Caso Edwards

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo
CASO  PAUL E AUDREY EDWARDS contro REGNO UNITO
SENTENZA del 14 Marzo 2002  Ricorso n° 46477/99

 

Violazione dell’articolo 2 (diritto alla vita ) della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo in ragione delle circostanze in cui è avvenuto il  decesso in carcere del figlio dei ricorrenti, ed anche in ragione dell’assenza di una indagine effettiva su tale decesso.

Violazione dell’articolo 13 (diritto ad un ricorso effettivo) della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo.

  Liquidazione di GBP 20.000 (ventimila sterline) a titolo di danno  morale  e diGBP 20.000 (ventimila sterline)  per costi e spese legali.

Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (Strasburgo)

CASO PAUL E AUDREY EDWARDS contro REGNO UNITO

SENTENZA del  14 Marzo 2002  Ricorso n° 46477/99

 

La sentenza così motiva

(traduzione non ufficiale a cura della Dott.ssa Maria Cristina Romano)

TERZA SEZIONE 

Sentenza del 14 Marzo 2002

sul ricorso n° 46477/99
presentato da PAUL E AUDREY EDWARDS
contro REGNO UNITO 

 

Nel caso di Paul e Audrey Edwards c. il Regno Unito,

La Corte Europea dei diritti dell’Uomo (Terza sezione), riunitasi in una camera composta da :

   I. Cabral Barreto, Presidente, Nicolas Bratza, L. Caflisch,      P. Kūris, R.Türmen, H.S. Greve,K.  Traja, giudici,
e  V. Berger, cancelliere di sezione,

Avendo deliberato in camera di consiglio il  21 febbraio 2002,

Emette la seguente sentenza, adottata in questa  data:

PROCEDURA

  1.  Il caso trae origine da un ricorso (no. 46477/99) contro il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord presentato alla Corte ai sensi dell’art. 34 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali (la Convenzione) dai cittadini britannici, Paul e Audrey Edwards (“i ricorrenti”), il 14 Dicembre 1998.

I ricorrenti sono stati rappresentati davanti alla Corte da Nancy Collins, un’avvocato dell’associazione Liberty, Londra. Il Governo della Gran Bretagna (“il Governo”) è stato rappresentato dal proprio Agente,  Derek Walton del Ministero degli Esteri e del Commonwealth.

3.  I ricorrenti lamentavano in particolare che le autorità avessero mancato di proteggere la vita del proprio figlio, Christopher Edwards, che era stato ucciso da un altro detenuto mentre si trovava in prigione in custodia cautelare. Essi invocavano gli artt. 2, 6, 8 e 13 della Convenzione.

Il ricorso è stato assegnato alla Terza Sezione della Corte (articolo 52 § 1 del Regolamento della Corte). All’interno di questa Sezione, la Camera che avrebbe esaminato il caso (art. 27 § 1 della Convenzione) è stata costituita ai sensi dell’articolo 26 § 1 del Regolamento della Corte.

Con decisione del 7 Giugno 2001, la Camera ha dichiarato il ricorso ricevibile.

Il ricorrente ed il Governo hanno formulato ciascuno le proprie osservazioni nel merito (articolo 59 § 1). Le Parti hanno formulato le proprie repliche per iscritto. La Camera ha deciso, sentite le Parti, che non era necessaria un’udienza sul merito (articolo 59 § 2 in fine).

In data 1 Novembre 2001 la Corte ha modificato la composizione delle proprie Sezioni (articolo 25 § 1 del Regolamento della Corte). Il ricorso in oggetto è rimasto assegnato alla Terza Sezione nella sua nuova composizione (articolo 52 § 1).

 IN FATTO

I fatti di questo caso sono stati oggetto di investigazione davanti ad una Inchiesta  privata non prevista dalla legge, che ha emesso un Rapporto  in data 15 giugno 1998, esponendo ampliamente i fatti emersi. Non essendo questi dati stati contestati dalle Parti, la Corte si è basata sul Rapporto nella ricostruzione dei fatti seguenti.

I.  Le circostanze del caso

Prima della sua morte, Christopher Edwards aveva mostrato segni di sviluppo di una grave malattia mentale. Nel 1991, in un referto psichiatrico si esprimeva un tentativo di diagnosi di schizofrenia. Nel luglio 1994, egli smise di vivere a casa con gli odierni ricorrenti, suoi genitori. Da quel momento egli smise di assumere le proprie medicine.

Il 27 Novembre 1994, Christopher Edwards, allora trentatreenne, fu arrestato dalla polizia   a Colchester e condotto presso la stazione di polizia di Colchester. Egli aveva avvicinato una giovane donna in strada pronunciando frasi sconvenienti. Il suo comportamento prima dell’arresto, e alla stazione di polizia dove egli tentò di aggredire una donna poliziotto, indusse gli ufficiali di polizia a sospettare che egli fosse un malato mentale. Egli fu esaminato alla stazione di polizia da un assistente sociale abilitato, che discusse telefonicamente la questione con un consulente psichiatra. Essi convennero che pur essendoci qualche sintomo del possibile manifestarsi di una  schizofrenia, egli non necessitava di urgenti cure mediche ed era in condizioni di salute compatibili con la custodia presso la stazione di polizia. Qualunque esame psichiatrico avrebbe potuto aver luogo come parte delle attività antecedenti alla sentenza.. Christopher Edwards fu tenuto in cella da solo. In considerazione del parere espresso dall’assistente sociale, l’agente responsabile non compilò un modulo CID2 che avrebbe individuato Christopher Edwards come un rischio eccezionale per malattia mentale. L’agente tuttavia annotò sul modulo per le informazioni confidenziali (MG6A) il suo parere che se Christopher Edwards non fosse stato curato o visitato dalla equipe di salute mentale avrebbe potuto seriamente ferire una donna. Ella non sapeva che i suoi stessi sospetti sul suo stato mentale fossero sufficienti a garantire la classificazione di  Christopher Edwards come un rischio eccezionale.

In data 28 Novembre 1994, Christopher Edwards fu portato davanti alla Magistrates’ Court di Colchester. Non appena fu liberato dalle manette, egli si fece largo tra gli altri detenuti e raggiunse una agente di polizia penitenziaria donna. Fu trattenuto, ma si divincolò e provò nuovamente ad avvicinarla. Fu posto in una cella da solo. Per tutta la mattinata egli bussò continuamente alla porta urlando “voglio una donna”. Egli gridò varie oscenità sulle donne. I ricorrenti incontrarono l’avvocato d’ufficio verso le 9.45 a.m. e spiegarono che il proprio figlio era affetto da una patologia mentale che volevano che ricevesse un trattamento medico e non fosse trattenuto in custodia cautelare. Quando l’avvocato d’ufficio provò a parlare con Christopher Edwards nella sua cella, non ricevette alcun aiuto dal proprio assistito il quale continuava a dire oscenità sulle donne. L’avvocato d’ufficio discusse il problema con il Clerk to the Justices (consulente legale della Corte –ndt-).

Nel suo percorso verso l’aula ed in udienza, Christopher Edwards ripeté i commenti precedentemente fatti sulle donne. L’accusa aveva in suo possesso il modulo MG6A ed era stato richiesto dalla polizia di ottenere  la custodia cautelare poiché vi era il rischio di recidiva e vi era una grosso punto interrogativo sul suo stato di salute mentale. L’accusa informò la Corte che egli era da considerarsi un rischio per le donne, anche se non erano chiari i dettagli. Ella si basò sul fatto che non era ancora stata fatta una perizia psichiatrica in supporto della sua richiesta. La Corte insieme all’accusa, all’avvocato d’ufficio e al Justice’s Clerk prese in considerazione la possibilità di disporne la custodia in ospedale. Concluse che non aveva il potere per farlo ai sensi della sezione 30 del Magistrates’ Cortes Act 1980. Non fu data alcuna considerazione,inter alia, all’applicazione della normativa civile (sezioni 2, 3 or 4 del Mental Health Act 1983) né alla sezione 35 del 1983 Act, che disciplinano l’invio in ospedale per accertamenti.

I magistrati disposero la custodia cautelare per Christopher Edwards per tre giorni, un periodo più breve del consueto, rinviando all’ 1 Dicembre così ché potessero essere prese istruzioni e completati i moduli per il gratuito patrocinio. Ulteriore considerazione sarebbe stata data, inter alia, alla richiesta di una perizia psichiatrica. Dopo l’udienza, il primo ricorrente telefonò al probation service (servizio per la libertà vigilata –ndt-) di Colchester esprimendo preoccupazione per la salute mentale del proprio figlio. Gli fu suggerito di contattare la prigione di Chelmsford. Egli telefonò all’agente di custodia della prigione informandola della storia clinica del proprio figlio. La sua nota telefonica indicava che le era stato detto che gli era stata prescritta stelazina, nonostante egli aveva rifiutato di assumerla o di accettare di essere un malato mentale. L’agente di custodia si recò al Centro di tutela della salute e parlò col medico dirigente, Dr F. Though, ci fu in seguito una disputa su quanti dettagli ella riferì al dottore, egli ricordò di essere stato informato che Christopher Edwards era considerato un rischio per le donne. Tuttavia, considerato il commento dell’assistente sociale psichiatrico che Christopher Edwards era in condizioni di salute compatibili con la detenzione in una stazione di polizia ed il fatto che la Corte non avesse disposto una perizia psichiatrica, egli decise che non avrebbe interferito con l’usuale procedura di ammissione  il che significava che Christopher Edwards sarebbe stato controllato all’arrivo nel solito modo e la sua collocazione in prigione sarebbe dipesa dalle risultanze di questa procedura. Né lui né l’agente di custodia passarono alcuna di queste informazioni allo staff incaricato dell’ammissione.

Un agente carcerario tornando alla prigione di Chelmsford dalla  Magistrates courtinformò l’ufficiale responsabile del personale  addetto al ricevimento  che un’agente di custodia donna  era stata aggredita da un detenuto che sarebbe stato tradotto lì in giornata. Gli agenti addetti all’area di custodia della  Magistrates’ court sospettavano dal suo comportamento che  Christopher Edwards fosse mentalmente anormale e avrebbe potuto essere un pericolo per le donne così decisero di avvisare lo staff della prigione. Un agente di polizia telefonò e parlò con l’ufficiale responsabile al ricevimento della prigione dicendogli inter alia che i giudici avrebbero voluto mandare Christopher Edwards in un ospedale psichiatrico e che egli aveva importunato una agente di custodia donna. L’ufficiale si preoccupò a tale notizia e contattò la Magistrates’ court per verificare se egli sarebbe stato mandato in custodia a seguito di un’ordinanza ordinaria. Egli parlò anche con il direttore di turno sulla allocazione di Christopher Edwards e fu deciso, salve risultanze della visita medica, che sarebbe stato collocato nell’ala D-1 dove non lavoravano agenti donne.

Nel tardo pomeriggio, Christopher Edwards fu tradotto nella prigione di  Chelmsford. Il personale al ricevimento era al corrente delle informazioni ricevute dalla polizia presso la  magistrates’ court e che egli era un potenziale pericolo per le donne. Fu posto in una sala di attesa, mentre venivano registrati glia altri arrivi alla prigione. Fu annotato che il suo comportamento era “strano” e “bizzarro” e che quando fu posto nella cella di attesa fu aggressivo e tentò di colpire un agente di custodia. Dopo due ore egli fu visitato dal sig. N., un membro del personale sanitario della prigione che non vide alcuna ragione per ammetterlo al Centro di Cura.  Il sig. N.  non sapeva nulla sulle previe discussioni in Corte o le preoccupazioni passate alla prigione sulla salute mentale di Christopher. Sapeva solamente che Christopher Edwards era stato accusato di aver aggredito un’ agente di polizia donna. Il sig. N seguì il questionario standard. Alla domanda n. 5 (E’ mai stato visitato da uno psichiatra?), la risposta fu “Tre anni fa”. Christopher Edwards non rivelò che aveva assunto stelazina. Non vi fu evidenza di disturbi mentali attivi o comportamento bizzarro durante il colloquio, che è difficile sia durato per più di 10 minuti. Nessun medico era di turno al centro  a quell’ora, né era presente in prigione. Christopher Edwards fu ammesso alla prigione principale e posto nella cella D1-6.

