò i mezzi seguenti:

 

<<(…) nella fattispecie, c’è una rottura dell’uguaglianza tra i contribuenti davanti all’imposta, attraverso l’immissione di misure diverse nei confronti di persone che si trovano nelle medesime situazioni, per il fatto che con una istruzione del 2 gennaio 1986, la D.G.I. ha creduto di poter stimare che i mediatori di assicurazione che non avevano sottoposto le loro operazioni all’IVA tra il 1 gennaio e il 30 giugno 1978 e che sono stati oggetto di correzioni per questo fatto, non sarebbero più chiamati a pagare delle somme di cui erano ancora debitori a questo titolo alla data della pubblicazione della presente istruzione.

 

La rottura dell’uguaglianza sugli oneri pubblici è così particolarmente evidente e per di più ingiusta poiché essa è arrivata a fare una discriminazione tra i debitori dell’IVA in pregiudizio di coloro che sono sottoposti al pagamento dell’imposta e a beneficio di coloro che ne sono esentati.>>

 

25.Con sentenza del 30 ottobre 1996, resa in seduta plenaria dell’Assemblea, il Consiglio di Stato annullò tutte le domande della ricorrente. Decise che ella non aveva la possibilità di ricercare per via di un ricorso in responsabilità di ottenere una riparazione che le era stata rifiutata sul terreno dell’azione fiscale con una sentenza investita di autorità di cosa giudicata, cioè la sentenza del 3 gennaio 1986.

 

26.Il Consiglio di Stato si espresse essenzialmente come segue:

 

<< Considerando che si evince dai documenti del fascicolo sottoposto alla Corte amministrativa d’Appello di Parigi che, con sentenza del 19 marzo 1986, il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale ha rigettato una richiesta della società Anonima Jacques Dangeville che mirava alla restituzione dell’imposta sul valore aggiunto che questa aveva versato a titolo del periodo tra il 1 gennaio e il 30 giugno 1978, per mezzo, particolarmente, che il suo assoggettamento a questa imposta sarebbe derivato dall’applicazione di disposizioni legislative incompatibili con gli obiettivi della sesta direttiva del Consiglio delle Comunità Europee, del 17 maggio 1977, che la richiesta della società anonima Jacques Dangeville sulla quale ha statuito la Corte con la Sentenza impugnata mirava all’ottenimento di “un’indennità” di un ammontare pari a quello dell’imposta sul valore aggiunto così supportata, in riparazione del “pregiudizio” che il suo peso ha costituito per la società, e con il mezzo che questo pregiudizio era imputabile al ritardo portato dallo Stato francese nel trasporre nel suo diritto interno gli obiettivi della direttiva; che, di conseguenza, statuendo che la circostanza per cui la società “ abbia dapprima investito invano un giudice fiscale circa l’imposizione in questione” non facesse ostacolo alla ricevibilità di una domanda di risarcimento che non invocava alcun pregiudizio oltre a quello derivante dal pagamento dell’imposta, La Corte amministrativa d’Appello ha, come sostiene il Ministro del Bilancio, commesso un errore in diritto; che il Ministro del Bilancio è, perciò, tenuto a chiedere che la sentenza impugnata sia annullata in quanto la Corte ha statuito, in parte, sulle conclusioni della richiesta della società anonima Jacques Dangeville; (…)>>.

 

27.Lo stesso giorno, il Consiglio di Stato statuì sull’appello interposto il 23 agosto 1982 dalla S.A. Revert e Badelon contro la sentenza del Tribunale amministrativo di Parigi del 10 giugno 1982. Il Consiglio di Stato effettuò un mutamento giurisprudenziale in rapporto alla posizione assunta nella sua sentenza del 26 febbraio 1986 relativo alla ricorrente: il provvedimento della S.A. Revert e Badelon fu dichiarata ricevibile dal Consiglio di Stato, che stimò che la ricorrente poteva avvalersi delle disposizioni della sesta direttiva e considerò e considerò che l’esonero dall’imposta contestata, che era sprovvista di base legale in ragione della sua contrarietà con le previsioni di questa direttiva, doveva essere accordato per le somme indebitamente versate dal 1 gennaio al 30 giugno 1978.

 

28.Il Commissario del Governo presentò delle conclusioni comuni nel caso della ricorrente e nel caso S.A. Revert e Badelon. Egli indicò l’identità dei fatti e di diritto dei due casi in questi termini:

 

<<(…) [il fascicolo S.A. Revert e Badelon] presenta a giudicare la stessa questione di diritto che voi avete sentenziato il 19 marzo 1986 sul ricorso della società Jacques Dangeville. Il periodo interessato è il medesimo, i testi da applicare sono identici. La società ricorrente, che utilizza lo studio Revert e Badelon, ha un’attività di mediatore di assicurazioni che non si differenzia in niente dalla società Dangeville (…)>>.

 

29.Egli aggiunse quanto segue:

 

<< (…) voi annullerete la sentenza della Corte amministrativa d’Appello di Parigi che ha accolto le conclusioni di indennizzo della società Dangeville. Questa qui non avrà avuto che la sfortuna di vedere il suo reclamo fiscale giudicato troppo presto. Noi siamo coscienti del fatto che la situazione in cui è stata messa possa sembrare ingiusta, ma noi pensiamo che per confermare la sentenza che le da riparazione, bisogna attuare, in rapporto ai principi su cui si fonda il vostro contenzioso, una deroga le cui conseguenze sarebbero eccessive quanto alla stabilità delle situazioni giuridiche create dal giudice. Un solo caso particolare, fondandosi per di più su delle difficoltà transitorie non può giustificare una tale deroga (…)>>.

 

30.Per accogliere la domanda della S.A. Revert Badelon, il Consiglio di Stato si espresse come segue nella sentenza del 30 ottobre 1996:

 

<< Considerando, da una parte che in virtù dell’articolo 1 della sesta direttiva del Consiglio delle Comunità Europee del 17 maggio 1977, gli Stati membri dovevano prendere, al più tardi il 1 gennaio 1978, le misure necessarie in vista di adattare il loro regime di imposte sul valore aggiunto agli obiettivi della direttiva; che se la nona direttiva del Consiglio del 26giugno 1978, notificata alla Francia il 30 giugno 1978, ha autorizzato questa a non attuare la sesta direttiva che il 1 gennaio 1979, questa direttiva non ha comportato ai termini dell’interpretazione che ne ha dato la Corte di Giustizia delle Comunità Europee, alcun effetto retroattivo; che così essa non ha potuto coprire, prima del 30 giugno 1978, la carenza delle autorità francesi a prendere in tempo utile delle disposizioni conformi agli obiettivi   della sesta direttiva;

 

 Considerando, d’altra parte, che gli articoli 256 e 261-4-1° del Codice generale delle imposte, introdotti con la Legge del 6 gennaio 1966 e rimasti in vigore fino alla modifica intervenuta con la Legge del 29 dicembre 1978, in quanto prevedono l’assoggettamento all’imposta sul valore aggiunto per gli affari realizzati dai mediatori di assicurazione, allorché questi non sono remunerati mediante provvigioni o danni fissati da disposizioni legislative o regolamentari, non sono conformi agli obiettivi delle disposizioni del punto a) n.d.r. dell’articolo 13B della sesta direttiva che esonera dalla imposta ogni operazione di assicurazione e di riassicurazione effettuata dai mediatori e dagli intermediari di assicurazione; che ha luogo, perciò, di escludere, in questa misura, l’applicazione di queste disposizioni degli articoli 256 e 261-4-1° durante il periodo che va dal 1 gennaio al 30 giugno 1978; che deriva da ciò che la S.A. studio Revert e Badelon che esercita una attività di mediatore d’assicurazione, ha ragione di sostenere che l’imposta sul valore aggiunto che le è stata richiesta a titolo del periodo che va dal 1 aprile al 30 giugno 1978 in ragione degli affari che essa aveva realizzato, è sprovvista di base legale;

 

Considerando in compenso che per il periodo che va dal 1 luglio al 31 dicembre 1978, la società non aveva ragione per valersi dell’incompatibilità degli articoli 256 e 261-4-1° del Codice generale delle imposte con gli obiettivi delle disposizioni di a) dell’articolo 13 B della sesta direttiva, perciò la fine del termine imposto alla Francia per adattare la sua legislazione a questa direttiva era stata rinviata al 1° gennaio 1979 dalla nona direttiva; che di conseguenza la società ricorrente era stata assoggettata legittimamente a buon diritto alla imposta sul valore aggiunto, per il periodo che va dal 1 luglio al 32 dicembre 1978 su fondamento delle disposizioni rimaste applicabili degli articoli 256 e 261-4-1° del Codice generale delle imposte;

 

Considerando che si evince da quanto precede che la S.A. Studio Revert e Badelon ha solo ragione di ritenere che è a torto che, con la sentenza impugnata, il Tribunale amministrativo di Parigi ha rigettato la sua domanda per il periodo che va dal 1 al 29 febbraio 1978 e dal 1 aprile al 30 giugno 1978; (…)>>.

