Diritto di comunicare e ricevere informazioni e idee

IL DIRITTO DI COMUNICARE E RICEVERE LE INFORMAZIONI E LE IDEE SECONDO IL CONSIGLIO D’EUROPA  (Tabella della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sulla libertà di espressione)

    

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha sempre riconosciuto l’importanza cruciale della libertà di espressione e di stampa, che costituisce una delle condizioni preliminari per il buon funzionamento della democrazia.

E’ indispensabile esaminare la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo pertinente ad una più completa lettura dell’articolo 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo[1], che garantisce tale libertà, perché tale giurisprudenza traccia una linea di  confine che gli Stati non possono valicare, pena la loro condanna davanti alla stessa Corte Europea ad iniziativa delle vittime, siano essi soggetti privati o gruppi di persone.

La Corte Europea si è occupata della libertà dei giornalisti e di qualunque persona, nonché dell’accesso dei privati al servizio pubblico radiotelevisivo, tracciando anche  le condizioni, le restrizioni e le limitazioni a questa stessa libertà di espressione  giustificate dalle esigenze della democrazia.

In aggiunta alla libertà di espressione delle singole persone vi è anche il  diritto delle singole persone e  della collettività di accedere e di ricevere  le informazioni e le idee altrui nel rispetto del pluralismo culturale.

Infatti, la libertà di espressione include la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche, e costituisce un fondamento essenziale di una società democratica, una condizione primordiale  del suo progresso e dello sviluppo di ogni individuo. La democrazia è indissociabile dal pluralismo, dalla tolleranza e dall'apertura della mente.

Prima di esaminare le limitazioni a tale diritto, pur  previste nel paragrafo 2 dell’articolo 10 della Convenzione, occorre precisare che la libertà di comunicare e ricevere le informazioni e le idee vale  non soltanto per le « informazioni» o « idee » accolte con favore o considerate come inoffensive o indifferenti, ma anche per quelle che  urtano, scioccano, sconvolgono o inquietano.

Una delle principali caratteristiche della democrazia consiste nella possibilità che essa offre di risolvere attraverso il dialogo e senza ricorso alla violenza i problemi che incontra un paese, e ciò anche  quando questi problemi possano disturbare il paese. La democrazia si alimenta in effetti con la libertà di espressione, purché tale libertà non costituisca un appello alla violenza, alla rivolta popolare violenta o a qualsiasi altra forma di rigetto o negazione dei principi


 


[1] Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo del 4 novembre 1950 :Articolo 10 - Libertà di espressione. 1. Ogni persona ha diritto alla libertà d'espressione. Tale diritto include la libertà d'opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza considerazione di frontiera. Il presente articolo non impedisce agli Stati di sottoporre a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, di cinema o di televisione.

2. L'esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, per la sicurezza nazionale, per l'integrità territoriale o per la pubblica sicurezza, per la difesa dell'ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, per la protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l'autorità e l'imparzialità del potere giudiziario.

 

 

democratici o più esattamente dei valori e degli ideali democratici che sono delineati dal complesso dei principi della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo[1].

Più in generale, sul rispetto dei principi che costituiscono l’essenza della democrazia, occorre ricordare  quanto espresso in tema di libertà di propaganda religiosa dalla stessa Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nel   caso  Refah Partisi, Erbakan, Kazan e Tekdal c. Turchia  (n° 41340/98 & 41342-4/98), sentenza del 31 luglio 2001. Ivi la Corte ha espressamente negato la compatibilità dei  valori della Convenzione con un partito e progetto politico specifico tendente a riaffermare i valori religioso–politici della Shari’a   ed a ristrutturare gli stessi principi costituzionali sulla discriminazione nei confronti delle altre credenze religiose. Pertanto, la Corte Europea ha condannato un partito che aveva  manifestato una natura religiosa integralista ed intollerante manifestando anche l’intento di ricorrere alla forza al fine di  conquistare il potere e di mantenerlo, per imporvi l’applicazione della legge islamica (la Shari’a) così negando i valori della democrazia, i diritti fondamentali della persona e la  pace civile[2].