Fu tenuto in cella da solo in questo periodo.

Nel frattempo, Richard Linford fu arrestato a Maldon il 26 Novembre 1994 per aggressione ad una amica ed ai suoi vicini. Alla stazione di polizia di Maldon, fu visto da un medico della polizia poiché si sospettava che fosse malato di mente. Il medico della polizia certificò che Richard Linford non era in condizioni di salute compatibili con la detenzione. Richard Linford fu esaminato da un infermiere psichiatrico il quale si consultò telefonicamente con uno psichiatra, che decise che egli non necessitava il ricovero in ospedale e che era in condizioni di salute compatibili con la detenzione. Richard Linford fu trasferito alla stazione di polizia di Chelmsford, dove anche  il medico della polizia lo trovò in condizioni di salute compatibili con la detenzione. Nonostante la sua condotta prima e dopo l’arresto fosse bizzarra, questo fu attribuito dai dottori agli effetti dell’abuso di alcool, assunzione di anfetamine ed un tentativo volontario di manipolare il sistema della giustizia penale. L’addetto alla registrazione, che aveva anteriormente trattato Richard Linford, sapeva che era stato diagnosticato diverse volte  come sofferente di schizofrenia o affetto da disturbi della personalità, ma lo conosceva anche come qualcuno che diviene malato quando abusa di alcol e droghe. Durante il weekend, Richard Linford mostrò ulteriormente un comportamento bizzarro e fu violento con gli agenti di custodia. Egli non fu riesaminato da un dottore. Non fu compilato il modulo  CID2, nonostante gli agenti di polizia rimanessero dell’idea che era malato di mente. Il 28 Novembre 1994, Richard Linford fu confermato in custodia dalla Magistrates’ Corte di Chelmsford. Ai giudici fu presentata una descrizione di lui come “sano ma pericoloso”. Richard Linford arrivò alla prigione di  Chelmsford poco dopo Christopher Edwards, dove fu esaminato dallo stesso membro del servizio sanitario della prigione che aveva esaminato Christopher Edwards  che non vide alcun motivo per ricoverarlo nel centro di salute. Richard Linford non si comportò in modo strano durante la visita. Il sig. N. non era a conoscenza delle precedenti condanne di Richard Linford, che lo avrebbero avvisato del suo ricovero in ospedale nel 1988.

Inizialmente, Richard Linford fu posto nella cella D1-11 da solo. Fu successivamente spostato nella cella D1-6 con Christopher Edwards. Ciò fu dovuto alla mancanza di spazio essendo tutte le altre celle al piano occupate da due persone.

Ogni cella aveva una luce verde di emergenza situata sul muro fuori dalla cella  accanto alla porta che si illuminava quando il bottone di chiamata veniva premuto dentro la cella. Inoltre quando veniva pressato il bottone , una sirena suonava nel corridoio e si accendeva una luce rossa sul pannello di controllo nell’ufficio del piano interessato indicando la cella. La spia rossa restava illuminata e la sirena continuava a suonare anche se il detenuto smetteva di pressare il bottone. Alle 9 p.m., o Christopher Edwards o Richard Linford pressò il bottone di chiamata.  Un agente di custodia vide la luce verde fuori dalla cella e gli fu detto che desideravano che una delle luci della cella, che si azionavano dall’esterno venisse spenta. Egli acconsentì a farlo. Vide che i due uomini sembravano trovarsi bene insieme. Notò che mentre la luce verde aveva continuato a stare accesa la sirena che avrebbe dovuto continuare a suonare non lo aveva fatto. Egli non fece Rapporto  sull’apparente difetto.

Poco prima dell’ 1 a.m. il 29 Novembre 1994, un agente sentì una sirena suonare. Non vide alcuna spia rossa sul pannello di controllo del reparto D e disse ad un agente di andare  a verificare negli altri reparti.  Un po’ di tempo dopo sentì battere continuamente contro la porta di una cella al proprio piano. Mentre andava a controllare vide la luce verde accesa fuori dalla cella D1-6. Guardando dallo spioncino vide Richard Linford con in pugno una forchetta di plastica insanguinata e che c’era sangue sul pavimento e sui piedi di Linford. Ci fu un ritardo di 5 minuti mentre gli agenti indossavano abiti protettivi. Entrarono nella cella per trovare che Christopher Edwards era stato pestato a morte. Richard Linford faceva continui riferimenti all’essere posseduto dagli spiriti e dai diavoli. Il piano D era stato controllato precedentemente alle 12.43 a.m., il che indicava che potevano essere passati fino a  17 minuti da quando era stato premuto il bottone di chiamata della cella.

Al momento dell’aggressione, Richard Linford era malato di mente in fase acuta. Fu trasferito più tardi il 29 Novembre 1994 all’Ospedale Speciale Rampton.

Il 21 aprile 1995, Richard Linford si dichiarò colpevole davanti alla  Chelmsford Crown Corte dell’omicidio preterintenzionale  di Christopher Edwards per diminuita capacità di intendere. Il processo fu dunque breve. Il giudice dispose il ricovero ospedaliero ai sensi della sezione  37 del the Mental Health Act 1983, insieme a misure restrittive  ai sensi della sezione 41. Richard Linton è ad oggi ancora presso il  Rampton Special Hospital, con diagnosi di  schizofrenia paranoide.

Fu aperta un’Inchiesta  dal coroner ma fu aggiornata in pendenza del procedimento penale contro Richard Linford. Dopo la condanna di Richard Linford, il Coroner chiuse l’Inchiesta , poiché non vi erano obblighi di continuarla in quelle circostanze.

Il 16 Ottobre 1995, I ricorrenti furono avvisati dal vice capo di polizia che era stato ritenuto vi fosse insufficiente evidenza per stabilire l’offesa di omicidio colposo per grossolana negligenza da parte di qualcuno coinvolto  nel  caso ma che probabilmente la questione sarebbe stata riconsiderata alla conclusione della Inchiesta  che era stata avviata dalle agenzie statutarie che si occupavano del caso.

Nel Luglio 1995, un’Inchiesta  privata non prevista dalla legge fu commissionata da tre Agenzie statali con responsabilità statutarie su Christopher Edwards – il Servizio carcerario, la municipalità della Contea dell’Essex e l’Autorità per la salute del nord Essex Health. I suoi termini di riferimento furono:

“Indagare sulla morte del signor Edwards nella prigione di Chelmsford, compresi i fattori della sua detenzione e di quella del signor Linford che appaiano rilevanti, ed in particolare: la misura in cui il loro ricevimento, detenzione, gestione  e cura siano stati conformi agli obblighi di legge, al Regolamento del Servizio carcerario e agli standard del sistema sanitario e alle politiche operative locali.

1.  Per esaminare l’adeguatezza, sia nei fatti che nelle procedure rilevanti, della cooperazione e  comunicazione tra le agenzie (il Servizio carcerario di Sua Maestà,  la polizia dell’ Essex , le corti, Comunità del MidEssex e Servizio di salute mentale  del servizio sanitario nazionale e suo predecessore, e il Dipartimento per Servizi Sociali della municipalità della Contea dell’Essex) coinvolti nella cura custodia e controllo dei signori Edwards e Linford, o nella fornitura di servizi agli stessi.

2.  Di esaminare le circostanze relative all’arresto, detenzione e custodia dei signori  Linford e Edwards da parte della polizia dell’ Essex, incluso se tutte le informazioni rilevanti furono effettivamente ed efficientemente trasmesse tra  la polizia dell’ Essex, il servizio carcerario, le corti, e ogni altra agenzia rilevante ...;

3.  Di esaminare tutte le circostanze correlate al trattamento e alla cura del signor    Edwards e del signor Linford, da parte del servizio sanitario e dei servizi sociali, ed in particolare: la misura in cui la cura del signor Edwards e del signor Linford sia stata conforme alle rilevanti disposizioni di legge, le rilevanti linee guida del dipartimento della salute … e le politiche operative locali.

4.  Di redigere un Rapporto  e fare raccomandazioni alla autorità per la Salute del Nord Essex, al Dipartimento per i servizi sociali della municipalità della contea dell’Essex e al servizio carcerario di Sua Maestà, ed altre eventuali agenzie da individuarsi come appropriato ...”

Nel Febbraio 1996, i ricorrenti furono informati dai loro avvocati che avevano  diritto ai costi del funerale e un potenziale diritto  per risarcimento di pene e sofferenze occorse tra l’incidente a Christopher Edwards e la morte, ma che tenendo conto delle spese legali non sarebbe stato conveniente avanzare tale pretesa.

Nell’ aprile 1996, la Commissione per il risarcimento dei danni causati da crimini riconobbe ai ricorrenti  4,550 sterline (GBP) per le spese funebri ma decise di non riconoscere alcuna somma per la dipendenza o   per il lutto.

L’Inchiesta  fu aperta nel maggio 1996. Fu presieduta dal sig. Kieran Coonan, Q.C. e funzionario della Crown Corte, gli altri membri della Commissione  consistevano nel professor Bluglass (professore Emerito di  Psichiatria forense alla Università di Birmingham), Mr Gordon Halliday (ex direttore dei Servizi Sociali della Municipalità della contea del Devon e membro della Commissione per la salute mentale), Mr Michael Jenkins (ex direttore della prigione di Oxford e della prigione di Long Lartin e vice direttore capo degli ispettori delle prigioni di Sua Maestà 1987-1992) e Owen Kelly (Commissario della polizia della città di  Londra 1985-1993). Essi furono assistiti da uno studio di avvocati incaricati dalle agenzie committenti di fornire il supporto di segreteria e amministrativo e di organizzare l’audizione dei testimoni. Due avvocati di questo studio furono nominati quali avvocati dell’Inchiesta .

La commissione d’Inchiesta  raccolse le prove in 56 giorni per un periodo di 10 mesi. Essa sedette in privato. Essa non aveva poteri coercitivi su testimonianze o produzione di documenti. Due agenti di custodia rifiutarono di deporre. Il Rapporto  dell’Inchiesta  annotò successivamente che uno di loro aveva prove potenzialmente significative e il suo rifiuto venne definito essere “tanto di più disdicevole in quanto egli era passato dalla cella di  Christopher Edwards poco prima che egli incontrasse la morte”. La commissione di Inchiesta  condusse visite alle stazioni di polizia, agli edifici della magistrates’s court e alla prigione interessate. Il professor Bluglass, della commissione, interrogò Richard Linford in ospedale. Circa 150 testimoni si sottoposero ad esame per fornire prove mentre un considerevole numero di altri presentò dichiarazioni scritte.

Nel Novembre 1997,  i ricorrenti presentarono alla County Court un ricorso per negligenza contro il capo della polizia dell’ Essex e la municipalità della contea dell’Essex. Essi tuttavia non  lo notificarono a causa della consulenza legale avuta dai propri avvocati.

Estratti delle bozze delle risultanze preliminari dell’Inchiesta  stavano circolando tra coloro che avevano diritto di criticarle onde consentire loro di commentare. Un certo numero di testimoni fu richiamato  deporre il  27 aprile 1998.