 

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

 

A. Il diritto comunitario

 

1.In generale

 

31.Sul principio del <<primato dell’ordinamento giuridico comunitario>>, vedere in particolare: Corte giustizia delle Comunità Europee (CGCE), luglio 1964, Costa contro Enel, causa. 6/64 Raccolta 1141 (<<a differenza dei Trattati internazionali ordinari, il Trattato della CEE ha istituito un ordinamento giuridico proprio integrato al sistema giuridico degli Stati membri dal momento dell’entrata in vigore del Trattato e che prevale sulle loro giurisdizioni>>); 20 ottobre 1973, Variola, causa 34/73 Raccolta 981; 9 marzo 1978, Simmenthal, causa 106/77 Raccolta 609.

 

32.<<Il diritto comunitario indipendente dalle legislazioni degli stati membri lo stesso che determina degli in capo ai privati, e anche destinato a ingenerare dei diritti che entrano nel loro patrimonio giuridico>>(CGCE, 5 febbraio 1957, Van Gend e Loos, causa 26/62 Raccolta 1).

 

33.<<Il diritto di ottenere il rimborso delle somme percepite da uno Stato membro in violazione delle regole del diritto comunitario è la conseguenza e il complemento dei diritti conferiti alle persone sottoposte alla giurisdizione dalle disposizioni comunitarie così come sono state interpretate dalla Corte. Se è vero che il rimborso non può essere perseguito che nel quadro delle condizioni, di fondo e di forma fissati dalle differenti legislazioni nazionali in materia, non ne rimane nondimeno (…) che queste condizioni non potrebbero (…) essere disciplinate in maniera tale da rendere praticamente impossibile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario>> (CGCE, 2 febbraio 1988, Barra, causa 309/85, Raccolta 355).

 

  2. Sulle direttive

 

34.<<(…) in tutti i casi in cui una direttiva è correttamente attuata, i suoi effetti toccano privati attraverso le misure d’applicazione prese dallo Stato membro interessato(…). Per contro, dei problemi particolari si pongono nel caso in cui uno stato membro non ha correttamente dato esecuzione ad una direttiva, e più specificatamente, nel caso in cui le disposizioni di una direttiva sono rimaste ineseguite allo spirale del termine fissato per la sua messa in atto; (…) lo Stato membro che non ha preso, nei termini, le misure di esecuzione imposte dalla direttiva, non può opporre ai privati il proprio inadempimento alle obbligazioni che essa comporta>> (CJCE, 19 gennaio 1982, Becker, causa. 8/81, Raccolta 52).

 

35.<<L’assenza di ogni misura di trasposizione di una direttiva per raggiungere il risultato prescritto da questa nel termine impartito a questo fine costituisce in se stessa una violazione caratteristica del diritto comunitario e, pertanto, ingenera un diritto al risarcimento in favore dei privati lesi (…)>> (CJCE, 8 ottobre 1986, Erich Dillenkorfer e altri, causa Jtes C-178-94, Raccolta I-4845). <<L’obbligazione, per gli Stati membri, di risarcire i danni trova egualmente il suo fondamento nell’articolo 5 del trattato, n virtù del quale gli Stati membri sono tenuti a prendere tutte le misure generali o particolari proprie ad assicurare l’esecuzione delle obbligazioni che incombono loro in virtù del diritto comunitario. O, tra queste obbligazioni si trova quella di eliminare le conseguenze illecite di una violazione del diritto comunitario>> (CJCE, 13 novembre 1941, Francovich e Bonifaci, causa C- 6/90 e C-9/90 Raccolta I-5403).

 

 37. <<Con la settima questione, il nazionale chiede, in sostanza, se il diritto comunitario vieti ad uno Stato membro di opporre alle azioni dirette al rimborso tributi riscossi in violazione della direttiva un termine di prescrizione nazionale fintantoché tale Stato membro non abbia correttamente attuato tale direttiva. (…) La Corte ha così riconosciuto la compatibilità con il diritto comunitario della fissazione di termini ragionevoli di ricorso a pena di decadenza, nell’interesse della certezza del diritto, che tutelala tempo stesso il contribuente e l’amministrazione di cui trattasi. Infatti, questi termini non possono essere considerati tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto comunitario, anche se, per definizione, lo spirare di tale termine comporta il rigetto totale o parziale dell’azione esperita (vedere, in particolare, sentenze del 16 dicembre 1976, Rewe, 33/76, Rac. p. 1989, punto 5; Comet, 45/76, Rac. 2043, punti 17 e 18, e del 10 luglio 1997, Palmisani, C-261/95, non ancora pubblicata in Raccolta, punto 28. (…) Occorre pertanto risolvere la settima questione nel senso che, allo stato attuale, il diritto comunitario non vieta ad uno Stato membro, che non ha attuato correttamente la direttiva, di opporre alle azioni dirette al rimborso di diritti riscossi in la violazione di tale direttiva un termine di prescrizione nazionale che decorra data di esigibilità dei tributi di cui trattasi, qualora tale termine non sia meno favorevole per i ricorsi basati sul diritto comunitario di quello dei ricorsi basati sul diritto interno e non renda praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario>> ( CJCE, 2 dicembre 1997, Fantask, causa C-188/ 95, Raccolta I-6783)

  3. Sull’assenza della retroattività della 9 direttiva e il periodo di applicazione della 6 direttiva per il 1978

37.CJCE, 22 febbraio 1984, Kloppenburg, causa 78/80, Raccolta p. 1075:

<<Vi è luogo di sottolineare, come la Corte ha già fatto a diverse riprese, che la legislazione comunitaria deve essere certa e la sua applicazione deve essere prevedibile per le persone sottoposte alla giurisdizione. Il fatto di rinviare la data dell’entrata in vigore di un atto avente una portata generale, allorché la data inizialmente prevista è già passata, è in sé suscettibile di arrecare danno al a questo principio, nella misura in cui la proroga mira a togliere ai privati i rimedi giuridici che l’atto iniziale ha già conferito loro, questo effetto pone effettivamente la questione della validità dell’atto modificativo.

Tuttavia questa questione di validità non potrebbe porsi soltanto se la volontà di produrre l’effetto indicato sopra fosse apparso esplicitamente nell’atto modificativo. Ora, tale non è il caso della nona direttiva. Il testo di questa direttiva non contiene che una semplice proroga del termine della sesta direttiva, indirizzata agli Stati membri che non avevano potuto completare, nel termine inizialmente previsto, la procedura legislativa necessaria per adattare la loro legislazione relativa all’imposta sul valore aggiunto. Ciò non indica affatto che   questa proroga modifica la situazione degli operatori economici nei confronti delle operazioni effettuate da loro innanzi tutto all’entrata in vigore dell’atto modificativo del termine di esecuzione.

Ne deriva che la nona direttiva deve essere interpretata nel senso che essa non ha effetto retroattivo a questo riguardo.

Ha luogo rispondere al quesito posto che in difetto di esecuzione della sesta direttiva 77/388 del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulle cifre di affari – sistema comune di imposte sul valore aggiunto: assetto uniforme, un operatore di crediti poteva invocare la disposizione relativa all’esonero della tassa (…) per delle operazioni effettuate tra il primo gennaio e il 30 giugno 1978 (…)>>

B. La giurisprudenza interna.

1.Consiglio di Stato

38.Assemblea, 22 dicembre 1978, Ministro degli Interni c. Cohon-Bendit, Raccolta Lebon:

<<Considerando che secondo l’articolo 56 del Trattato istitutivo della Comunità economica europea del 25 marzo 1957, di cui nessuna disposizione abilita un organo delle comunità europee ad emanare, in materia di ordinamento pubblico, dei regolamenti direttamente applicabili negli Stati membri, la coordinazione delle disposizioni legislative e regolamentari “ che prevedono un regime speciale per i cittadini stranieri e giustificate per dei motivi di ordine pubblico, di sicurezza pubblica e di salute pubblica” fa oggetto di direttive del Consiglio, emesse su proposta della Commissione e in seguito alla consultazione dell’Assemblea; che risulta chiaramente dall’articolo 189 del Trattato del 25 marzo 1957 che se queste direttive obbligano gli Stati membri “quanto al risultato da raggiungere” e se per raggiungere il risultato che esse si prefiggono, le autorità nazionali sono tenute a ad adattare la legislazione e i regolamenti degli Stati membri alle e direttive che sono loro destinate, queste autorità rimangono le sole competenti per decidere sulla forma da dare all’esecuzione di tali direttive e per fissare esse stesse, sotto il controllo delle giurisdizioni nazionali i mezzi propri a far produrre loro effetto nel diritto interno. Così, qualunque siano d’altronde le precisazioni che esse contengano sull’intenzione degli Stati membri, le direttive non potrebbero essere invocate dai cittadini di questi Stati per fondare un ricorso diretto contro un atto amministrativo individuale. Ne segue da ciò che il Signor Cohn-Bendit non poteva utilmente sostenere che, per domandare al Tribunale amministrativo di Parigi di annullare la decisione del Ministro degli Interni in data 2 febbraio 1976, che questa decisione disconoscesse delle disposizioni della direttiva emessa il 25 febbraio 1964 dal Consiglio delle Comunità Europee in vista di coordinare, nelle condizioni previste dall’articolo 56 del Trattato di Roma, le misure speciali per gli stranieri in materia di trasferimento e di soggiorno giustificate da ragioni di ordine pubblico, di sicurezza pubblica e di salute pubblica; che quindi, in difetto di ogni contestazione sulla legalità delle misure regolamentari prese dal Governo francese per conformarsi alle direttive emesse dal Consiglio delle Comunità Europee, la soluzione che deve ricevere la richiesta del Signor Cohn-Bendit non può in alcun caso essere subordinata all’interpretazione della direttiva del 25 febbraio 1964.Che, di conseguenza, senza che ci sia bisogno di esaminare i mezzi di ricorso, il Ministro degli Interni ha ragione di sostenere che è a torto che, con il giudizio impugnato in data 21 dicembre 1977, il Tribunale amministrativo di Parigi ha rinviato alla Corte di giustizia delle Comunità Europee delle questioni relative all’interpretazione di questa direttiva e soprasseduto a statuire fino alla decisione della corte; (…) >>.

 

39.Assemblea, 20 ottobre 1989, Nicolo, Raccolta Lebon, p.190:

 

<<Considerando che nei termini dell’articolo 4 della legge N.77-729 del 7 luglio 1977 relativa all’elezione dei rappresentanti all’Assemblea delle Comunità Europee “il territorio della Repubblica forma una circoscrizione unica” per l’elezione dei rappresentanti francesi al Parlamento europeo; che in virtù di questa disposizione legislativa, combinata con quelle degli articoli 2 e 72 della Costituzione del 4 ottobre 1958, dalle quali risulta che i dipartimenti e i territori d’oltre-mare fanno parte integrante della Repubblica francese, i detti dipartimenti e territori sono necessariamente inclusi nella circoscrizione unica all’interno della quale si procede all’elezione dei rappresentanti al Parlamento europeo; considerando che in virtù dell’articolo 227-1 del Trattato del 25 marzo 1957 istitutivo della Comunità Economica Europea: “Il presente Trattato si applica alla Repubblica francese”; che le regole sopra ricordate, definite dalla legge del 7 luglio 1977, non sono incompatibili con le disposizioni chiare dell’articolo 227-1 del precitato Trattato di Roma (…)>>.

 

40.Assemblea, 28 febbraio 1992, SA Rothmans International France e SA Philip Morris France, Raccolta Lebon, p.20:

 

<<Considerando che l’articolo 37 del Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea recita: “Gli Stati membri organizzano progressivamente i monopoli nazionali aventi un carattere commerciale, di modo tale che allo spirare del periodo di transizione sia assicurata, nelle condizioni d’approvvigionamento e dei mercati, l’esclusione di ogni discriminazioni tra i cittadini degli Stati membri”; che ai termini dell’articolo 5-1 della direttiva del Consiglio delle Comunità europee in data 19 dicembre 1972 presa per la messa in opera, per quello che concerne i tabacchi manufatti, di queste disposizioni cosicché di quelle dell’articolo 30 del Trattato portante interdizioni delle restrizioni quantitative e di ogni misura di effetto equivalente: “I fabbricanti e gli importatori determinano liberamente i prezzi massimi di vendita al dettaglio di ciascuno dei loro prodotti. Questa disposizione non può, tuttavia, fare ostacolo all’applicazione delle legislazioni nazionali sul controllo dei prezzi o il rispetto dei prezzi imposti”; così come l’ha giudicato la Corte di Giustizia delle Comunità europee nelle sue sentenze per infrazione del 21 giugno 1983 e del 13 luglio 1988, le sole disposizioni di cui l’articolo 5-1 della direttiva riserva l’applicazione sono quelle delle legislazioni nazionali di carattere generale, destinate a ostacolare il rincaro dei prezzi; che le disposizioni precitate dell’articolo 6 della legge del 24 maggio 1976 conferenti al Governo un potere specifico di fissazione del prezzo dei tabacchi importati dai Paesi membri delle Comunità europea, indipendentemente dall’applicazione della legislazione nazionale sul controllo del livello dei prezzi; che esse permettono così al Governo di fissare i prezzi di vendita dei tabacchi importati in delle condizioni non previste dall’articolo 5-1 della direttiva del 19 dicembre 1972 e sono incompatibili con gli obiettivi stabiliti da questa direttiva; che ne segue da ciò che l’articolo 10 precitato del decreto del 31 dicembre 1976, preso sul fondamento dell’articolo 6 della legge del 24 maggio 1976 per cui ha luogo scartare l’applicazione è lui stesso sprovvisto di base legale; che risulta da quanto precede che il Ministro dell’Economia, delle Finanze e del Bilancio non ha potuto legalmente, mantenendo il prezzo dei tabacchi manufatti a un livello differente da quello che era stato stabilito dalle società ricorrenti, rigettare implicitamente le domande della società Rothmans International France e della società anonima Philip Morris France tendente all’aumento di 50 centesimi del prezzo dei prodotti importati e distribuiti in grosso da loro al 1 settembre 1983; che, quindi, le dette decisioni devono essere annullate (…)>>.

2.Corte di Cassazione

41.Camera mista, 24 maggio 1975, Amministrazione delle dogane c. Société des cafés Jacques Vabre, Sarl J. Weigel et Cie, Boll. N.4:

<<(…) atteso che il Trattato del 25 marzo 1957, che, in virtù dell’articolo [55] della Costituzione, ha una autorità superiore a quella delle leggi, istituisce un ordinamento giuridico proprio integrato a quello degli Stati membri; che in ragione di questa specificità, l’ordinamento giuridico che ha creato è direttamente applicabile ai cittadini di questi Stati e si impone alle loro giurisdizioni (…)>>; che quindi, è a buon diritto, e senza eccedere i suoi poteri, che la Corte d’Appello ha deciso che l’articolo 95 del Trattato doveva essere applicato alla fattispecie, ad esclusione dell’articolo 265 del Codice delle dogane, benché quest’ultimo testo fosse posteriore (…);

Atteso che nell’ordinamento giuridico comunitario, le inerzie di uno Stato membro della Comunità Economica europea per le obbligazioni che gli incombono in virtù del Trattato del 25 marzo 1957 essendo sottoposto al ricorso previsto all’articolo 170 del detto Trattato, l’eccezione derivata dal difetto di reciprocità non può essere invocata davanti alle giurisdizioni nazionali (…)>>.

3.Dottrina

42.Estratto dell’opera  Istituzioni amministrative - Diritto amministrativo”, Georges Depuis e Marie-José Guédon, ed. Armand Colin, Parigi, 1986, p.87-88:

<<La Corte di Cassazione ha dedotto le conseguenze normali di questa sovrapposizione dei due ordinamenti giuridici: se una legge e una norma comunitaria sono in contrasto, la seconda, anche anteriore è la sola accolta; di conseguenza il giudice francese rifiuta di applicare la legge francese per il motivo che essa è contraria al diritto europeo; in altri termini egli effettua una sorta di controllo di conformità della legge al diritto comunitario, molto comparabile al controllo di costituzionalità. Sul merito, la dottrina della Corte di Cassazione estende l’articolo 55 della Costituzione che afferma la superiorità delle convenzioni internazionali sulle leggi. Essa si fonda su due serie di argomentazioni: da una parte , i Trattati iniziali comportano rinunce della sovranità da parte degli Stati e l’istituzione di una vera super-sovranità a favore degli organi comunitari; dall’altra parte, le giurisdizioni nazionali essendo incaricate di applicare le disposizioni che emanano da questa super-sovranità, non possono far prevalere su di loro la legge interna che è, in questo sistema necessariamente infra-sovrana (Corte di Cassazione, sentenza Société des cafés Jacques Vabre del 24 maggio 1975(…).