Una correlazione ed un  raccordo tra il diritto alla libertà di espressione ed il diritto alla libertà di religione lo rinveniamo nella stessa sentenza nel   caso  Refah Partisi, Erbakan, Kazan e Tekdal c. Turchia precitata, dove si afferma <<che quando il comportamento incriminato giunge ad un livello elevato di insulto e si congiunge con la negazione della libertà di religione altrui, esso perde perciò stesso il diritto ad essere tollerato dalla società>> richiamando la sentenza resa nel caso Otto-Preminger-Institut c. Austria del 20 settembre 1994,  § 47, che a sua volta aveva ritenuto compatibile con l’articolo 10 della Convenzione il sequestro e la confisca d'un film considerato come blasfema dai tribunali austriaci.

La Corte Europea ha dedicato particolare attenzione alla tutela dei principali interpreti e protagonisti della libertà di espressione, quali i giornalisti e gli editori di giornali e libri, giungendo persino ad affermare  che "la protezione delle fonti giornalistiche e una delle pietre miliari  della libertà di stampa ". Ma  nei confronti di tutti, privati e professionisti dell’informazione, la Corte Europea ha sempre guardato con molta diffidenza le condanne dei giudici nazionali per il reato di diffamazione, affermando che "...bisogna evitare di scoraggiare i cittadini, con la paura delle  sanzioni penali o altre, di pronunciarsi circa i problemi d'interesse pubblico".

Tre sono le condizioni richieste dall’articolo 10 della Convenzione, per giustificare l’intervento limitativo dello Stato: l’ingerenza deve essere  « prevista dalla legge » , deve perseguire un fine legittimo, quale « la protezione della reputazione o dei diritti altrui » ed infine deve essere « necessaria in  una società democratica ».

Quest’ultima condizione viene valutata caso per caso  dalla Corte Europea al fine di stabilire se l’ingerenza sia stata  « proporzionata ai fini legittimi perseguiti » e se i  motivi  invocati dalle  autorità nazionali per giustificarla apparivano « ragionevoli, pertinenti e sufficienti ».

 L’aggettivo « necessario », ai sensi dell’articolo 10, secondo paragrafo, della Convenzione implica l’esistenza di un « bisogno sociale imperioso ». Gli Stati godono di un certo margine di discrezionalità per giudicare  la sussistenza di un tale bisogno, ma questo margine è sempre sottoposto ad un controllo della Corte  Europea, sia riguardo alla legge nazionale, che sulle decisioni e sentenze dei giudici nazionali che applicano tale legge , anche quando queste decisioni promanano da un giudice di per sé indipendente. Compete, dunque, alla Corte Europea l’ultima parola per statuire se una « restrizione »  imposta dallo Stato nazionale si concilia con  la libertà di espressione. Non solo, ma le eccezioni devono essere interpretate in maniera circoscritta e la necessità di qualunque  restrizione deve essere stabilita in maniera convincente.

Nell’esercizio del suo potere di controllo, la Corte Europea deve  esaminare l’ingerenza dello Stato alla luce complessiva del caso, ivi compreso il tenore  delle accuse rivolte dall’ordinamento nazionale a colui che si appella alla Corte Europea ed anche il contesto in cui  sono stati commessi i fatti condannati  dall’ordinamento nazionale, anche sotto il profilo della gravità e proporzionalità della pena o sanzione inflitte.

In questa materia, eccezionalmente, la Corte Europea si atteggia ad un  ulteriore grado di riesame, quasi a tutto campo, della fattispecie litigiosa sanzionata dall’ordinamento nazionale, anche se non nella direzione di effettuare nuove indagini di fatto o di sostituirsi ai giudici nazionali circa la descrizione dei fatti.

Nella materia della diffamazione della reputazione altrui la Corte Europea scende nel dettaglio dell’esame del contenuto delle dichiarazioni ritenute diffamatorie dall’ordinamento nazionale, negando in via di principio il diritto all’insulto, ma per la Corte Europea, ad esempio, l'utilizzazione del termine "imbecille" rivolta ad un uomo politico può essere giustificata se  proporzionata alla “indignazione conscientemente suscitata”  dai discorsi  del medesimo uomo politico.  Rilevante esimente della diffamazione è anche il tema del dibattito, specie se è pubblico e riguarda questioni serie e d’interesse generale. La Corte Europea ha posto a raffronto l’interesse privato alla reputazione e l’importante interesse pubblico a ricevere informazioni su questioni che presentavano un  legittimo interesse pubblico, privilegiando quest’ultimo.