Il Rapporto  dell’Inchiesta  fu reso pubblico il 15 giugno 1998. Esso concludeva che in via di principio Christopher Edwards e Richard Linford non avrebbero dovuto essere in prigione ed in pratica essi non avrebbero dovuto dividere la stessa cella. Esso accertò un “sistematico collasso dei meccanismi di protezione che avrebbero dovuto operare per proteggere questo detenuto vulnerabile”. Identificò una serie di manchevolezze, inclusa scarsa tenuta dei registri, inadeguata comunicazione e limitata cooperazione tra le varie agenzie, ed un numero di opportunità mancate di prevenire la morte di Christopher Edwards.

Il contenuto delle conclusioni è stato il seguente:

–  Idealmente, se vi fossero stati letti adatti disponibili, Christopher Edwards avrebbe dovuto essere ricoverato in ospedale per accertamenti ai sensi della sezione 2 delMental Health Act 1983;

–  E’ stata una seria omissione, ed una violazione del codice C del codice della pratica ai sensi del Police e Criminal Evidence Act 1984, che non sia stato chiesto ad alcun dottore di visitare Christopher Edwards da parte dell’agente di custodia;

–  E’ stato un serio errore della polizia dell’Essex che non sia stato compilato un modulo CID2, descrivendo Christopher Edwards come un detenuto ragionevolmente sospettabile di essere un rischio eccezionale a causa di disturbi mentali, anche se è stato notato che seppure fosse stato descritto così dalla polizia ciò non sarebbe stato sufficiente, di per sé, ad assicurare  che sarebbe stato ricoverato al Centro Sanitario presso la prigione di Chelmsford;

–  All’udienza tenutasi davanti alla Magistrates’ Court il 28 Novembre 1994 non fu data alcuna considerazione alla sezione 35 del 1983 Act che prevedeva la custodia in ospedale per accertamenti;

–  La Corte non fece alcun tentativo di comunicare alle autorità della prigione, in particolare all’ufficiale medico, che si sospettava che  Christopher Edwards soffrisse di una malattia mentale;

–  Le informazioni sul passato psichiatrico di Christopher Edwards fornite dai ricorrenti alla prigione non furono registrate né trasmesse alla persona che si occupava dei controlli;

–  Quando Christopher Edwards arrivò alla prigione di Chelmsford non c’era un ufficiale medico di turno, in violazione degli Standards del servizio sanitario carcerario;

–   Il signor N., l’operatore sanitario della prigione che ha esaminato Christopher Edwards aveva una formazione non adeguata per riconoscere i disturbi mentali ed aveva ricevuto insufficiente guida. Il controllo è stato frettoloso e superficiale e non è stato tenuto in adeguate condizioni di riservatezza;

–  Il sign. N. non era stato messo al corrente di alcuna delle informazioni riguardo ai dubbi sulle condizioni di salute mentale di  Christopher Edwards né dalla polizia né dalla corte. Se egli avesse ricevuto un modulo CID2 che identificava un disturbo mentale o la corte avesse espresso la sua preoccupazione, ciò avrebbe potuto provocare in lui sufficienti dubbi residui da indurlo a prestare maggiore cautela e disporre il ricovero per la prima notte presso il Centro Sanitario;

–  Il sistema di chiamata nella cella era difettoso; era stato premuto fino a 17 minuti prima che l’allarme fosse lanciato da Richard Linford battendo alla porta e la sirena di avviso non era suonata o se lo aveva fatto era stato solo brevemente. Se essa avesse funzionato una pronta risposta avrebbe potuto forse salvare la vita di Christopher Edwards. Il sistema poteva essere manomesso semplicemente incastrando un fiammifero dietro il bottone di ripristino sul pannello di controllo e non poteva escludersi che ciò fosse stato fatto da un agente o un detenuto che desiderava una “notte tranquilla”. Il fatto che potesse essere disabilitato così facilmente rendeva il sistema inadeguato ed insicuro. Si notò inoltre che per buona pratica, quando il sistema di chiamata di una cella è difettoso gli occupanti devono essere spostati in altra cella o deve essere adottato un sistema di monitoraggio visivo, in quanto una cella non può certificarsi agibile senza un sistema di comunicazione funzionante;

–  Richard Linford aveva una storia di esplosioni violente ed aggressioni, incluso una precedente aggressione a un compagno di cella in prigione. Egli era stato ricoverato in ospedale psichiatrico nel 1988, e conseguentemente era stato diagnosticato come schizofrenico. A dispetto degli episodi psicotici e altri accertamenti, egli non fu ricoverato in ospedale dopo il settembre 1994 in quanto non fu considerato sofferente di una forma acuta di malattia mentale. Il 24 Ottobre 1994 fu tenuta una riunione sul caso, in cui uno dei medici generici di Richard Linford ed un agente di polizia espressero l’opinione che egli fosse capace di seria violenza od omicidio. Tuttavia non fu portato avanti alcun accertamento formale sui rischi. Il consulente psichiatra non considerò che il rischio per la pubblica incolumità fosse serio e si decise di fare un ultimo tentativo di convincere Richard Linford a prendere le medicine prescritte prima di detenerlo ai sensi della sezione 3 del  1983 Act. Il 7 Novembre 1994, venne riportato al medico che Richard Linford stava rifiutando le medicine prescritte;

–  Dopo l’arresto di Richard Linford il 26 novembre, non fu fatto alcun tentativo di reperire le sue note mediche prima del controllo. L’addetto alla registrazione psichiatrica non era a conoscenza del consulto sul caso né del proposito di ricoverarlo;

–  Non fu compilato alcun modulo CID2 dalla polizia per Richard Linford nonostante i suoi attacchi a due agenti, in quanto gli agenti non erano a conoscenza dell’esistenza del modulo;

–  La polizia, l’accusa e i magistrati erano informati che Richard Linford era stato descritto come pericoloso ma non era stato dato alcun avviso formale alle autorità della prigione;

–  Alla prigione di  Chelmsford, Richard Linford fu esaminato dal signor  N., che non sapeva nulla di lui se non che era stato “difficile” alla stazione di polizia; anche se munirlo di un modulo CID2 non sarebbe stato determinante, informazioni sulle sue precedenti detenzioni (e ricoveri in ospedale) avrebbero potuto favorire un controllo più accurato ed avrebbe potuto avere dubbi sufficienti da indurlo a ricoverarlo presso il Centro Sanitario nonostante l’assenza di reali sintomi bizzarri.

In seguito alla pubblicazione del Rapporto , i ricorrenti chiesero un parere legale sulla disponibilità di azioni civili che potessero avviare alla luce delle risultanze dell’Inchiesta . All’incontro del 2 Ottobre 1998 essi furono informati che non era ancora disponibile alcuna azione civile. L’Inchiesta  non aveva fatto rilevanti scoperte riguardo l’eventuale lasso di tempo trascorso tra il ferimento del figlio e la sua morte, il che avrebbe determinato se essi vantassero dei diritti al risarcimento relativi alla pena e alla sofferenza vissuti dal proprio figlio prima della sua morte.

Con lettera del 25 Novembre 1998, il Crown Prosecution Service confermò la propria precedente decisione che le prove fossero insufficienti per procedere alla formulazione di accuse penali. Il consulente dei ricorrenti li avvisò il 10 dicembre 1998 che nonostante le numerose manchevolezze, c’era materiale insufficiente per formulare un’accusa penale di grave negligenza contro qualsiasi individuo o agenzia.

Con lettera datata 15 Dicembre 2000, l’Autorità della Polizia per i Reclami fornì ai ricorrenti un Rapporto  sul loro reclamo relativo alla condotta della polizia nel comportamento verso Christopher Edwards e nelle susseguenti indagini sulla morte. Il Rapporto  supportava quindici dei reclami e faceva numerose raccomandazioni alla polizia dell’Essex in relazione alla pratica ed alla procedura. Essa rilevava, inter alia, una violazione del Codice della pratica ai sensi del PACE [i] nel fatto che la polizia non avesse convocato un dottore presso la stazione di polizia quando il comportamento di  Christopher Edwards li aveva indotti a pensare che potesse soffrire di qualche malattia mentale e per quanto riguardava l’omessa compilazione dei moduli CID2 da parte degli agenti identificando  Christopher Edwards e Richard Linford come rischi eccezionali sulla base di disturbi mentali, gli agenti in oggetto non erano stati sufficientemente informati  sull’esistenza e lo scopo di quei moduli. Essa inoltre confermò il reclamo sulle indagini della polizia dopo la morte, incluso l’omesso controllo da parte degli investigatori del pulsante della cella per stabilire il suo stato di effettività, la perdita della lista dei detenuti nel reparto in oggetto la notte dell’incidente ed il mancato interrogatorio di persone determinanti in prigione, ad esempio il signor N., operatore sanitario, il dottore della prigione e l’agente di custodia della prigione riguardo alla accusa di negligenza penale sollevata dai ricorrenti.

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

 A.  Procedimento per morte causata da negligenza

Secondo la common law, nessuno può pretendere il risarcimento del danno per la morte di un altro.

Il Fatal Accidents Act 1976 conferisce un diritto di azione per un atto erroneo che abbia causato la morte. La Sezione 1(1) recita:

“Se la morte è causata da un qualche atto erroneo, negligenza od omissione che è tale che (se non avesse avuto conseguenze mortali) avrebbe dato titolo alla persona ferita di intraprendere un’azione e chiedere il relativo risarcimento danni, la persona che sarebbe stata citabile se la morte non fosse occorsa può essere citata  per danni,  malgrado la morte della persona danneggiata.”

Del diritto all’azione previsto dalla legge sono tuttavia titolari le persone mantenute dal deceduto (sezione 1(2)) il che consente il risarcimento della loro perdita patrimoniale. Se non c’è mantenimento, non c’è neanche perdita patrimoniale da risarcire come danno.  I danni per lutto (fissati in 7500 sterline britanniche) sono disponibili solo per i genitori di un figlio minore di 18 anni (sezione 1A(2)). Le spese funebri sono risarcibili (sezione 3(5)).

La legge di riforma (Miscellaneous) Provisions Act 1934 stabilisce la sopravvivenza delle  azioni a beneficio del patrimonio personale del deceduto. La sezione 1(1) stabilisce per ciò che rileva :

“Soggetti alle condizioni poste da questa  sezione, alla morte di qualsiasi persona successiva all’emanazione di questo Act, tutti i mezzi di azione esistenti contro di lui o a lui conferiti devono sopravvivere contro o, a seconda delle circostanze, a beneficio, del suo patrimonio.”

Ciò abilita azioni per conto del patrimonio per  danni da perdite in cui fosse incorso il defunto prima della sua morte, inclusa ogni perdita non pecuniaria come danni per dolore e sofferenze provate  tra il momento  in cui è stata inferta una lesione e la morte. Laddove al morte sia istantanea o non possa essere provato che il defunto abbia provato pene e sofferenze prima di morire, i danni non sono risarcibili ai sensi dell’Act del 1934 ed il solo ammontare risarcibile consiste nelle spese funebri.

B.  Casi ai sensi del Human Rights Act  del 1998

Due casi sono emersi dall’entrata in vigore del Human Rights Act del 1998 il 2 ottobre 2000 riguardanti la morte in custodia nei quali le corti interne hanno verificato la compatibilità con le previsioni degli articoli 2 e 3 della Convenzione.