 

Il Consiglio di Stato rigetta questo tipo di ragionamento (CE 1 marzo 1968, Sindacato generale dei produttori di semola di Francia (…); CE, 22 dicembre 1978, Ministro dell’Interno contro Cohn-Bendit (…). E’ <<essenzialmente una giurisdizione nazionale, convinta dell’eccellenza del sistema nazionale e che intende agire come guardiana della legalità nazionale>> (C-A Colliard, Il Consiglio di Stato francese e il diritto comunitario, Mèlanges offertes à Marcel Waline, LGDJ, Parigi, 1974- p.187. Ad. Bruno Genevois <<Il Consiglio di Stato dell’ordinamento giuridico comunitario>>, EDCE, 1979-1980 - p.73; commissione dei rapporti e degli studi del consiglio di Stato, <<Diritto comunitario e diritto francese>>, EDCE, 1981-1982, - p.215), l’ha dimostrato in particolare in due modi. In primo luogo, ha bandito ogni controllo di conformità della legge al diritto comunitario: il giudice amministrativo affermava un commissario del Governo, <<non può ne censurare ne disconoscere una legge anche nel caso in cui essa violi il diritto internazionale, o,più particolarmente, il diritto comunitario. In secondo luogo, su un punto più preciso, il consiglio di Stato non ha seguito la Corte di Giustizia delle Comunità europee che ha attenuato la distinzione tra i regolamenti e le direttive (…). Il consiglio di Stato afferma, al contrario, [che le direttive] non possono essere invocate a sostegno di un ricorso indirizzato contro un atto individuale <<qualunque siano d’altronde le precisazioni che esse contengono. Esse creano tuttavia per le autorità nazionali le obbligazioni di adattare la loro legislazione e la loro regolamentazioni alle disposizioni che esse contengono (Affare Cohn-Bendit precitato). Per via di conseguenza, i cittadini degli stati membri possono contestare la regolarità delle misure regolamentari nazionali a riguardo delle direttive comunitarie che esse pretendono di mettere in opera o di ignorare.>>

 

IN DIRITTO

 

I. SULLA DENUNCIATA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N 1

 

43. La ricorrente denuncia la violazione del diritto di proprietà ai sensi dell’articolo 1, seconda frase del Protocollo N.1 alla Convenzione così redatta:

 

<<Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.

Le disposizioni precedenti non arrecano pregiudizio al diritto degli stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende>>.

 

A. Sull’esistenza d’un bene ai sensi dell’articolo 1 del protocollo N. 1

 

44.La ricorrente considera che essa era titolare di un credito certo ed esigibile assimilabile ad un valore patrimoniale ai sensi della sentenza VanMarle del 26 giugno 1986 (serie A N.101, p.13, § 41), poiché il versamento operato risultava da una situazione illecita agli occhi della Corte amministrativa d’Appello e del commissario del Governo davanti al Consiglio di Stato. La ricorrente aveva egualmente una speranza legittima di vedere concretizzare il suo credito. Tra il 1 gennaio e il 30 giugno 1978, la legislazione francese in materia di IVA è stata contraria al diritto comunitario risultante dalla sesta direttiva del 17 maggio 1977, nel suo articolo 13-B-a. La ricorrente rileva che l’istruzione amministrativa del 2 gennaio 1986 è intervenuta prima della pronuncia della sentenza di rigetto del consiglio di stato del 19 marzo 1986. E’ dunque consecutivamente a questa istruzione amministrativa che essa ha introdotto un secondo ricorso fondato nello stesso tempo sulla responsabilità per colpa dello Stato, in assenza della trasposizione della sesta direttiva nel diritto nazionale, e sul terreno della responsabilità senza colpa per rottura dell’uguaglianza sugli oneri pubblici.

All’epoca dell’introduzione del suo secondo ricorso, essa beneficiava dunque di una speranza legittima di veder concretizzare il suo credito conformemente alla giurisprudenza della corte europea nel caso Pressos Compania Naviera SA e altri c. Belgio (sentenza del 2 novembre 1995 , serie A N.332), in ragione dell’intervento dell’istruzione amministrativa e delle sue conseguenze.

Inoltre il giudice amministrativo accettava di controllare la compatibilità delle norme internazionali e francesi poiché l’inversione di tendenza del 1996 nella sentenza Revert e Badelon non era che un’applicazione, alla materia fiscale, di una giurisprudenza nata nel 1989 (Consiglio di Stato, 20 ottobre 1989, sentenza Nicolo, Raccolta 190). La ricorrente espone che diverse sentenze anteriori del Consiglio di Stato avevano ammesso l’esistenza della responsabilità dello Stato in ragione di una violazione del diritto comunitario e in particolare del fatto dell’esistenza di una illegalità responsabile in ragione di una incompatibilità tra una misura nazionale e una direttiva comunitaria (sentenza dell’Assemblea del 28 febbraio 1992, società Arizona Tobacco Products e SA Philip Morris France). Ne risulta che la sentenza della Corte amministrativa d’Appello non era isolata e d’altronde la sentenza del consiglio di Stato non l’ha annullata che per un motivo di procedura derivato dal principio della distinzione dei contenzioso. La ricorrente stima del resto che il principio di “distinzione dei contenziosi” non aveva che una portata relativa al momento dell’introduzione del suo ricorso per indennizzo, avendo, il Consiglio di Stato, ammesso dal 1963, in presenza di casi giuridici identici, la ricevibilità delle conclusioni ai fini di indennizzo fondati sull’illegalità di un atto anche se un ricorso per eccesso di potere diretto contro lo stesso atto era stato precedentemente rigettato (Consiglio di Stato 3 maggio 1963, sentenza Alaux, Raccolta 261).

Infine, la messa in opera dell’istruzione amministrativa del 1986 avendo creato una differenza di trattamento tra una stessa categoria di contribuenti, offriva almeno una base a partire dalla quale la ricorrente poteva far valere il sua credito con un secondo ricorso interposto (sentenza National & Provincial Building Society e altri c. Regno unito del 23 ottobre 1997, Raccolta 1997-VII). Esonerando le società che non avevano versato l’IVA, l’amministrazione fiscale riconosceva che esse non erano tenute a versare in virtù del diritto interno e riconosceva dunque il suo errore.

 

45.Il governo considera che la ricorrente non gode di una speranza legittima che possa essere considerata come un bene ai sensi dell’articolo 1 del protocollo n.1 nel momento in cui essa ha introdotto la sua seconda azione contenziosa ( sentenza Pressos Compania Naviera SA e altri precitata). Due ragioni maggiorasi oppongono al successo del suo nuovo ricorso.In primo luogo, la sua azione era un’azione in responsabilità, in ragione di un errore commesso dai servizi fiscali nella determinazione dell’imposta, allorché la sentenza emessa dal Consiglio di Stato nel suo primo ricorso, concludendo per la legalità dell’imposizione contestata, aveva necessariamente escluso l’esistenza di un tale difetto. Quanto alla sentenza della Corte amministrativa d’Appello di Parigi del 1 luglio 1992 che ha accolto il ricorso della ricorrente, il Governo stima che questa soluzione non era rappresentativa della giurisprudenza alla data dell’introduzione del secondo ricorso. In secondo luogo, il Governo invoca la regola della <<distinzione delle vie di ricorso>>, la quale si opponeva al fatto che la ricorrente ottenne la vittoria della causa per il tramite di un ricorso in responsabilità dopo essere stata soccombente sul terreno del ricorso fiscale, come lo rilevò effettivamente il Consiglio di Stato nella sua Sentenza del 30 ottobre 1996.

 

46.La Corte rileva che la legislazione francese, in quello che essa imponeva il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) sugli affari realizzati dai mediatori di assicurazione nel periodo che va dal 1 gennaio al 30 giugno 1978, essendo incompatibile con l’articolo 13-B-a della sesta direttiva del Consiglio delle Comunità Europee del 17 maggio 1977, di applicazione diretta a partire dal 1 gennaio 1978, per il periodo considerato. Ciò risulta dalla sesta e dalla nona direttiva, dalla giurisprudenza pertinente della Corte di Giustizia delle Comunità Europee (CJCE; paragrafi 13-17 sopra), dall’istruzione amministrativa del 2 gennaio 1986 (paragrafo 15 sopra) o ancora dai termini della sentenza resa dal Consiglio di Stato il 30 ottobre 1996 nel caso della SA Revert e Badelon (paragrafo 30 sopra). Ora non è contestato che, la società ricorrente, nonostante la sua attività di mediatrice , versò l’IVA per il periodo che va dal 1 gennaio al 30 giugno 1978. La ricorrente ha d’altronde ottenuto la vittoria della causa il 1 luglio 1992 davanti alla Corte amministrativa d’Appello, nell’ambito del suo secondo ricorso.