In conclusione, nel suo controllo sulle  decisioni date dalle Corti nazionali in virtù del loro potere di valutazione, la Corte europea deve vigilare  che le sanzioni adottate contro la stampa siano state rigorosamente proporzionali ed incentrate sulle affermazioni che, effettivamente, superavano i limiti  della critica ammissibile, salvaguardando le affermazioni che possono e, quindi, devono godere della protezione dell'articolo 10 della Convenzione. In effetti, l'esercizio della libertà di espressione è  complesso e delicato ed una sanzione applicata ad un giornalista è giustificata soltanto finché penalizza quelle parti  del suo discorso che hanno superato i limiti citati qui sopra. A tal proposito, è opportuno ricordare  che le eccezioni alla libertà di espressione devono essere interpretate in maniera restrittiva.

Quanto finora esposto riguarda il dovere dello Stato di astenersi dall’ingerenza nell’esercizio della libertà di espressione, mediante sanzioni a carico del soggetto titolare di questo diritto, ma l’esercizio reale ed efficace di questa libertà può esigere anche delle misure “positive” di protezione, finanche nelle relazioni tra individui.

Infatti, l’articolo 10 della Convenzione  trova la sua applicazione non solamente nelle relazioni tra i privati che scaturiscono dal diritto pubblico, ma parimenti in quelle che scaturiscono dal diritto privato. In certe condizioni grava sullo Stato l’obbligo positivo di proteggere il diritto alla libertà di espressione contro gli attentati che potrebbero provenire anche da terzi, singoli privati o associati.

Per determinare se  esiste una obbligazione positiva bisogna considerare un principio di carattere generale che sottende alla Convenzione nel suo insieme: il giusto equilibrio  che deve intercorrere tra l’interesse generale e gli interessi dell’individuo.

L’ampiezza di questa obbligazione varia inevitabilmente, in funzione della diversità delle situazioni negli Stati, delle difficoltà per la polizia di esercitare le  sue funzioni nelle società contemporanee, e delle scelte da  fare in termini di priorità e di risorse. Questa obbligazione non deve però essere interpretata in maniera tale da imporre alle autorità  un peso  insopportabile o eccessivo.

Ma l’obbligazione positiva di preservare il diritto alla libertà di espressione dagli attacchi o attentati di terzi,  contrari a tale espressione, costringe lo Stato a svolgere una effettiva indagine sugli atti illegali, magari accompagnati da violenza, come spesso fanno i terzi intolleranti  e soprattutto perseguire penalmente quest’ultimi. In difetto di tale adeguata protezione contro questi atti illegali, lo Stato diviene diretto responsabile dei danni sofferti dai singoli giornalisti, dagli editori di giornali ed anche dalle private persone, in conseguenza della  violazione dell’articolo 10 della Convenzione[3].

Dal punto di vista pubblicistico, il diritto alla libertà di espressione, di stampa, incontra il solo limite della protezione degli interessi vitali dello Stato, come la protezione della sicurezza nazionale o dell’integrità territoriale contro le minacce di  violenza o la difesa dell’ordine pubblico o la prevenzione del crimine.

Lo Stato, però, in aggiunta all’obbligo di consentire la comunicazione delle informazioni e delle idee sulle questioni dibattute nell’arena politica, anche se sono controverse, deve tener conto che il pubblico ha un vero e proprio diritto di ricevere tali informazioni ed idee.

La libertà della stampa fornisce all’opinione pubblica uno dei migliori mezzi per conoscere e giudicare le idee e le attitudini  dei dirigenti e degli uomini politici.

L’esistenza di un diritto per la collettività di ricevere informazioni è stato diverse volte riconosciuto dalla stessa Corte Europea nei  casi relativi a restrizioni alla libertà di stampa, come corollario della funzione, propria dei  giornalisti, di divulgare informazioni o idee su questioni di pubblico interesse.

La libertà di ricevere informazioni, menzionata al paragrafo 2 dell’art. 10 della Convenzione, “vieta essenzialmente ad un governo di ostacolare qualcuno nel ricevere informazioni che altri vogliano  o possano permettere di fornirgli”, ma non può essere interpretata come impositiva per uno Stato, in ogni circostanza e comunque, di obbligazioni positive di raccolta e divulgazione, motu proprio, delle informazioni.

Da quanto finora illustrato può concludersi che la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, siccome interpretata e resa effettiva  dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, impone ai quarantatre Stati membri del Consiglio d'Europa, di perseguire l’obiettivo del  pluralismo dei mezzi d’informazione.

 Il Consiglio d'Europa, come istituzione intergovernativa internazionale,  ha sempre affermato il suo impegno a favore del  pluralismo dei mezzi d’informazione[4].