In R. su ricorso di Wright contro il Segretario di Stato per il Dipartimento  degli Interni([2001] EWHC Admin 520, 20 giugno 2001), il procedimento fu intentato dalla madre e la zia di un uomo che morì in custodia a seguito di un forte attacco di asma sostenendo che le cure apprestategli prima della morte non si attenevano agli articoli 2 e 3  della Convenzione e che non c’era stata una Inchiesta  adeguata sulla sua morte. L’Alta Corte ritenne che fosse argomentabile che il servizio di assistenza della  Prigione avesse violato gli articoli 2 e 3 nelle cure prestate a questo detenuto e che, dato che l’Inchiesta  ed il procedimento civile non costituiscono una indagine ufficiale ed effettiva rispetto agli obblighi procedurali richiesti da queste previsioni, i ricorrenti avevano il diritto ad un ordinanza che il Segretario di Stato avviasse un’indagine indipendente sulle circostanze della morte. Nonostante la morte fosse anteriore al 2 Ottobre 2000, la corte stabilì che vi era una obbligo continuato dopo quella data ad avviare indagini effettive nelle speciali circostanze di quel caso in cui la morte fosse ancora oggetto di dibattito e controversie.

In R. su ricorso di Amin contro il   Segretario di Stato per il Dipartimento degli Interni ([2001] EWHC Admin 719, 5 Ottobre 2001), in cui il diciannovenne Zahid Mubarek fu bastonato fino alla morte da un detenuto violento e razzista, si sostenne che il Segretario di Stato non aveva avviato una indagine aperta e pubblica sulle circostanze della morte. L’Alta Corte  trovò che l’Inchiesta  interna avviata dalla Prigione ed il processo penale dell’assalitore non costituissero un’effettiva indagine ai fini degli obblighi processuali previsti dall’ articolo 2, principalmente in quanto non si stabiliva perché in quella notte Zahid Mubarek stava dividendo la cella col proprio assalitore. Ai ricorrenti fu così riconosciuta la dichiarazione che una indagine indipendente e pubblica con la rappresentanza legale della famiglia, fornita di tutta la documentazione rilevante e con la facoltà di provvedere all’esame incrociato dei principali testimoni doveva essere aperta per adempiere agli obblighi imposti dall’articolo 2 della Convenzione.

IN DIRITTO

I.  SULLA PRETESA VIOLAZIONE Dell’ ARTICOLO 2 DELLA CONVENZIONE

L’articolo 2 della Convenzione nella sua prima frase recita:

“1.  Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge  . ...”

I ricorrenti lamentano che le autorità governative convenute abbiano mancato di proteggere la vita del proprio figlio e siano responsabili della sua morte. Essi inoltre lamentano che l’ indagine sulla morte del proprio figlio non sia stata né adeguata né effettiva come richiesto dagli obblighi procedurali imposti dall’articolo 2 della Convenzione.

A.  Riguardo l’obbligazione positiva di proteggere la vita

1. Allegazioni delle parti

(a)  I ricorrenti

I ricorrenti sostengono che ci fu una violazione dell’obbligazione positiva imposta alle autorità di proteggere la vita del proprio figlio. Per quanto lo scopo di un tale obbligo positivo possa essere vario, esso è particolarmente stringente quando un individuo sia morto in stato di detenzione. La questione era se le autorità conoscessero o avrebbero dovuto essere  a conoscenza della esistenza di un rischio reale ed immediato per la sua vita per atto criminale di un terzo e se abbiano fallito nel prendere misure appropriate per quanto in loro potere che, giudicate ragionevolmente, ci si può aspettare avrebbero prevenuto tale rischio. Fu scorretto dunque concentrarsi su quello che le autorità sapevano, come proposto dal Governo, – un approccio soggettivo – invece dell’approccio oggettivo di considerare ciò che le autorità avrebbero dovuto sapere. E’ chiaro che le autorità della  prigione sapevano, o quanto meno avrebbero dovuto sapere, che vi era un reale ed immediato pericolo per la vita di Christopher Edwards quando  hanno posto Richard Linford nella sua cella. Essi erano o avrebbero dovuto essere al corrente della situazione di pericolosità di Richard Linford  e della vulnerabilità di Christopher Edwards. Che le autorità sapevano è confermato, inter alia, dall’evidenza raccolta nell’Inchiesta  che indicava che gli agenti della  prigione sapevano che Christopher Edwards necessitava di stare isolato dagli altri detenuti per la sua stessa incolumità e che essi conoscevano Richard Linford, che aveva fatto a botte, non era in condizioni di stare con altri detenuti. La sola ragione fornita per porre entrambi i detenuti insieme fu per liberare una cella per altri detenuti. L’affermazione del Governo che la procedura applicata al ricevimento dei detenuti fu adeguata è in contrasto con i cambiamenti fatti nel sistema successivamente  a questo caso  e ad altri che hanno sollevato la pubblica opinione sul controllo delle condizioni mentali dei detenuti al loro ingresso in prigione.

I ricorrenti si riferiscono ai risultati dell’Inchiesta  che trovano varie mancanze di una pubblica autorità a passare all’altra le informazioni sul rischio che Richard Linford rappresentava. In particolare, nonostante la polizia, il servizio di pubblica accusa e i giudici fossero tutti al corrente che egli fosse pericoloso ed incline alla violenza, non fu trasmesso alcun avvertimento formale alla prigione, né fu resa disponibile alcuna informazione sulle sue passate documentazioni penali o mediche. Inoltre,  l'obbligo positivo imposto dall’articolo 2 grava su tutte le pubbliche autorità non solo sulle autorità della prigione. L’Inchiesta  non avrebbe dovuto essere costruita tanto strettamente da concentrarsi solo su un particolare ente o agente in carico della vittima al momento dell’incidente, ma avrebbe dovuto prendere in considerazione le mancanze sistemiche coinvolgenti numerose autorità diverse.

Con riferimento alle conoscenze disponibili, o che avrebbero dovuto esserlo, le autorità avrebbero ragionevolmente dovuto porre Christopher Edwards e Richard Linford in  celle separate o alternativamente essi avrebbero potuto far riparare il cicalino della cella che si sapeva essere difettoso o organizzare un monitoraggio visivo effettivo della cella in cui si trovavano. Questo caso si differenzia dal caso Osman  (Osman c. Regno Unito sentenza del 28 Ottobre 1998, Reports of Judgments and  Decisions 1998‑VIII) che riguardava una serie di opportunità mancate in una  indagine che avrebbe possibilmente condotto alla detenzione dell’individuo che aveva ucciso, poiché in questo caso Christopher Edwards fu attivamente esposto al rischio di lesioni da un terzo dalle stesse autorità che lo avevano in custodia. Ognuna delle mancanze identificate è stata un fattore che ha dato un contributo significativo in una catena di omissioni che sono culminate nella fatale decisione di mettere Richard Linford in una cella con Christopher Edwards.

(b)  Il Governo

Il Governo sostiene che non vi è stata violazione di nessuna delle obbligazioni positive imposte dall’articolo 2  per proteggere il diritto alla vita di Christopher Edwards. Le informazioni disponibili alle autorità della prigione nel periodo antecedente la sua morte, se guardate obiettivamente e senza una conoscenza ex post, dimostrano  che non vi fu alcun rischio reale o immediato di cui le autorità della prigione erano o avrebbe dovuto essere  a conoscenza. Deve aversi riguardo alla evidenza medica disponibile e alla considerazione che le autorità dovevano agire in modo da rispettare gli altri  diritti e le libertà degli individui.

Nel caso di specie, un operatore sociale esperto e un consulente psichiatrico hanno ritenuto che Christopher Edwards fosse in condizioni idonee alla detenzione presso una stazione di polizia e non richiedesse attenzioni mediche urgenti. Anche se fosse stato chiamato un medico presso la stazione di polizia, è improbabile che questo avrebbe avuto alcuna conseguenza pratica su ciò che è accaduto. L’Inchiesta  ha accertato che il parere dato dal consulente psichiatrico che Christopher Edwards fosse in condizioni compatibili con la detenzione fu ragionevole. E’ inoltre una questione di supposizioni se nel caso in cui la polizia avesse compilato il modulo CID2, ciò avrebbe condotto al suo ricovero nel Centro per la Salute della Prigione di Chelmsford. Quando  Christopher Edwards fu ammesso in prigione e esaminato per l’ingresso al centro sanitario, non vi fu alcun sintomo di comportamento bizzarro. Né il Governo accetta che vi fu alcuna mancanza nella trasmissione delle informazioni sulla sua malattia alla prigione. Un agente di polizia telefonò dalla Corte per informare il ricevimento della prigione che la Corte avrebbe voluto ricoverarlo secondo il Mental Health Act del 1983; un agente di custodia lasciò un messaggio che Christopher Edwards poteva costituire un rischio per le donne, mentre il primo ricorrente informò l’agente di custodia della prigione dello stato di salute mentale del proprio figlio. Essi sottolinearono che era necessario sottoporre a visita un detenuto al suo ingresso in prigione se l’operatore del servizio sanitario dichiarava che egli necessitasse attenzioni mediche immediate, essendo lo scopo del controllo principalmente quello di una rapida individuazione di quei detenuti bisognosi di cure urgenti. L’attuale politica è che i nuovi detenuti devono essere visitati da un medico entro 24 ore dalla loro ammissione, essendo impossibile in una prigione affollata compiere visite accurate di tutti i nuovi detenuti al loro ingresso.

Il Governo sostiene inoltre che era normale comportamento della  prigione che i detenuti dividessero la cella e non c’era evidenza che le autorità della prigione fossero al corrente del difetto di funzionamento del sistema di chiamata di quella cella. Inoltre, dopo l’arresto, Richard Linford fu ritenuto da due dottori non mostrare segni di psicosi e  fu successivamente visto agire normalmente e senza aggressività. Anche se il dottore che lo visitò in questa fase avesse visto le sue note mediche ed avesse contattato il suo psichiatra avrebbe acconsentito a che Linford rimanesse in detenzione. Linford non fu inoltre trovato agire in modo tale da giustificare un suo ricovero al centro sanitario della prigione. Furono i suoi insulti e il suo comportamento poco cooperativo ad indurre in un primo tempo a porlo in una cella da solo, e non un qualche sospetto di disordini mentali. Anche se fosse stato compilato un modulo  CID2 dunque, sarebbe solo una supposizione che questo avrebbe fatto una qualche differenza,  così come anche lo sarebbe trarre conclusioni sull’omissione nella trasmissione di informazioni su Linford. Quando i due detenuti furono visti insieme per l’ultima volta, non c’era alcun sospetto che Richard Linford avrebbe agito violentemente contro il suo compagno di cella.

Il Governo accetta che le conclusioni dell’Inchiesta  sono state critiche sul collasso “sistemico” di numerosi meccanismi che, presi assieme, hanno contribuito alla morte di  Christopher Edwards. Ciò tuttavia non dimostra che le autorità abbiano omesso di adempiere alle proprie obbligazioni positive. Il Governo si addolora per lo stato delle cose ed  in particolare, del relativo fallimento del sistema di chiamata della cella che è stato provato essere di facile manomissione. Nessun sistema tuttavia può escludere del tutto la possibilità di difetti di funzionamento. Esse (le Autorità governative –n.d.t.) sostengono che queste questioni non sono sufficienti a portare alla conclusione che  le autorità abbiano fallito nel fare ciò che ragionevolmente gli era dato di fare allo stato delle loro conoscenze del momento.

2.  Le valutazioni della Corte

(a)  Principi Generali

La Corte ricorda che la prima frase dell’articolo 2 § 1 impone allo Stato non solo di astenersi dal portar via la vita intenzionalmente  ed illegalmente, ma anche di prendere tutte le misure appropriate per salvaguardare le vite di coloro che cadono sotto la propria giurisdizione (vedi L.C.B. c. Regno Unito sentenza del 9 Giugno 1998,Reports 1998-III, p. 1403, § 36). Ciò implica un dovere primario dello Stato ad assicurare il diritto alla vita sviluppando norme penali efficaci che fungano da deterrente alla commissione di offese contro la persona completato da un meccanismo di applicazione della legge per la prevenzione, soppressione e punizione delle violazioni di quelle norme. Ciò si estende anche in determinate circostanze ad un obbligo positivo in capo alle autorità di prendere misure preventive per proteggere un individuo la cui vita sia a rischio di atti criminosi da parte di un altro individuo (vedi la sentenza Osman, citata sopra, § 115).