In particolare, la Corte nota che a partire dalla sentenza Nicolo del 20 ottobre 1989, il Consiglio di Stato accetta di controllare la compatibilità delle norme francesi con le norme internazionali (paragrafo 39 sopra). Per di più,il Consiglio di Stato, aveva già ammesso , prima di statuire sul secondo ricorso della ricorrente, l’esistenza di una responsabilità dello Stato in ragione di una violazione del diritto comunitario dall’incompatibilità di una misura nazionale (paragrafo 40 qui sopra). In più il Consiglio di Stato aveva già ammesso, prima di statuire sul secondo ricorso della ricorrente, l’obbligazione per la responsabilità dello Stato in ragione di una violazione del diritto comunitario e per l’incompatibilità di una misura nazionale (paragrafo 40)

 

47.Trattandosi del principio di <<distinzione delle vie di ricorso>> invocate dal Governo, la Corte ha rilevato che la ricorrente derivava il suo diritto di credito da una norma comunitaria perfettamente chiara, precisa e direttamente applicabile fin dal suo primo ricorso. Questo diritto non è scomparso con la sentenza del Consiglio di Stato del 1986 e, pertanto, è perdurato durante la seconda procedura. In oltre, la Corte d’Appello che la sola circostanza che la giurisdizione amministrativa abbia fatto ricorso ad un principio che esiste da molto tempo non potrebbe giustificare un’inosservanza delle regole attuali del diritto europeo (sentenza Delecourt del 17 gennaio 1970, serie A n° 11, §36). La Corte ricorda in proposito che la Convenzione è uno strumento vivente da interpretare alla luce delle condizioni della vita attuale e delle concezioni prevalenti dei nostri tempi negli Stati democratici ( vedere in particolare la sentenza Burghartz c. Svizzera del 22 febbraio 1994, serie A n° 280-B, § 28). Il principio procedurale di <<distinzione dei contenziosi>> non poteva dunque far scomparire un diritto sostanziale nato con la sesta direttiva.

 

48. Tenuto conto di quanto precede, la Corte considera che la ricorrente beneficiasse, al momento dei suoi due ricorsi, di un credito verso lo Stato in ragione dell’IVA indebitamente versata per il periodo che va dal primo gennaio al 30 giugno 1978. Un credito di questo genere <<si concretizzava in un valore patrimoniale>> e aveva dunque il carattere di un <<bene>> ai sensi della prima frase dell’articolo 1 del Protocollo n.1, il quale si applicava fin d’allora per la fattispecie ( vedere in particolare la sentenza Pressos Compania Naviera S.A e altre precitate, p. 21, §31) .

In ogni stato della causa, la Corte è dell’avviso che la ricorrente aveva perlomeno una speranza legittima di poter ottenere il rimborso della somma oggetto della controversia ( sentenza Pine Valley Developpements Ltd e altri c. Irlanda del 29 novembre 1991, serie A n° 222, p. 23, §51).

 

B. Sull’esistenza di un’ingerenza e la regola applicabile.

 

49.Secondo la giurisprudenza della Corte, l’articolo 1 del Protocollo n° 1, che garantisce in sostanza il diritto di proprietà, contiene tre norme distinte: la prima è espressa nella prima frase del primo comma e riveste un carattere generale, enuncia il principio del rispetto della proprietà; la seconda, che figura nella seconda frase dello stesso comma, concerne la privazione della proprietà e la sottomette a determinate condizioni; quanto alla terza, espressa nel secondo comma, riconosce agli Stati contraenti il potere, tra gli altri, di regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale. La seconda e la terza, che sono tratte da esempi particolari di violazione del diritto di proprietà, devono interpretarsi alla luce del principio consacrato nella prima (vedi in particolare, le sentenze Sporrong e Lönnroth c. Svezia del 23 settembre 1982, serie A n°52, p. 26, § 69;Gasus Dossier-und Fördertechnick GmbH c. Paesi Bassi del 23 febbraio 1995, serie A n°306-B, pp. 46-47, §55 e p. 49, §62, Pressos Compania Naviera S.A ed altre precitate, p. 21-22, §33 e Phocas c. Francia del 23 aprile 1996, Raccolta 1996-II, pp. 541-542, §51).

 

50.La sentenza di rigetto del consiglio di Stato del 30 ottobre 1996 ha privato la ricorrente del suo diritto a vedere esaminato il ricorso per rimborso di una somma indebitamente versata a titolo di IVA. D’altra parte, la Corte nota che la prima sentenza del 26 febbraio 1986 ha rifiutato di accogliere la richiesta della ricorrente, nonostante i termini della sesta direttiva e quelli dell’istruzione amministrativa del 2 gennaio 1986 che   esentavano i mediatori di assicurazione dal pagamento dell’IVA per il periodo che va dal 1 gennaio al 30 giugno 1978. Su questo punto, è opportuno notare che l’istruzione amministrativa non concerneva che i contribuenti destinatari di una rettifica per non aver versato l’imposta controversa. Queste decisioni hanno determinato un’ingerenza nell’esercizio del diritto di credito del rimborso che poteva far valere la ricorrente in virtù del diritto comunitario e dell’istruzione amministrativa in vigore e, pertanto, del diritto di ogni individuo, ed in particolare della ricorrente, al rispetto dei suoi beni.

 

51.La Corte constata che la ricorrente lamenta una espropriazione dei suoi beni ai sensi della seconda frase del primo comma dell’articolo 1. E’ vero che un’ingerenza nell’esercizio dei diritti di credito verso lo Stato può individuarsi in una tale privazione della proprietà (sentenza Pressos Compania Naviera S.A. e altre precitate, p.22, §34). Comunque, trattandosi di una imposta da versare, un procedimento più naturale potrebbe consistere nell’esaminare i motivi dal punto di vista di una regolamentazione dell’uso dei beni nell’interesse generale <<per assicurare il pagamento dell’imposta>>, la quale deriva dalla disposizione enunciata al secondo comma dell’articolo 1 (sentenza National &Provincial Building Society e altre precitate, p. 2353, §79).

La Corte non ritiene di dover statuire sul punto, dal momento che queste due regole non sono sprovviste di reciproca relazione, che esse non si riferiscono che a degli esempi particolare di violazione del diritto di proprietà e che da allora, dovevano interpretarsi alla luce del principio consacrato dalla prima frase del primo comma. La Corte esaminerà dunque l’ingerenza alla luce della prima frase del primo comma.

C. Sulla giustificazione della ingerenza

52.Ai fini della prima frase del primo comma, la Corte deve ricercare se un giusto equilibrio è stato mantenuto tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo (sentenza Sporrong e Lönnroth precitata, p. 26, §69).

   1.Quanto all’interesse generale

53.La ricorrente rigetta la tesi del Governo secondo cui il principio di legalità sarebbe stato rispettato, dal momento che far prevalere il principio della <<distinzione dei contenziosi>> sul principio della preminenza delle direttive comunitarie è contrario al principio della legalità. Essa considera in particolare che i principi di <<distinzione del contenzioso>> e dell’autorità di cosa giudicata invocate dal Governo non hanno che una portata relativa, come è stato confermato da sentenze recenti del Consiglio di Stato e della corte di Giustizia delle Comunità europee. Essa avrebbe dunque dovuto poter far valere i diritti che essa derivava da una direttiva comunitaria.Nella misura in cui, al momento della prima sentenza del 1986, essa non poteva ottenere soddisfazione da parte del giudice fiscale, le era necessario ottenere soddisfazione nel quadro del secondo ricorso avente natura di indennizzo.