Numerose e costanti nel tempo sono state le riunioni politiche e di studio promosse dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sui Mass Media[5].

Il Consiglio d’Europa vigila anche sulla concentrazione dei mezzi d’informazione nei vari paesi aderenti ed ha sempre invitato questi Stati a  garantire il pluralismo, minacciato dalla   globalizzazione dei mercati e dalla convergenza tecnologica tra i mezzi di comunicazione e soprattutto dal gran numero di operazioni di concentrazioni, stigmatizzando anche  la tendenza a fare dell’informazione-spettacolo che si vende meglio sul mercato della pubblicità, a detrimento di  un giornalismo di qualità.

 A tal  fine, il  Consiglio d'Europa ha raccomandato l’adozione di una serie di misure, nel  rispetto del principio fondamentale dell’indipendenza editoriale dei media : determinazione delle soglie, per quanto concerne la detenzione d’interessi nei settori della radio-televisione, regolamentazione in materia di accesso equo e non discriminatorio dei vari operatori, misure per promuovere la diversificazione del contenuto dei media, potenziamento del servizio pubblico della radio-televisione, ed altre ancora[6].

 

Il  Consiglio d'Europa ha anche denunciato i più gravi attentati alla  libertà di espressione dei media, in paesi come l’Ukraina, l’Azerbaïdjan, la Turchia, la Russia  e non ha mai mancato di esercitare pressioni morali e politiche sui  governi che  violano la libertà di espressione.

Ma  anche per quanto riguarda la situazione particolare dell’Italia, la Commissione della Cultura, della Scienza e dell'Educazione dell'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa ha esaminato la situazione dei media in Italia nel corso della sua riunione tenutasi il 13 marzo 2002, a Parigi ed ha rilasciato il seguente comunicato stampa:

 

<<La Commissione constata con una viva preoccupazione che il Governo controlla la quasi-totalità delle catene nazionali della televisione. Malgrado le promesse fatte in occasione della sua elezione, nel maggio scorso, il Presidente del Consiglio dei Ministri dell'Italia resta proprietario di tre catene di televisione private del paese e di un importante gruppo della stampa, ed egli non ha mai preso le sue distanze con la gestione dei suoi interessi mediatici. Al contrario, una legge adottata recentemente dal Parlamento italiano legittima la proprietà dei mercati mediatici importanti da parte di un Ministro del Governo. La Commissione osserva tuttavia che il nuovo Consiglio di Amministrazione di cinque membri della RAI (Radiotelevisione Italiana), che gestisce tre catene nazionali della televisione di Stato, è diretto da un emerito Presidente della Corte Costituzionale e comprende due rappresentanti dei partiti d’opposizione. La Commissione aderisce alle difese del Presidente italiano, Carlo Azeglio Ciampi, in favore della pluralità e dell'indipendenza dei media, elementi vitali della democrazia>>.

Maurizio de Stefano

avvocato in Roma

 

TABELLA DELLA GIURISPRUDENZA SULLA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE

elaborata dall’avv. Maurizio de Stefano

SENTENZE DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SULLA DIFFAMAZIONE