Tenendo a mente le difficoltà nel proteggere le società, l’imprevedibilità della condotta umana e le scelte operative che devono essere fatte in termini di priorità e risorse, lo scopo dell’ obbligo positivo deve essere interpretato in modo che non imponga oneri impossibili o sproporzionati alle autorità. Non tutti i rischi per la vita reclamati possono allora implicare per le autorità una prescrizione della  Convenzione a prendere misure operative per prevenirne la materializzazione. Perché emerga una obbligazione positiva, deve essere stabilito che le autorità erano o avrebbero dovuto essere  al momento della esistenza di un rischio  reale ed immediato per la vita di un individuo specifico a causa di atti criminosi di una terza parte e che esse abbiano mancato di intraprendere misure in loro potere che giudicate ragionevolmente, avrebbero potuto considerarsi idonee ad evitare il rischio (vedi la sentenza Osman, citata sopra, § 116).

Nel contesto dei detenuti, la Corte ha avuto precedenti occasioni per sottolineare che le persone in stato di detenzione sono in una posizione vulnerabile e che le autorità hanno il dovere di proteggerle. E’ compito dello Stato dar conto di qualsiasi lesione sofferta in stato di detenzione, obbligo che è particolarmente stringente quando quell’individuo muoia (vedi p.e. Salman c. Turchia [GC] no. 21986/93, CEDU 2000-VII, § 99). Si può notare che questo bisogno di verifica è conosciuto dal diritto interno di Inghilterra e Galles, dove le inchieste relative alla morte di persone in prigione vengono aperte automaticamente e le corti nazionali hanno imposto un dovere di protezione alle autorità della prigione verso coloro che sono detenuti in loro custodia.

(b)  Applicazione nel caso di specie

Christopher Edwards fu ucciso mentre era detenuto in custodia cautelare da Richard Linford, un detenuto pericoloso e malato di mente, che era stato posto nella sua cella. Come detenuto egli ricadeva sotto la responsabilità delle autorità che erano obbligate ai sensi della legge interna e della Convenzione a proteggere la sua vita. La Corte ha esaminato, in primis, se le autorità fossero o avrebbero dovuto essere a conoscenza della esistenza di un rischio reale ed immediato per la vita di Christopher Edwards a causa di Richard Linford e in secundis, se esse abbiano mancato di intraprendere le misure in loro potere che, giudicate ragionevolmente, avrebbero potuto ritenersi idonee ad evitare quel rischio.

Per quanto concerne lo stato di conoscenza delle autorità, la Corte nota che  fu ritenuto nel Rapporto  dell’Inchiesta  che qualsiasi detenuto avesse diviso la cella con Richard Linford quella notte avrebbe rischiato la propria vita. Sembra dunque alla Corte che la questione essenziale sia se le autorità della prigione fossero o avrebbero dovuto essere a conoscenza della sua estrema pericolosità nel momento in cui fu presa la decisione di porlo nella stessa cella di Christopher Edwards.

Che Richard Linford fosse mentalmente malato lo sapevano i dottori che lo avevano in cura– egli era stato ricoverato in ospedale nel 1988 e diagnosticato quale schizofrenico. Aveva inoltre una storia di esplosioni e aggressioni. Tuttavia, alcune settimane prima del suo arresto il 26 Novembre 1994, quando i timori che fosse capace di serie violenze erano aumentati, il suo psichiatra ritenne che doveva essere fatto un altro sforzo di controllare i suoi comportamenti attraverso le medicine prima che fossero avviate le pratiche per detenerlo ai sensi del  Mental Health Act  del 1983. Alla stazione di polizia, dopo il suo arresto, il suo comportamento bizzarro indusse la polizia a sospettare che fosse mentalmente malato e il medico della polizia ritenne che il suo stato fosse tale da essere incompatibile con la detenzione. Questa opinione fu superata, in certo modo con sorpresa  della polizia, dall’infermiere psichiatrico che lo esaminò e concluse che il suo comportamento poteva essere il risultato di un abuso di sostanze ed un tentativo deliberato di mistificazione. L’infermiere non consultò le note su Richard Linford che gli avrebbero mostrato che egli era in considerazione per il ricovero coatto. Mentre era alla stazione di polizia,  il comportamento di Richard Linford  continuò a fluttuare con episodi violenti e bizzarri. Quando giunse alla prigione dopo essere stato confermato in custodia dalla corte, presentava diversi segni di lesioni e l’operatore del servizio di controllo medico sapeva che era “difficile”. L’operatore tuttavia non era stato avvisato della sua fedina penale né di suoi precedenti ricoveri in ospedale e la polizia, l’accusa e la corte non trasmisero alcuna informazione dettagliata sulla sua condotta e la sua nota storia di disturbi mentali.

La Corte ritiene che erano disponibili informazioni atte ad  identificare Richard Linford come sofferente di disturbi mentali con un passato di violenze sufficientemente serie da meritare la proposta del ricovero coatto e che questo in combinazione col comportamento bizzarro e violento tenuto durante e dopo l’arresto dimostravano che era un reale e serio rischio per gli altri e, nelle circostanze del caso, per Christopher Edwards quando posto nella sua cella.

Con riguardo alle misure che avrebbero potuto ragionevolmente essere prese per evitare il rischio, la Corte osserva che le informazioni concernenti la storia medica di Richard Linford’s e l’insita pericolosità  avrebbero dovuto essere portate all’attenzione delle autorità della prigione, ed in particolare dei responsabili a decidere se porlo nel centro sanitario o nelle celle regolari con altri prigionieri. Ciò non è accaduto. C’è stata una serie di mancanze nella trasmissione delle informazioni,  dalla mancata consultazione delle note su Richard Linford per ottenere un quadro chiaro da parte del segretario, la mancata compilazione del modulo CID2 (rischio eccezionale) da parte della polizia ed il mancato compimento da parte di polizia, pubblica accusa o corte dei passi necessari per informare le autorità della prigione in ogni altro modo della sospetta pericolosità ed instabilità di Richard Linford.

Il Governo ha sottolineato che se anche fosse stato compilato un modulo CID2 dalla polizia, ciò non avrebbe decisivamente portato la prigione a collocare  Richard Linford nel centro sanitario piuttosto che in cella con un altro detenuto. Essi sostengono che il procedimento di controllo si concentrò sul comportamento del detenuto al momento della ammissione e non era richiesto che fosse un esame medico o psichiatrico completo, un dottore generalmente visitava ciascun detenuto entro un giorno dall’arrivo. Tuttavia il Rapporto  dell’Inchiesta  ha ritenuto che se l’operatore sanitario addetto al controllo fosse stato propriamente informato sul passato di Richard Linford, egli avrebbe probabilmente prestato maggiore attenzione, notando che Linford aveva mentito nelle sue risposte al test ed avrebbe probabilmente in queste circostanze operato con eccesso di cautela ed evitato di porlo nella collocazione ordinaria. E’ vero che questa è fino  a un certo punto una congettura. Tuttavia la Corte ritiene che sia ovvio che il procedimento di controllo nei nuovi arrivi in una prigione dovrebbe servire ad identificare effettivamente quei detenuti che richiedano per il loro stesso benessere o per quello di altri detenuti di essere posti sotto speciale supervisione medica. Le carenze nelle informazioni fornite al personale incaricato del ricevimento in  prigione si sono unite in questo caso alla  natura breve e frettolosa dell’esame fatto dall’operatore sanitario addetto che è stato ritenuto dall’Inchiesta  essere inadeguatamente formato e agire nell’assenza di un dottore  a cui avrebbe potuto fare ricorso in caso di difficoltà o dubbi.

Emerge inoltre dal Rapporto  dell’Inchiesta  che ci furono inoltre parecchi errori nel modo in cui Christopher Edwards fu trattato dal suo arresto fino al collocamento in una cella condivisa. In particolare, nonostante il suo stato mentale disturbato, non fu chiamato alcun dottore per visitarlo presso la stazione di polizia, non fu compilato il modulo CID2 dalla polizia e vi fu l’omissione della trasmissione al sistema di controllo della prigione delle informazioni fornite informalmente dai ricorrenti, dagli agenti di custodia presso la corte e da un agente di polizia in particolare. Tuttavia, nonostante fosse ovviamente desiderabile che Christopher Edwards fosse detenuto o in un ospedale o nel centro sanitario della  prigione, la sua vita fu posta a rischio dalla introduzione nella sua cella di un detenuto pericoloso ed instabile e sono le manchevolezze a questo riguardo che sono più rilevanti per l’esito di questo caso. Sulle stesse basi, mentre la Corte depreca che il tasto di chiamata della cella, che avrebbe dovuto essere di salvaguardia, era difettoso, ritiene che in base alle informazioni disponibili per le autorità, Richard Linford non avrebbe dovuto in primo luogo essere posto nella cella di Christopher Edwards.

La Corte conclude che la mancata trasmissione delle informazioni su Richard Linford alle autorità della prigione da parte delle agenzie coinvolte in questo caso (medici, polizia, accusa e Corte) e la natura inadeguata del processo di controllo su Richard Linford al suo arrivo in prigione costituisca una violazione dell’obbligo dello Stato di proteggere la vita di Christopher Edwards. C’è dunque stata una violazione dell’ articolo 2 a questo riguardo.

B.  L’obbligo procedurale di avviare indagini effettive

1.  Posizioni delle Parti

(a)  I ricorrenti

I ricorrenti considerano che gli obblighi procedurali ai sensi dell’ articolo 2 richiedevano alle autorità di condurre una indagine effettiva sulle circostanze della morte del proprio figlio. Ogni distinzione tra atti od omissioni di agenti dello Stato era irrilevante, essendo l’obiettivo assicurare la responsabilità per le morti occorse sotto la potenziale responsabilità dello  Stato. Mentre non era imposta una particolare forma di inchiesta , essi sostengono che era richiesto un più rigoroso controllo in questo caso per il fatto che le  circostanze in cui Christopher Edwards morì non  erano chiare, non c’era stato alcun processo penale in quanto Richard Linford si era dichiarato colpevole di omicidio preterintenzionale con l’attenuante della parziale incapacità e non ci fu alcuna Inchiesta  del Coroner. Né l’indagine della polizia fu efficace avendo riguardo alle doglianze sollevate dal PCA.

Neanche l’Inchiesta  non prevista dalla legge costituì dal loro punto di vista un’indagine effettiva. Essi si riferiscono al fatto che l’Inchiesta  fu privatamente commissionata dalle stesse agenzie che erano oggetto di indagine e che hanno fissato i parametri di riferimento e nominato il capo dell’inchiesta  il comitato ed il consiglio. Il procedimento si è svolto privatamente ed i ricorrenti sono potuti intervenire solo per testimoniare. I ricorrenti non sono stati legalmente rappresentati né hanno potuto procedere al controesame dei testimoni. Inoltre l’Inchiesta  non aveva  poteri coattivi sui testimoni. Molti testimoni non sono comparsi tra cui testimoni chiave, un agente della  prigione che era passato dalla cella poco prima che Christopher Edwards morisse. Dunque l’Inchiesta  è stata privata di “prove potenzialmente significative”. Inoltre essa non fu né immediata né ragionevolmente rapida, essendo iniziata solo nel maggio del 1996 ed essendo stato pubblicato il Rapporto  finale qualcosa come tre anni e mezzo più tardi nel Giugno 1998, prendendo il tempo per dare ai testimoni un’opportunità per commentare sulle bozze in un procedimento a cui gli stessi ricorrenti non avevano titolo per partecipare.