 

54.Il Governo stima che se si considerasse, ai soli fini di ragionamento, che le decisioni giurisdizionali hanno arrecato violazione ad una speranza legittima della ricorrente, una tale violazione risulterebbe da una decisione rispettosa del principio di legalità e costituirebbe una misura proporzionata presa in vista della soddisfazione di un interesse pubblico. Trattandosi del rispetto del principio di legalità,il Governo indica in particolare che il rigetto della domanda si fondava su dei principi giurisprudenziali tradizionali in diritto privato come in diritto pubblico. Giudicando che c’era autorità di cosa giudicata di fatto della sua prima sentenza del 1986, il Consiglio di Stato ha applicato il <<principio di distinzione delle vie di ricorso>>, il quale vieta che sia ricercata, su fondamento di un’azione in responsabilità del diritto comune, una soddisfazione che è stata rifiutata alla ricorrente nell’ambito del ricorso speciale. La giustificazione di questo principio risiede nell’intento di assicurare il rispetto delle regole contenziose speciali , o almeno di prevenirne uno deturpamento della natura svuotandoli del senso loro proprio. In caso contrario, esisterebbe un caso di disparità di trattamento di situazioni identiche, oltre ad una violazione diretta del principio di forza di cosa giudicata. Infine relativamente alla conformità del principio della <<distinzione delle vie di ricorso>> con il diritto comunitario, il Governo stima che la giurisprudenza Emmott della CJCE ( C-208/90, Raccolta, p. I-4269) non è più attuale, la sentenza Fantask resa il 2 dicembre 1997 (C-188-95) permettendo all’ordinamento giuridico interno a ciascuno Stato membro di regolare, sotto certe condizioni , le modalità procedurali dell’azione di restituzione dell’indebito. La regola della <<distinzione delle vie di ricorso>>non è dunque condannabile secondo la CJCE.

Il Governo sostiene egualmente che l’istruzione amministrativa teneva in considerazione l’interesse generale e rispondeva alla necessità di assicurare la preminenza del diritto comunitario.

 

55. Trattandosi dell’istruzione amministrativa del 2 gennaio 1986, la Corte considera che essa tendeva a mettere il diritto nazionale in conformità con le disposizioni pertinenti della sesta direttiva del 1977. Si tratta manifestamente agli occhi della Corte, di un disegno legittimo, conforme all’<<interesse generale>> ai fini dell’articolo 1 del Protocollo n.1.

 

56. Relativamente alle sentenze del Consiglio di Stato, la Corte constata che l’argomentazione del Governo si basa sull’applicazione di un principio giurisprudenziale tradizionale, cioè il principio di <<distinzione delle vie di ricorso>>, altrimenti detto <<principio di distinzione dei contenziosi>> il quale vieta che sia ricercato, sulla base di un’azione di responsabilità di diritto comune, una soddisfazione rifiutata sul piano del ricorso speciale. Statuendo che vi era autorità di cosa giudicata in ragione della prima sentenza del 1986, il Consiglio di Stato

avrebbe semplicemente applicato questo principio.

La Corte non può che rinviare alle sue osservazioni quanto all’argomentazione derivante dal principio di <<distinzione delle vie di ricorso>> (paragrafo 47 qui sopra) e per cui non vede delle motivazioni per discostarsi trattandosi della considerazione dell’<<interesse generale>>. Inoltre l’interpretazione particolarmente rigorosa fatta dal Consiglio di Stato di questo principio di procedura ha, viste le circostanze della fattispecie, privato la ricorrente della sola procedura interna suscettibile di offrire un rimedio sufficiente per assicurare il rispetto delle disposizioni dell’articolo 1 del Protocollo n.1 ( vedere mutatis mutandis, la sentenza Miragall Escolano e altri contro la Spagna del 25 gennaio 2000 §38)

La Corte non trova alcuna altra ragione suscettibile di giustificare, nei riguardi dell’interesse generale, il rifiuto del Consiglio di Stato di trarre le conseguenze di una norma di diritto comunitario direttamente applicabile. Quanto alla sentenza Fantask resa dalla CJCE e citata dal Governo (paragrafo 54 qui sopra), la Corte non vede in che cosa sarebbe vantaggioso in modo da giustificarlo, trattando questa sentenza sulla questione dei termini di ricorso e opposizione alle azione di rimborso di un termine di prescrizione nazionale in data dell’esigibilità dei diritti in causa e non, come nella fattispecie, il rifiuto di prendere in considerazione il diritto di rimborso stesso (paragrafo 36, sopra)

 57. In ogni stato della causa, la Corte rileva che l’ingerenza proviene non da un intervento del legislatore , ma al contrario da un mancato intervento per conformare il diritto nazionale con una direttiva comunitaria, ciò che ha portato le giurisdizioni amministrative competenti a pronunciarsi sulla questione. Rimane il fatto che la Corte non può che rilevare l’incompatibilità dell’IVA sulle attività dei mediatori di assicurazione dal primo gennaio al 30 giugno 1998 con le disposizioni dell’articolo 13-B-a della sesta direttiva del Consiglio delle Comunità europee del 17 maggio 1977. D’obbligo è ugualmente constare che le autorità francesi con la direttiva amministrativa del 2 gennaio 1986 hanno deciso l’adeguamento (al diritto comunitario n.d.t). La sentenza del Consiglio di Stato, resa il 19 marzo 1986, non ne ha tratto in più delle conseguenze, benché questo punto non sarebbe stato portato alla sua attenzione da parte della ricorrente. La corte rileva d’altronde che la giurisprudenza del Consiglio di Stato sul controllo della conformità tra il diritto nazionale ed il diritto internazionale era notevolmente evoluta dal 1989 (paragrafi 39-40 sopra) e che la ricorrente aveva vinto la causa vinta davanti alla Corte amministrativa d’Appello di Parigi ( paragrafi 21-22 sopra).

La Corte nota che la ricezione del diritto comunitario a livello interno sembra aver dato luogo a delle difficoltà, ciò è confermato definitivamente dal Consiglio di Stato che evoca, nella sua sentenza Revert e Badelon, <<la carenza delle autorità francesi nell’emettere in tempo utile delle disposizioni conformi agli obiettivi della sesta direttiva>>.Così, l’istruzione amministrativa di adeguamento alla sesta direttiva non è intervenuta che il 2 gennaio 1986, cioè più di sette anni dopo la notificazione allo Stato francese della nona direttiva ( paragrafo 11 sopra), oltre al fatto che essa non riguardava che i contribuenti che avevano rifiutato di versare l’imposta in questione. Certo, il Governo spiega che non prevedendo il caso dei contribuenti che avevano pagato l’imposta, l’istruzione lasciava la possibilità di esperire le azioni di rimborso. Nonostante ciò, il Consiglio di Stato non ha seguito quest’analisi rigettando il primo ricorso della ricorrente più di due mesi e mezzo dopo la detta istruzione. Infine la Corte rileva che la giurisdizione suprema dell’ordinamento giudiziario, la corte di Cassazione, aveva da parte sua già ammesso di controllare una norma nazionale davanti al diritto internazionale (paragrafo 41 sopra). Secondo l’opinione della Corte, la ricorrente non avrebbe dovuto sopportare le conseguenze delle difficoltà di presa in considerazione del diritto comunitario e delle divergenze tra le diverse autorità interne.

58.tenuto conto di quanto precede, la Corte stima che l’ingerenza sui beni della ricorrente non rispondeva alle esigenze dell’interesse generale.

 

  2.Quanto al mantenimento di un giusto equilibrio tra gli interessi presenti

59.La ricorrente non trova alcuna giustificazione all’ingerenza sui suoi beni, dal momento che la sentenza di rigetto del 1986 era stata preceduta dall’istruzione amministrativa del 2 gennaio 1986, la quale non faceva che rispondere alle esigenze della sesta direttiva del 1977. Quanto alla sentenza di rigetto del 1996, la ricorrente constata che non potrebbe essere giustificata poiché non si pronuncia che sulla ricevibilità dell’azione senza pronunciarsi sul merito. Stima il principio del giudicato non le può essere opposto poiché non esiste identità dell’oggetto tra la sua azione in restituzione della’IVA e la sua azione di responsabilità: il primo ricorso prevedeva la non trasposizione nel termine della sesta direttiva, mentre il secondo concerneva l’applicazione dei testi legislativi irregolari.

La ricorrente precisa egualmente che non poteva operare legalmente una compensazione tra IVA e la tassa sui salari, e che tre esperti attestano l’impossibilità di trasferire sui suoi clienti l’IVA pagata dalla società.

Essa osserva che era stata privata di ogni indennizzo da parte delle autorità francesi, in violazione dell’articolo 1 del Protocollo n.1 e della giurisprudenza della Corte, per aver avuto la sfortuna di vedere la sua declamazione fiscale giudicata troppo presto e di non aver beneficiato delle stesse garanzie che Revert e Badelon. La ricorrente stima dunque di essere stata vittima delle difficoltà della giurisprudenza del Consiglio di Stato che ella qualifica come di <<peso particolare ed esorbitante>> sconfinando nella <<rottura del giusto equilibrio che dovrebbe esistere tra la salvaguardia del diritto di proprietà e le esigenze dell’interesse generale>> ai sensi della giurisprudenza Hentrich c. Francia (sentenza del 22 settembre 1994, serie A n. 296).