(b)  Il Governo

Riguardo agli obblighi procedurali ai sensi dell’articolo 2, il Governo sottolinea che ciò che si richiede varia inevitabilmente con le  circostanze e non si richiede invariabilmente un particolare tipo di indagine o che la famiglia della vittima abbia diritti alla rappresentanza legale, per esempio. L’obbligo primario ai sensi dell’ articolo 2 è che lo Stato si astenga da ogni illegale sottrazione della vita. Negli altri casi in cui il rimprovero è di negligenza saranno chieste indagini meno formali, se necessarie, e la disponibilità di procedimenti civili potrà bastare. Il fulcro dell’articolo 2 è l’effettività della indagine e non il diritto ad un equo e pubblico processo per particolari individui. Si sostiene che l’Inchiesta  non prevista dalla legge in questo caso è stata una indagine effettiva: essa è stata diretta da un avvocato esperto; i suoi membri erano professionisti esperti; i suoi parametri di riferimento sono stati ampli e scelti per consentire l’indagine più completa possibile; essa è stata la più lunga e costosa inchiesta  di questo tipo (durando 3 anni e costando circa un milione di sterline inglesi) ed è stata condotta da una società indipendente di avvocati. Il fatto che l’Inchiesta  sia stata commissionata da agenzie che erano in parte soggette all’indagine e ne hanno nominato il direttore non toglie la sua indipendenza. Erano precisamente quelle agenzie ad avere la migliore ragione per avviare l’inchiesta  così che esse potessero imparare la lezione per il futuro.

Il fatto che l’inchiesta  si sia svolta in privato, come molte inchieste inquisitorie, nulla ha tolto  alla sua effettività. Né costituisce un argomento la sua inabilità a coartare i testimoni in quanto non ha impedito alla commissione di inchiesta  di svolgere una indagine approfondita e raggiungere risultati  molti dei quali critici delle autorità. Non c’è stata alcuna indicazione che l’agente della prigione mancante che aveva prodotto due dichiarazioni testimoniali scritte avesse qualcosa di differente o aggiuntivo da dire all’inchiesta . E’ stato assicurato un sufficiente controllo pubblico attraverso la pubblicazione del rapporto  ed i  ricorrenti sono stati in grado di partecipare all’Inchiesta  nella misura necessaria a salvaguardare i loro interessi legittimi, cioè, testimoniando.

2.   Valutazione  della Corte 

(a)  Principi generali

L’ obbligo di proteggere il diritto alla vita secondo l’articolo 2 della Convenzione, letto congiuntamente con il dovere generale dello Stato ai sensi dell’articolo 1 della Convenzione di “riconoscere ad ogni persona sottoposta alla [loro] giurisdizione i diritti e le libertà enunciati nella Convenzione”, implica che debba esserci anche una qualche forma di indagine ufficiale quando degli  individui siano stati uccisi come risultato dell’uso della forza (vedi, mutatis mutandis, la sentenza McCann e Altri contro il Regno Unito del 22 settembre 1995, Serie A n. 324, p. 49, § 161; e la sentenza Kaya contro Turchia del 19 febbraio 1998, Reports 1998-I, p. 324, § 86). L’obiettivo principale di questa indagine è assicurare l’effettiva applicazione delle leggi interne che proteggono il diritto alla vita e, in quei casi che coinvolgano agenti od organismi dello Stato, assicurare la loro imputabilità  per morti avvenute sotto la propria responsabilità. Quale forma di indagine raggiunga questi risultati può variare in differenti circostanze. Tuttavia, qualsiasi sistema sia impiegato, le autorità devono agire conformemente al proprio ruolo, una volta che la questione giunga alla loro attenzione. Esse non possono lasciare alla iniziativa dei parenti prossimi la presentazione di una protesta formale o l’ assunzione della responsabilità per la conduzione di una qualche procedura d’inchiesta   (vedi, per esempio, mutatis mutandisİlhan contro Turchia [GC] n. 22277/93, CEDU 2000-VII, § 63).

Perché un’indagine su una pretesa morte illegale causata da agenti dello  Stato sia effettiva, si dovrebbe generalmente considerare  come necessario per le persone responsabili e che conducono l’ indagine essere indipendenti da coloro che sono implicati negli eventi (vedi per esempio la sentenza Güleç c. Turchia del 27 luglio 1998, Reports 1998-IV, §§ 81-82; Öğur c. Turchia, [GC] n. 21954/93, CEDU 1999-III, §§ 91-92). Ciò significa non solo l’assenza di connessioni gerarchiche o istituzionali ma anche una indipendenza pratica (vedi, per esempio, la sentenza Ergı c. Turchia del 28 luglio 1998, Reports 1998-IV, §§ 83-84, e i recenti casi Nord Irlandesi, per esempio Hugh Jordan c. Regno Unito [Sezione 3], n. 24746/94, § 120, e Kelly e Altri c. Regno Unito [Sezione 3], n. 30054/96, § 114, sentenze del 4 maggio 2001).

L’indagine deve anche essere effettiva nel senso di essere capace di portare all’individuazione del se la forza usata in questi casi  fosse o non fosse giustificata dalle circostanze (per esempio la sentenza Kaya c. Turchia, citata sopra, p. 324, § 87) e all’identificazione e punizione dei responsabili (Öğur c. Turchia, citata sopra, § 88). Questa non è un’ obbligazione di risultato, ma di mezzi. Le autorità devono aver compiuto tutti i passi loro disponibili per assicurare le prove riguardanti l’incidente, inclusi   inter alia testimonianze, prove legali e, dove appropriato, una autopsia che fornisca un referto accurato e completo delle lesioni e un’analisi oggettiva dei segni clinici, inclusa la causa della morte (vedi, per esempio, Salman c. Turchia, citata sopra, § 106; Tanrıkulu c. Turchia [GC], n. 23763/94, CEDU 1999-IV, § 109; Gül c. Turchia, 22676/93, [Sezione 4], § 89). Ogni mancanza nell’ indagine che ne indebolisca l’idoneità a stabilire la causa della morte o la persona o le persone responsabili rischierà di entrare in contrasto con questo standard (vedi i recenti casi Nord Irlandesi concernenti l’inidoneità delle Inchieste a pretendere la testimonianza delle forze di sicurezza direttamente coinvolte nell’uso di forza letale, per esempioHugh Jordan c. Regno Unito, citato sopra, § 127).

La necessità di immediatezza e ragionevole rapidità è implicita in questo contesto  (vedi la sentenza Yaşa c. Turchia del 2 settembre 1998, Reports 1998-IV, pp. 2439-2440, §§ 102-104; Cakıcı c. Turchia, citato sopra, §§ 80, 87 e 106; Tanrikulu c. Turchia, citato sopra, § 109; Mahmut Kaya c. Turchia, n. 22535/93, [Sezione I] CEDU 2000-III, §§ 106-107). Mentre possono esserci ostacoli o difficoltà che impediscono il progredire   di una indagine in una particolare situazione, una risposta pronta delle autorità nell’investigare un uso di forza letale deve generalmente essere considerato come essenziale per mantenere la fiducia dell’opinione pubblica nella loro aderenza  alle regole della legge e nell’impedire ogni apparenza di collusione o tolleranza di atti illeciti (vedi per esempio Hugh Jordan c. Regno Unito, citato sopra, ai §§ 108, 136-140).

Per le stesse ragioni, deve esserci un sufficiente controllo pubblico della indagine o dei suoi risultati per garantire la rispondenza alle responsabilità in pratica così come in teoria. Il livello di verifica pubblica richiesto può ben variare da caso  a caso. In tutti i casi, tuttavia il parente prossimo della vittima deve essere coinvolto nella misura necessaria a salvaguardare il suo interesse legittimo (vedi Güleç c. Turchia, citato sopra, p. 1733, § 82; Öğur c. Turchia, citato sopra, § 92; Gül v. Turchia, citato sopra, § 93; e i recenti casi Nord Irlandesi,  per esempio McKerr c. Regno Unito [Sezione 3], n. 28883/95, CEDU 2000-III, § 148).

(b)  Applicazione al caso di specie

La Corte ritiene, prima di tutto, che si presentasse un obbligo procedurale di indagare sulle  circostanze della morte di Christopher Edwards. Egli era un detenuto sotto il controllo e la responsabilità  delle autorità quando morì per atto di violenza di un altro detenuto e in questa  situazione è irrilevante se agenti dello Stato fossero coinvolti per azione o omissione negli eventi che hanno portato alla sua morte. Lo Stato aveva l’obbligo di avviare e portare avanti una indagine che soddisfacesse i requisiti suddetti. I procedimenti civili, assumendo che fossero disponibili per i ricorrenti (vedi in seguito, sulla doglianza dei ricorrenti ai sensi dell’articolo 13 della Convenzione) cadendo sotto l’iniziativa dei parenti della vittima non sarebbero valsi  a soddisfare l’obbligazione dello Stato a questo riguardo.

La Corte osserva che non è stata aperta alcuna indagine su questo caso e che il procedimento penale in cui Richard Linford è stato condannato non ha comportato un processo in cui sono stati esaminati testimoni in quanto egli si dichiarò colpevole di omicidio preterintenzionale e fu soggetto ad ordinanza di custodia in ospedale. Il punto  di disputa tra le parti è se l’ Inchiesta sulla Custodia e Trattamento di Christopher Edwards e Richard Linford costituisse una procedura di indagine effettiva, soddisfacente i requisiti identificati sopra (paragrafi 68-72).

La Corte nota che questa Inchiesta sentì un ampio numero di testimoni e riesaminò in dettaglio il modo in cui i due uomini furono trattati dalle varie autorità mediche, di polizia, giudiziarie e della prigione. Il Rapporto  della Inchiesta lungo 388 pagine, ravvisa numerosi difetti e fa raccomandazioni per la prassi futura. E’ un documento meticoloso, in cui la  Corte non ha avuto alcuna esitazione a basarsi per stabilire i fatti e le questioni di questo caso. Nonostante ciò, i ricorrenti hanno impugnato il procedimento dell’Inchiesta per una serie di ragioni.

(i)  Pretese manchevolezze dell’indagine

I ricorrenti si sono lamentati che la polizia abbia omesso certe tappe fondamentali nella propria indagine per esempio essi abbiano omesso di verificare propriamente il campanello di chiamata difettoso e di interrogare alcuni testimoni della prigione ed abbiano perso una lista dei detenuti al piano, rendendo così impossibile convocare chiunque se non le guardie carcerarie.   Come sottolineato dal Governo tuttavia, i testimoni della  prigione in questione furono convocati prima della Inchiesta e non ci sono elementi che indichino che l’omissione della polizia abbia impedito alla loro testimonianza  di essere accurata o utile. Riguardo alla perdita della lista dei detenuti e l’incompleto controllo del campanello di chiamata, la Corte non è persuasa che questo abbia impedito all’ Inchiesta di stabilire i fatti principali del caso.

(ii)  Carenza del  potere di convocare coattivamente i testimoni

L’ Inchiesta non aveva poteri coattivi sui testimoni e come conseguenza due agenti carcerari non si sono presentati.  Uno degli agenti  della prigione era passato davanti alla cella poco prima che fosse scoperta la morte e l’Inchiesta riteneva che questa prova sarebbe stata potenzialmente significativa. Il Governo ha attratto l’attenzione sul fatto che questo testimone aveva in ogni caso, presentato due dichiarazioni e non c’era alcun indizio che avesse niente di diverso od in più da dire. Tuttavia, la Corte nota che egli non fu disponibile a che gli fossero poste delle domande che avrebbero potuto chiedere maggiori dettagli o chiarimenti o per la verifica di qualsiasi contraddizione od omissione in quella relazione.  I ricorrenti hanno sostenuto nelle loro osservazioni sulla ricevibilità che le dichiarazioni dei testimoni alla scena  in prigione erano state di  particolare importanza in quanto potenzialmente concernenti l’ora e la durata dell’aggressione (vedi la decisione sulla ricevibilità di questo caso del 7 Giugno 2001) e dunque potevano fornire elementi rilevanti per la loro richiesta di risarcimento danni.

La Corte ritiene che la mancanza di poteri coercitivi sui testimoni che siano testimoni oculari o abbiano prove materiali correlate alle circostanze di una morte debba considerarsi come diminuente l’efficacia dell’ Inchiesta come meccanismo investigativo. In questo caso, come nei casi Nord Irlandesi riferiti sopra, essa ha sottratto alla sua capacità di stabilire i fatti rilevanti per la morte, e dunque di raggiungere uno degli obiettivi richiesti dall’articolo 2 della Convenzione.

(iii)   Pretesa  mancanza di indipendenza

L’Inchiesta è stata avviata dal Servizio Carcerario, dalla municipalità della Contea dell’Essex, e dal Servizio Sanitario del  North Essex, che erano agenzie con responsabilità statutarie sia su Christopher Edwards che  su Richard Linford. Essi hanno stabilito i parametri di riferimento, nominato il direttore e i membri  della commissione così come gli avvocati che hanno assistito l’Inchiesta. Non appare tuttavia alla Corte dagli elementi presentati dal ricorrente che questa connessione tra le agenzie e l’Inchiesta la abbia privata della sua indipendenza. Il direttore era, come si richiede in caso di pubbliche inchieste, un membro anziano dell’ordine forense con esperienze giudiziarie, mentre gli altri membri erano dirigenti o con esperienza nei settori carcerario, di polizia o medico. Nessuno aveva legami gerarchici con le agenzie in questione. Non è stato affermato che  essi abbiano omesso di agire con indipendenza o abbiano subito pressioni. Essi hanno agito per quello che la Corte può vedere, come potere indipendente e non come dipendenti o agenti degli organismi la cui rispondenza ai loro doveri statutari era in considerazione. Né è dimostrato che gli avvocati nominati per assistere l’Inchiesta fossero presenti con qualsiasi funzione rappresentativa di quegli enti.

La Corte non trova mancanza di indipendenza nella Inchiesta.

(iv)   Pretesa  mancanza di verifica pubblica

L’Inchiesta si è svolta in privato, durante le  udienze per la raccolta di prove e testimonianze. Il suo rapporto  è stato reso pubblico, contenendo dettagliate dichiarazioni in fatto, critiche di errori delle varie agenzie coinvolte e raccomandazioni.

Il Governo sostiene che la pubblicazione del rapporto  abbia assicurato il grado  di pubblica verifica richiesto. La Corte ha indicato che la pubblicità di procedimenti o di risultati può soddisfare i requisiti dell’Articolo 2, se nelle circostanze del caso il grado di pubblicità garantisca la non impunità in pratica così come in teoria degli agenti dello Stato coinvolti negli eventi. Nel caso di specie, in cui il deceduto era un individuo vulnerabile che ha perso la propria vita in modo orrendo a causa di una serie di errori di enti e ufficiali pubblici che avevano la responsabilità di proteggere il suo benessere, la Corte ritiene che l’interesse pubblico correlato alle questioni sollevate dal caso fosse tale da richiedere la più amplia pubblicità possibile. Non è stata addotta alcuna ragione per tenere l’Inchiesta  in privato, non prevenendo ogni possibile considerazione di privacy medica la pubblicazione di dettagli sulla storia clinica di Richard Linford e Christopher Edwards.

84.  I ricorrenti, genitori del deceduto, furono messi in condizione di partecipare solo a tre giorni della Inchiesta quando essi stessi hanno testimoniato. Essi non sono stati rappresentati e non hanno potuto porre alcuna domanda ai testimoni, né attraverso il proprio avvocato né, per esempio, tramite la commissione di Inchiesta . Essi hanno dovuto aspettare fino alla pubblicazione della versione finale del Rapporto   dell’ Inchiesta  per conoscere la sostanza degli elementi emersi su ciò che era accaduto. Considerato il loro stretto e personale interesse con la materia oggetto della Inchiesta, la Corte ritiene che non si possa ritenere che essi siano stati coinvolti nel procedimento nella misura necessaria a proteggere i loro interessi.

(v)  Pretesa  mancanza di immediatezza e ragionevole rapidità

Christopher Edwards morì il 29 novembre 1994. La decisione di aprire una  inchiesta  fu presa nel luglio 1995 e il procedimento fu aperto nel maggio 1996, circa diciotto mesi da quando era avvenuta la morte. Il grosso dei testimoni  e delle prove fu raccolto nel corso dei dieci mesi successivi. Dopo alcuni testimoni furono riconvocati nell’aprile 1998, il rapporto  finale fu emesso il 15 Giugno 1998, circa due anni dopo l’apertura dell’ Inchiesta e tre anni e mezzo dopo la morte.

La Corte ribadisce che è cruciale in casi di morti in situazioni controverse che l’indagine sia immediata. Il decorso del tempo eroderà inevitabilmente la quantità e la qualità delle prove disponibili  e l’apparente mancanza di diligenza getta il dubbio sulla buona fede dello sforzo investigativo, così come esaspera il tormento per i membri della famiglia. In questo caso, si nota la considerevole quantità di preparazione richiesta per una inchiesta  di questa complessità, il numero di testimoni coinvolti nel procedimento (circa 150 si sono presentati all’inchiesta  mentre altri hanno presentato deposizioni scritte) e l’ampio obiettivo della indagine che abbracciava il coinvolgimento di numerosi enti pubblici. Il Comitato inoltre ha condotto visite nei posti coinvolti negli eventi e interrogato  Richard Linford in ospedale. La redazione del Rapporto, la cui precisione la Corte ha già sottolineato, è stato uno sforzo sensibile e complesso. E’ stato inoltre logico invitare i testimoni a commentare sulle bozze della decisione, dato che queste contenevano censure di pratiche ufficiali e  comportamenti professionali individuali. Mentre il tempo che è trascorso prima di indire l’Inchiesta può forse attrarre delle critiche, questo non è comparabile con i ritardi riscontrati in casi precedenti (per esempio, Kelly e Altri c. Regno Unito, citato sopra, dove erano trascorsi otto anni prima della apertura della Inchiesta , or Hugh Jordan c. Regno Unito, citato sopra, in cui vi fu un ritardo di 25 mesi nell’indire l’inchiesta ). Nelle circostanze di questo caso, la Corte ritiene che le autorità abbiano agito con sufficiente prontezza ed abbiano proceduto con ragionevole rapidità.

(vi)  Conclusioni

La Corte ritiene che la mancanza di potere di ordinare la comparizione coatta dei testimoni ed il carattere privato del procedimento da cui i ricorrenti furono esclusi salvo quando essi fornirono la propria testimonianza costituisca un mancato adempimento della richiesta dell’articolo 2 della Convenzione di compiere una  indagine effettiva sulla morte di Christopher Edwards. C’è stata dunque una violazione dell’obbligo procedurale dell’  Articolo 2 della Convenzione in questa parte.

II.   PRETESE violazioni degli ARTICOLI 6 E 8 DELLA CONVENZIONE

L’articolo 6 § 1 della Convenzione recita per quanto rilevante:

“Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle  controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. …”

L’articolo 8 della Convenzione recita per quanto rilevante:

“1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare,… 

2. . Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.”

Nel loro ricorso originario, i ricorrenti lamentavano ai sensi delle suddette norme che essi erano stati privati di effettivo accesso a una  corte per indire un procedimento civile collegato alla perdita della vita del proprio figlio e che la mancanza di un meccanismo investigativo indipendente e la mancanza di accesso alla corte come genitori di un figlio deceduto costituiva una carenza di rispetto per la vita famigliare. Non sono state presentate ulteriori osservazioni dai ricorrenti a sostegno di queste doglianze.

90.  Nella parte in cui le questioni  si presentano separate dalle doglianze fatte sugli aspetti procedurali dell’ Articolo 2 della Convenzione, queste verranno considerate ai sensi dell’ Articolo 13 della Convenzione in seguito.

III.  PRETESA VIOLAzIONE Dell’ ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE

L’articolo 13 della Convenzione recita:

“Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto ad un ricorso effettivo davanti ad un'istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell'esercizio delle loro funzioni ufficiali.”

1.  Le posizioni delle parti

(a)  I ricorrenti

I ricorrenti sostengono che l’articolo 13 richieda sia il pagamento di un risarcimento ove appropriato sia una  indagine approfondita ed effettiva idonea  a portare alla identificazione e punizione dei responsabili per la privazione della vita.  Non è stato sufficiente che il  Governo abbia fatto riferimento a una serie di rimedi che potrebbero essere disponibili in via di principio. Non era esperibile una azione per negligenza in assenza di prove sufficienti relative alla responsabilità di individui o autorità specifici e di alcuni elementi quale il tempo intercorso dal momento della lesione e la morte [,elemento] determinante per stabilire se i ricorrenti avessero diritto ad un risarcimento per le pene e sofferenze patite dal proprio figlio prima della morte. Non sarebbero stati disponibili risarcimenti danni adeguati al dolore sofferto. Né essi hanno potuto fare alcuna richiesta per l’indennità di dipendenza ai sensi del  Fatal Accidents Act del 1976. L’ Inchiesta non fu un’indagine approfondita ed effettiva per le ragioni sopra illustrate (paragrafi 65-66) e, in ogni caso, non aveva il potere di risarcire i danni non pecuniari.

I ricorrenti contestano che un ricorso possa essere considerato effettivo quando non sarebbe economicamente conveniente iniziare l’azione. L’articolo 13 dovrebbe essere interpretato in modo da rendere le sue garanzie pratiche ed effettive e gli ostacoli pratici ad avviare un’azione  insidiano l’effettività della procedura. L’ Human Rights Actdel 1998 non è stato di aiuto, in quanto copriva solo gli eventi verificatesi successivamente alla sua entrata in vigore il 2 Ottobre 2000. Mentre il caso Wright (vedi paragrafo 43 supra) indicava che le  corti potevano applicare l’Act, anche se la morte era avvenuta prima di quella data, quando le circostanze erano ancora oggetto di controversia in corso, non fu così nel caso di specie. Il risarcimento danni sarebbe stato disponibile per la mancata apertura di una indagine effettiva dopo quella data e non in relazione alla data della morte in se stessa.  Infine, l’indagine dell’Health and Safety Executive che era ancora in corso, fu una procedura meramente amministrativa che non può costituire un rimedio effettivo ai fini dell’ articolo 13.

(b)  Il Governo

Il Governo afferma che l’approccio corretto è che la Corte consideri l’intero arco dei rimedi che erano disponibili. I ricorrenti avevano una combinazione di meccanismi attraverso i quali poteva essere determinata la responsabilità di ogni pubblica autorità per la morte del loro figlio, in particolare l’inchiesta  indipendente, che costituiva una indagine approfondita ed effettiva nelle circostanze relative alla sua morte. I ricorrenti avrebbero potuto presentare un reclamo per negligenza contro la prigione o altre autorità in quanto eredi. I ricorrenti avevano inoltre un ricorso disponibile per ogni perdita di dipendenza. Essi sostengono che il fatto che una persona possa non intentare una causa a seguito di  consiglio legale che fosse anti-economico intentarla non significa che non fosse disponibile un ricorso effettivo o che lo  Stato Contraente abbia mancato di ottemperare all’obbligo previsto dall’articolo 13. Né, dal loro punto di vista, vi era alcun diritto ad una particolare forma di ricorso o ad uno specifico ammontare di risarcimento. L’articolo 13 ha lasciato una certa discrezione agli Stati Contraenti sulle modalità per adempiere ai suoi requisiti.