60.Trattandosi del rispetto di una giusta proporzione tra gli interessi in questione per la limitazione che sarebbe stata posta ai diritti della ricorrente, il Governo rileva in particolare che il Consiglio di Stato si è attenuto ai suoi principi tradizionali per due ragioni. Da una parte, l’accantonamento della ricorrente sul piano del ricorso fiscale non l’aveva privata della possibilità di fare valere i suoi diritti. D’altra parte una deroga a questi principi apportava una violazione eccessiva al principio della certezza del diritto. Infine, il Governo rileva che la ricorrente dimostra la relatività degli effetti legati alla applicazione del principio della distinzione delle vie di ricorso, in particolare in ragione dell’obbligo di una identità dell’oggetto, e che, pertanto, avrebbe potuto trarne delle conseguenze al momento del suo secondo ricorso, il quale avrebbe potuto fondarsi non più sull’ammontare dell’imposta, questione risolta nel 1986, ma sul pregiudizio commerciale e finanziario realmente subito. E’ dunque la scelta operata dalla ricorrente quanto alla nature delle sue conclusioni di indennizzo che ha provocato l’irrecevibilità della sua richiesta, la quale non era affatto inevitabile.

L’istruzione amministrativa si fondava su una differenza oggettiva della situazione tra le società interessate. In più, l’istruzione non ha avuto l’effetto di porre le società esentate e quelle che non lo erano in situazioni radicalmente differenti: le società assoggettate all’IVA come la ricorrente potevano detrarre l’IVA pagata in acconto e potevano trasferirla a valle, in particolare tramite l’aumento del prezzo delle prestazioni fatturate; le società esonerate dispongono di somme corrispondenti all’imposta ma devono contemporaneamente rinunciare a riscuotere in avallo. Il motivo è dunque in ogni stato manifestamente infondato.

61.La Corte considera che nel caso della fattispecie la violazione arrecata ai <<beni>> della società ricorrente è stata sproporzionata. In effetti tanto l’aver fatto venir meno il credito della ricorrente nei confronti dello Stato che l’assenza di procedimenti interni offrenti un rimedio sufficiente per assicurare la protezione del diritto al rispetto dei beni (su questo punto, vedere in particolare, a contrario, la sentenza Phocas precitata, pp.544-545,m §60) hanno rotto il giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali degli individui.

 

D.Conclusioni 

62.Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n°1.

II.SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 14 DELLA CONVENZIONE COBINATO CON L’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N.1

63.La ricorrente invoca la violazione dell’articolo 14 combinato con l’articolo 1 del Protocollo n.1 alla Convenzione. L’articolo 14 è così formulato:

<<Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato, senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita, o ogni altra condizione>>.

64.La ricorrente stima che adottandone l’istruzione controversa, che abbandonava le azioni contro le società che non avevano versato l’IVA, l’amministrazione ha provocato una discriminazione avvantaggiando i cattivi contribuenti rispetto ai contribuenti in regola, discriminazione tanto più evidente dal momento che l’amministrazione non ha preso l’iniziativa di restituire ai contribuenti in regola le somme versate per errore.

Essa constata che, nel caso National & Provincial Building Society e altre, la Corte aveva concluso per la non violazione dopo aver constatato che le società ricorrenti non avevano fatto ricorso alle procedure per contestare il regolamento controverso e, perciò, non erano in una situazione paragonabile a quella della società Woolwich. Essa rileva che se nel caso Fredin, la Corte ha concluso per l’assenza della violazione dell’articolo 14 in ragione della possibilità di creare delle categorie distinte degli attori ( sentenza Fredin c. Svezia del 18 Febbraio 1991, serie A n.192), essa ha stabilito che una distinzione a discapito di  persone che si trovino in situazioni analoghe è discriminatoria ( sentenza Darby c. Svezia del 23 ottobre 1990, serie A n. 187). Nella fattispecie la ricorrente l’identità della sua situazione con quella di ogni altra società che esercita l’attività di mediatore di assicurazione che non avessero versato l’IVA per 1978, dal momento che era intervenuta l’istruzione amministrativa del 2 gennaio 1986. La differenza di trattamento risulta quanto a d essa direttamente dall’istruzione amministrativa che esclude del suo beneficio le sole società che avevano versato spontaneamente l’IVA. Certo queste ultime potevano domandare il rimborso delle tasse, ma il Consiglio di Stato ha rigettato la domanda in tal senso della ricorrente. Di fatto, un ricorso contro l’istruzione, dopo tutto impossibile trattandosi di una circolare non regolamentare, sarebbe stata senza effetto. La ricorrente denuncia l’assenza di uno scopo legittimo perseguito dall’istruzione amministrativa e di un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e gli scopi perseguiti. Se questa istruzione mirava a trasporre la sesta direttiva del 1977 nel diritto interno, nulla giustifica la disparità di trattamento tra le società cui si riferisce questa direttiva. Avendo le parti versato spontaneamente l’IVA, nonostante l’irregolarità della tassa non beneficiavano di alcuna restituzione.

Infine, la ricorrente si ritiene vittima di una discriminazione nei confronti della società Revert e Badelon. Entrambe hanno versato la medesima imposta, hanno formulato un reclamo preliminare, adito il tribunale amministrativo poi, in seguito al rigetto della loro domanda, hanno adito il Consiglio il Consiglio di Stato con delle domande quasi simultanee nel 1982. Il Consiglio di Stato ha rigettato l’appello della ricorrente dal 1986, mentre la domanda della SA Revert e Badelon fu accantonata e il suo esame ritardato in proporzione, fino alla sua iscrizione al ruolo della seduta alla quale era appellato il ricorso della ricorrente nell’ambito della seconda procedura. La soluzione adottata dal Consiglio di Stato sarà diversa, nonostante l’identità della situazione giuridica tra le due società, ad eccezione della perdita del fascicolo della SA Revert e Badelon da parte del Consiglio di Stato per diversi anni.La SA  Revert e Badelon , vedendo la suo ricorso esaminato dieci annoi dopo quello della ricorrente, ha beneficiato di un’evoluzione favorevole della giurisprudenza.

 

65. Il Governo non rileva alcuna discriminazione nella decisione del Consiglio di Stato e nell’istruzione adottata il 2 gennaio 1986 dall’amministrazione fiscale. Le soluzioni adottate nel caso della ricorrente e nel caso Revert Badelon non risolvevano la stessa questione di diritto e non concernevano dei ricorrenti che si trovavano in una situazione identica. Ora, la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo esclude che ci possa essere una discriminazione  consistente nel trattare in modo diverso delle persone che si trovavano nelle medesime condizioni ( sentenza Lithgow e altre c. Regno Unito dell’8 luglio 1986, serie A n°102 e Johnston e altri c. Irlanda del 18 dicembre 1986, serie A n°112). Il Governo nota che i ricorsi contemporanei al primo ricorso della ricorrente sono stati rigettati. Ciò stante, il governo concorda che le soluzioni emesse dal Consiglio di Stato nel caso della ricorrente nel 1986 e nel caso Revert e Badelon  sono contrarie. La ragione è che il Consiglio di Stato, statuendo questa volta su delle argomentazioni identiche, ha proceduto ad una inversione di tendenza della giurisprudenza nel secondo caso, che gli poneva dieci anni più tardi, la medesima questione di diritto. Non si potrebbe vedere nei cambiamenti  giurisprudenziali, che per natura contrappongono delle soluzioni contenziose rese prima e dopo, una disconoscenza dell’articolo 14. Ciò significherebbe disconoscere l’interpretazione tradizionale che la Corte di Strasburgo fa delle disposizioni dell’articolo 14 ( sentenza <<Linguistica belga>> c. Belgio del 23 luglio 1968, serie A n° 6).