Inoltre, essi sottolineano che altri rimedi erano possibili: avrebbe potuto aprirsi un processo penale ed era disponibile un procedimento di inchiesta . Inoltre l’ Health and Safety Executive aveva avviato una indagine sull’incidente, soffermandosi sulla gestione dei due detenuti in prigione, che avrebbe potuto in via di principio portare alla persecuzione penale di individui. Dall’ ottobre 2000, l’ Human Rights Act del 1998 consente alle corti di considerare le doglianze ai sensi articolo 2 della Convenzione e di garantire adeguato risarcimento. Nel caso Wright, l’ Alta Corte ha stabilito che c’era un obbligo continuativo sul ministero degli interni dopo il 2 Ottobre 2000 di indagare sulle morti in detenzione avvenute prima di quella data. Anche se la richiesta di risarcimento danni fu respinta in questo caso, esso era in via di principio disponibile, anche se solo rispetto della violazione continuativa dei diritti dalla data di entrata in vigore dell’ Act.

2.   Valutazione  della Corte 

Come la Corte ha stabilito in molte occasioni, l’articolo 13 della Convenzione garantisce la disponibilità a livello nazionale di un ricorso per far rispettare nella sostanza i diritti e le libertà  della Convenzione in qualsiasi forma essi possano essere assicurati nel sistema legale interno. L’effetto dell’articolo 13 è l’esigenza di un ricorso interno che consenta l’esame del contenuto di una “doglianza sostenibile” fondata  sulla Convenzione e per garantire un appropriato rimedio , anche se gli  Stati Contraenti godono di un certo margine di discrezionalità sul modo di conformarsi agli obblighi loro derivanti dalla Convenzione ai sensi di questa disposizione. La portata dell’ obbligo che discende dall’articolo 13 varia a seconda della natura della doglianza che il  ricorrente fonda  sulla  Convenzione. Tuttavia, il ricorso richiesto dall’articolo 13 deve essere “effettivo” in pratica  così come in diritto. In particolare il suo esercizio non deve essere ingiustificatamente  impedito da atti od omissioni delle autorità dello Stato convenuto (vedi la sentenza Aksoy c. Turchia del 18 dicembre 1996, Reports1996-VI, p. 2286, § 95; la sentenza Aydın c. Turchia del 25 settembre 1997, Reports1997-VI, pp. 1895-96, § 103; la sentenza Kaya c. Turchia, citata supra, pp. 329-30, § 106).

Ove sia contestata l’omissione delle autorità dalla protezione di una persona dagli atti di terzi, l’articolo 13 può non richiedere sempre che le autorità si assumano la responsabilità di indagare le pretese. Deve tuttavia essere disponibile per la vittima o la sua  famiglia un meccanismo per stabilire ogni responsabilità di pubblici ufficiali o enti dello Stato per atti od omissioni che abbiano comportato una violazione dei suoi diritti fondati sulla Convenzione. Inoltre, nel caso di violazione degli articoli 2 e 3 della Convenzione, che si collocano come le più fondamentali norme della  Convenzione, il risarcimento per i danni non pecuniari derivanti dalla violazione dovrebbe essere in principio disponibile come parte dell’insieme della riparazione (vedi Z. e Altri c. Regno Unito, n. 29393/95 [GC], CEDU 2001-V, § 109; Keenan c. Regno Unito, n. 27229/95, (Sez. 3), CEDU 2001-III, § 129).

Sulla base degli elementi presentati nel caso di specie, la Corte ha reputato che il Governo è responsabile ai sensi Articolo 2 per aver omesso di proteggere adeguatamente la vita di  Christopher Edwards mentre era in custodia delle autorità della prigione. Le doglianze dei ricorrenti a questo riguardo sono perciò “sostenibili” ai sensi dell’articolo 13 (vedi la sentenza Boyle e Rice c. Regno Unito del 27 aprile 1988, Serie A n. 131, p. 23, § 52; la sentenza Kaya , citata supra, § 107, e la sentenza Yaşa, citata supra, p. 2442, § 113).

La Corte richiama che in genere le azioni per danni presso le corti interne possono costituire un ricorso effettivo in casi di asserita illegalità o negligenza da parte di pubbliche autorità (vedi  per esempio Hugh Jordan c. Regno Unito, n. 24746/94, (Sez. 3), citata supra, §§ 162-163). Mentre in questo caso un’azione civile per negligenza o ai sensi del Fatal Accidents Act davanti alle corti interne avrebbe potuto fornire un tribunale per la determinazione dei fatti con il potere di attribuire la responsabilità per la morte di Christopher Edwards, questo strumento non è stato adottato dai ricorrenti. Non sembra (ed il Governo non lo ha contestato) che sarebbero stati risarcibili i danni non-pecuniari (per le sofferenze e le lesioni di Christopher Edwards prima della sua morte o per il dolore e l’angoscia dei ricorrenti per la sua morte) né che sarebbe stato disponibile il gratuito patrocinio per richiederli. La Corte non ritiene che questo mezzo di ricorso fosse nelle circostanze del caso di alcun uso pratico. Similarmente mentre non appare inconcepibile che un caso venga presentato ai sensi dell’Human Rights Actdel 1998, ciò riguarderebbe solo alla continua violazione degli obblighi procedurali dell’articolo 2 della Convenzione dopo il 2 ottobre 2000 e non coprirebbe i danni relativi alla morte di Christopher Edwards che è avvenuta prima dell’entrata in vigore dell’Act.

Il Governo non ha fatto riferimento a nessun altro procedimento in cui la responsabilità delle autorità possa essere stabilita in modo indipendente, pubblico ed effettivo. Mentre essi danno rilievo all’ Inchiesta, la Corte ha ritenuto sopra che anche se essa ha costituito per molti aspetti un’ indagine utile e approfondita, essa a causa di difetti procedurali non risponde agli obblighi procedurali imposti dall’articolo 2 della Convenzione. E come sottolineato dai ricorrenti non prevede alcuna possibilità di ottenere il risarcimento danni.

Nonostante il gruppo di ricorsi indicati dal  Governo, la Corte ritiene che in questo caso non sia stato disponibile per i ricorrenti un mezzo appropriato per ottenere una pronuncia sulle loro asserzioni che le autorità avessero omesso di proteggere il diritto alla vita del proprio figlio e la possibilità di ottenere un riconoscimento esecutivo per il risarcimento del danno sofferto di conseguenza. Nell’opinione della Corte, questo costituisce elemento essenziale di un ricorso ai sensi dell’articolo 13 per il lutto di un genitore.

In conseguenza, c’è stata una violazione dell’articolo 13 della Convenzione.

IV.  APPLICAzIONe Dell’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

L’articolo 41 della Convenzione recita:

“Se la Corte dichiara che vi e stata violazione della Convenzione o dei suoi protocolli e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto  di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del  caso, un'equa soddisfazione alla parte lesa”

A.  Danni

I ricorrenti chiedono danni non pecuniari per l’ansia, la paura, la pena e le lesioni sofferte dal proprio figlio Christopher immediatamente prima della sua morte, per la propria angoscia, afflizione e sgomento sofferti per la perdita del proprio figlio e lo stress ancora in corso e i correlati problemi di salute sofferti dal secondo ricorrente  in conseguenza della perdita traumatica e della frustrazione che sta ancora provando per l’impossibilità di accedere ad una forma effettiva di ricorso. Essi non specificano un importo.

Il Governo non ha commentato queste richieste.

La Corte ribadisce che ha ritenuto che le autorità abbiano mancato di proteggere la vita  di Christopher Edwards o di indire una  indagine pubblica che incontrasse i requisiti richiesti dall’articolo 2 della Convenzione. Oltre al dolore e alle sofferenze che Christopher Edwards deve aver provato, si ritiene che  i ricorrenti, suoi genitori, devono essere considerati aver sofferto angoscia e dolore per le circostanze della sua morte e la loro impossibilità di ottenere una indagine effettiva o un ricorso. Facendo un calcolo su basi di equità e considerando l’importo riconosciuto in altri casi, la  Corte accorda  la somma di  20,000 sterline (GBP) per danni non pecuniari.

B. Spese legali

I ricorrenti chiedono il rimborso per le spese sostenute, sul piano nazionale e davanti alla Corte, per se stessi, i loro legali e consulenti. Ciò  include una somma di GBP 2.616 per le spese dei ricorrenti stessi per posta e viaggi ed una spesa stimata  di GBP 1.500 per la partecipazione alle udienze e GBP 1.000 per le spese in cui sono incorsi nel perseguire le vie di ricorso interne; la somma di GBP 14.702,30 per i costi e le spese degli avvocati, incluse le spese stimate per la partecipazione alle udienze; e la somma di GBP 17.654,38 per il consulente giovane e GBP 1.175 per il consulente capo. Ciò è un  totale  di GBP 33.531,68, IVA inclusa.

Il Governo considera che i costi richiesti siano eccessivi, in particolare per la redazione delle osservazioni nell’ Ottobre 2001 (GBP 5.000 per il consulente giovane e GBP 1.000 per il consulente capo). Essi sottolineano che i costi  includevano quelli stimati per un udienza orale che non ha avuto luogo. 

La Corte ricorda che questo caso ha coinvolto numerose serie di osservazioni scritte e può essere considerato come complesso in fatto ed in diritto.  Tuttavia, essa ritiene che le parcelle richieste siano piuttosto alte se confrontate con altri casi del Regno Unito e non è persuasa della loro ragionevolezza nel quantum. E’ stata detratta la somma stimata per un’udienza orale. Avendo riguardo a considerazioni di equità, viene  accordata la somma totale di GBP 20.000, più ogni tassa sul valore aggiunto applicabile.

C.  Interessi moratori

Secondo le informazioni di cui dispone la Corte, il tasso di interesse legale applicabile nel Regno Unito alla data di adozione della presente sentenza è del 7,5% per annum.

per queste ragioni, la CORTE all’unanimità

1.  Dichiara che c’è stata una violazione dell’articolo 2 della Convenzione per quantoottiene alle circostanze della morte di Christopher Edwards;

2.   Dichiara che c’è stata una violazione dell’articolo 2 della Convenzione per quanto attiene alla mancata apertura di una indagine effettiva;

3.  Dichiara che non si presenta una questione separata ai sensi degli Articoli 6 o 8 della Convenzione;

4.  Dichiara  che c’è stata una violazione dell’articolo 13 della Convenzione;

5.  Dichiara

(a)  che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi  dal giorno in cui la sentenza sarà  divenuta definitiva conformemente all’ articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:

(i)  GBP 20.000 (ventimila sterline inglesi) per danni non pecuniari;

(ii)  GBP 20.000 (ventimila sterline inglesi) per costi e spese legali più ogni tassa sul valore aggiunto applicabile;

(b)  che sia pagato un interesse semplice annuale del 7.5% dallo scadere del termine di tre mesi summenzionato fino al saldo;

6.  Rigetta all’unanimità le ulteriori  domande di equa soddisfazione dei ricorrenti.  .

Redatta in inglese, e  comunicata per iscritto il 14 marzo 2002, conformemente all’articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento della Corte.

            Vincent Berger           Ireneu Cabral Barreto
            Cancelliere       Presidente

 

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