Quanto all’adozione dell’istruzione fiscale del 2 gennaio 1978, ciò ha incontestabilmente avuto effetto di mettere la società ricorrente in una posizione a priori meno favorevole di quella delle società destinatarie della detta istruzione. Come ciò risulta dal caso Linguistica belga, la Corte europea prende in conto l’importanza delle distinzioni e la loro proporzionalità in rapporto alla situazione delle persone cui si fa riferimento. Ne deriva un margine di apprezzamento degli Stati che varia secondo le circostanze , il dominio e il contesto ( sentenza James e altri c. Regno Unito del 21 febbraio 1986, serie A n° 98). Nella fattispecie, l’istruzione fiscale rispondeva al problema di trarre le conseguenze della  preminenza della norma comunitaria, conformemente ad un’obbligazione sottoscritta presso la Commissione delle Comunità: rispondeva dunque ad un interesse pubblico e ad una realtà giuridica, senza pertanto privare le società interessate della possibilità di recuperare le somme mediante le procedure contenziose in corso. La differenza di trattamento si basa inoltre su una differenza oggettiva della situazione tra le società: certune avevano rinunciato al recupero dell’imposta,; altre avevano investito il giudice di una domanda di rimborso e, davanti ai seri dubbi esistenti quanto alla legittimità dell’assoggettamento a tale imposta, l’amministrazione poteva tranquillamente rimettersi alla procedura in corso, come avvenne per il caso di specie. Infine quando una società si era semplicemente e puramente astenuta dal versare l’ammontare dell’imposta, diventava logico per l’amministrazione rinunciare ad intraprendere un’azione contenziosa contro di cui il risultato appariva molto incerta. Il Governo rileva che la Corte europea ha riconosciuto la legittimità di una differenza di trattamento effettuata dai poteri pubblici tra delle società aventi o meno preso l’iniziativa di un’azione contenziosa ( sentenza National & Provincial Building Society precitata).

Infine, il Governo stima che la differenza di trattamento deve essere relativizzata poiché le società che, a guisa della ricorrente, hanno pagato l’IVA si sono visti dispensati dell’imposta sui salari e hanno potuto trasferire tutta o parte dell’IVA sui loro clienti, che non era il caso delle società che non avevano versato l’imposta.

66. Conto tenuto della constatazione alla quale essa è arrivata nei paragrafi 61 e 62 sopra riportati, la corte stima che non abbia luogo l’esame separato di questa doglianza.

III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 14 DELLA CONVENZIONE

67. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,

   <<Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno della Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda,se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa >

  A. Danni

68. La ricorrente sollecita il pagamento di una somma di 291 816 franchi corrispondenti all’ammontare dell’IVA versata per l’anno 1978. Trattandosi dell’argomentazione del Governo relativa all’imposta sui salari che essa avrebbe dovuto pagare in caso di esonero dall’IVA, la ricorrente rinvia alle disposizioni pertinenti del Libro delle procedure fiscali che non autorizza una compensazione tra le imposte sui salari e l’IVA. Trattandosi del trasferimento dell’IVA sui clienti, la ricorrente riproduceva in particolare tre certificazioni, dalle quali risulta che i mediatori sono remunerati attraverso delle commissioni versate direttamente ed esclusivamente dalle compagnie di assicurazione, senza alcun versamento da parte degli assicurati, ciò che esclude ogni possibilità di trasferimento sui clienti della ricorrente dell’IVA pagata.

 

69. Il Governo stima che il pregiudizio che potrebbe eventualmente far valere la ricorrente non è uguale alla somma versata a titolo di IVA per il 1978, ma che una tale somma debba essere diminuita dell’imposta sui salari che essa avrebbe dovuto essere portata a versare se fosse stata esonerata dall’IVA, così come dell’ammontare dei trasferimenti dell’IVA alle quali ha proceduto nelle sue tariffe. Relativamente all’imposta sui salari, il Governo precisa che non è in grado di stabilirne l’ammontare allorché più di venti anni sono trascorsi in seguito ai fatti in discussione e che l’amministrazione fiscale non dispone più dei fascicoli fiscali e degli altri documenti necessari a tale calcolo.

70.La corte considera che la ricorrente ha potuto provare un danno morale, ma che la presente sentenza le fornisce una compensazione sufficiente a questo riguardo. Per contro, relativamente al pregiudizio materiale, vista la violazione constatata dell’articolo 1 del Protocollo n.1, la migliore forma di riparazione consisterebbe nel rimborso dell’IVA indebitamente versata dal primo gennaio al 30 giugno 1978. Trattandosi delle somme di cui il Governo fa stato e che dovrebbero, secondo lui  essere  dedotte sull’IVA pagata  per l’anno 1978, la Corte rileva da una parte che non è chiaramente stabilito che l’imposta sui salari avrebbe dovuto essere pagata, oltre il fatto che è impossibile oggi stabilirne il valore e, d’altra parte, che la ricorrente fornisce delle documentazioni che stabiliscono l’impossibilità di trasferire l’IVA sui clienti tenuto conto della natura della  sua attività ( su questo punto, vedi ugualmente sopra i paragrafi  22 e 69 sopra). Soprattutto la Corte ricorda che non è denunciata e a fortori non dimostrata  (paragrafo 69 sopra), che la SA Revert e Badelon si sarebbe vista richiedere tali compensazioni dopo aver vinto la causa davanti al Consiglio di Stato. Tutto sommato, la sentenza del Consiglio di Stato non fa alcuna menzione dell’obbligo di dedurre certe somme dall’ammontare dell’IVA da rimborsare. La società ricorrente fornisce dei documenti da cui risulta che l’ammontare dell’IVA per il periodo della controversia ( tenuto conto del fatto che le commissioni percepite dalla ricorrente sui primi incassi delle compagnie compaiono con uno scarto di un mese), ammonta a 142 568,09 FRF, ossia 21 734,49 Euro (EUR). Visto quanto precede, la Corte accorda questa somma alla ricorrente per danno materiale.

  B. Spese legali

71. La ricorrente domanda il pagamento di una somma di 139 000 FRF , ossia 21 190, 41 Euro, a titolo di spese legali affrontate davanti al tribunale, la Corte amministrativa di Parigi, il Consiglio di Stato e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

72. Il Governo ritiene che queste somme sono eccessive, poiché le decisioni che  la società denuncia   come essenti alla base del suo pregiudizio, cioè le decisioni rese in ultima istanza dal Consiglio di Stato o l’istruzione fiscale del 2 gennaio 1986, non sono state mai contestate davanti alle giurisdizioni nazionali. Da allora in poi solo le spese esposte davanti agli organi della Convenzione sono suscettibili, sotto riserva che ne siano giustificati, di essere presi in considerazione.

73. La Corte ricorda che, nella sua decisione del 12 settembre 2000, ha già giudicato che la ricorrente aveva osservato la regola che prevede l’esaurimento di tutte le vie di ricorso interne, in particolare per quello che riguarda un ricorso contro l’istruzione stessa. A titolo di abbondanza, quanto alla possibilità di contestare le decisioni rese in ultima istanza dal Consiglio di Stato, la Corte non trova nel diritto interno le disposizioni legali che lo permettano. La ricorrente non dovrebbe vedersi rimproverare il fatto di non aver sottoposto i suoi motivi all’esame delle giurisdizioni competente. Al contrario, il secondo ricorso della ricorrente mirava espressamente ad ottenere il rimborso  dell’IVA indebitamente versata e mirava perciò ad ottenere, davanti alle giurisdizioni interne, la rettifica della doglianza sollevata davanti alla Corte.

Quanto all’ammontare richiesto dalla ricorrente, la Corte constata che è giustificato dall’avv. Garreau, il quale ha assicurato la difesa degli interessi dalla ricorrente davanti alla Corte come davanti al tribunale amministrativo, la Corte amministrativa d’Appello di Parigi e il Consiglio di Stato.Quindi la Corte attribuisce alla ricorrente 21 190,41 Euro a titolo di spese legali.

    C. Interessi moratori.

74.Secondo le informazioni di cui dispone la Corte, il tasso di interesse legale applicabile in francia in data dell’adozione della presente sentenza è di 4,26 % all’anno.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE ALL’UNANIMITA’,

1.Dichiara che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n.1 ;

2.Dichiara che non ha luogo esaminare la doglianza fondata sull’articolo 14 della Convenzione combinato con l’articolo 1 del Protocollo n.1;

3.Dichiara che la constatazione di una violazione fornisce in sé una equa soddisfazione sufficiente per il danno morale subito dalla ricorrente;

4.Dichiara

a)che lo Stato convenuto deve versare alla ricorrente, nei tre mesi a partire dal giorno in cui la sentenza sarà ritenuta definitiva conformemente  all’articolo 44 §2 della Convenzione, le somme seguenti, più tutto il montante che poteva essere dovuto a titolo dell’imposta sul valore aggiunto;

i.21.734,49 Euro ( ventunomilasettecentotrentaquattro e quarantanove centesimi)

ii.21.190,41 Euro ( ventunomilacentonovanta e quarantuno centesimi)

  b) che queste somme saranno maggiorate di un interesse semplice del 4,26% l’anno a partire dallo spirare del suddetto termine e fino ad avvenuto versamento;

5. Rigetta la domanda di soddisfazione equa per il surplus.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 16 aprile 2002 in applicazione dell’articolo 77 §§2 e 3 del regolamento.

S. DOLLE                                                       A.B. BAKA

Cancelliere                                                        Presidente