  1. Caso  Lingens c. Austria, sentenza  del 8 luglio 1986,   violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie:   ammenda imposta al ricorrente per avere diffamato un uomo politico austriaco a mezzo  stampa.   
  1. Caso  Oberschlick (n° 1) c. Austria, sentenza  del 23 maggio 1991,    violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie:  azione per  diffamazione intentata contro il ricorrente da un uomo politico austriaco e condanna conseguenziale del ricorrente.   
  1. Caso  Schwabe c. Austria, sentenza  del 28 agosto 1992,   violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: °condanna del ricorrente per diffamazione dopo che questi aveva rimproverato ad una  personalità politica una infrazione penale  la cui pena era stata già scontata.   
  1. Caso  Tolstoy Miloslavsky c. Regno-Unito, sentenza  del 13 luglio 1995,  violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: ricorrente condannato ad  un’ ammenda pesante per avere diffamato un responsabile d'una scuola accusandolo d'aver commesso  nel  passato dei crimini di guerra.   
  1. Caso  De Haes e Gijsels c. Belgio, sentenza  del 24 febbraio 1997,  violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: condanna di due giornalisti ai  danni per diffamazione riguardo molti magistrati.
  1. Caso  Oberschlick (n°2) c. Austria, sentenza  del 1° luglio 1997,  violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie:  condanna di un giornalista per ingiurie nei riguardi di un uomo politico.    In un  articolo che commentava un discorso pronunciato da un uomo politico, il  ricorrente lo aveva definito "imbecille" (Trottel). Per la Corte, "il  discorso in questione era manifestamente destinato a provocare, e di conseguenza a suscitare delle reazioni vigorose" (§ 31). Per conseguenza, se "gli scritti del ricorrente (...) possono essere considerati polemici, essi non ne costituiscono pertanto un  attacco personale gratuito, perché l'autore ne fornisce una spiegazione oggettivamente comprensibile e tratta dal discorso (...)".
  1. Caso  Grigoriades c. Grecia, sentenza  del 25 novembre 1997, violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: condanna d'un militare di leva per  oltraggio all’esercito, in seguito  ad  una lettera d'insulti indirizzata al suo  ufficiale comandante.   
  1. Caso  Bladet Tromsø e Stensaas c. Norvegia, sentenza  del 20 maggio 1999, violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: condanna d'un editore di giornale e del suo capo-redattore ai  danni per diffamazione dell’equipaggio di una nave di pescatori, in seguito alla pubblicazione di un rapporto ufficiale che non era stato reso pubblico, relativo a delle pretese violazioni  circa la regolamentazione sulla caccia alle foche.    
  1. Caso  Dalban c. Romania, sentenza  del 28 settembre  1999, violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: condanna a tre mesi di reclusione e danni  per diffamazione in seguito alla pubblicazione da parte di un giornalista di molti  articoli che attribuivano comportamenti truffaldini a delle personalità pubbliche (dirigenti di una azienda agricola di Stato ed un senatore.  La Corte ha ricordato che  la stampa aveva il ruolo di  comunicare, pur  rispettando la reputazione altrui, delle informazioni sulle questioni  d’interesse generale. La Corte ha respinto l’idea  « che un giornalista non possa formulare dei giudizi  di valore critico che sotto condizione di poterne dimostrare la verità » (§ 49). Nella fattispecie, gli articoli in questione non miravano alla vita privata delle personalità pubbliche, ma al loro comportamento ed alle loro attitudini  nell’esercizio delle loro funzioni, quindi aventi ad oggetto un interesse pubblico. Inoltre, nulla  provava che i fatti descritti dal ricorrente fossero totalmente falsi e che facessero parte di  une campagna diffamatoria. Per conseguenza , la Corte ha dichiarato che tenuto conto del fine legittimo perseguito, la condanna penale del ricorrente costituiva una ingerenza sproporzionata nella libertà di espressione del giornalista.
  1. Caso  Wille c. Liechtenstein, sentenza del 28 ottobre  1999,  violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: dichiarazione del Principe del Liechtenstein secondo cui egli non avrebbe nominato il ricorrente, all’epoca Presidente della Corte amministrativa, ad alcun altra  funzione pubblica, a motivo delle idee che quest’ultimo aveva espresso su delle questioni costituzionali.    
  1. Caso  Nilsen e Johnsen c. Norvegia, sentenza  del 25 novembre 1999,  violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: azione per diffamazione intentata con successo contro i ricorrenti, rappresentanti delle organizzazioni sindacali dei poliziotti, concernenti i loro commenti su certe pubblicazioni relative alle brutalità commesse dalla polizia.   
  1. Caso  Fuentes Bobo c. Spagna, sentenza   del 29 febbraio 2000, (ricorso n° 39293/98) violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie:  licenziamento di un regista televisivo per aver manifestato apprezzamenti giudicati offensivi nei confronti dei dirigenti di una rete televisiva pubblica spagnola.
  1. Caso  Bergens Tidende ed altri c. Norvegia, sentenza   del 2 maggio 2000, (ricorso n° 26132/95), violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: condanna  di un editore, di un redattore capo e di un giornalista  ai  danni per la diffamazione di un chirurgo di plastica-estetica, per aver pubblicato delle lettere di alcune pazienti che erano rimaste insoddisfatte delle cure di quel chirurgo. La Corte ha posto a raffronto l’interesse privato alla reputazione professionale e l’importante interesse pubblico a ricevere informazioni su questioni che presentavano un  legittimo interesse pubblico.
  1. Caso  Lopes Gomes da Silva c. Portogallo, sentenza  del 28 settembre 2000,  violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: condanna di un direttore di giornale alla multa ed ai  danni per diffamazione di un possibile candidato alle elezioni  per aver sostenuto che  quest’ultimo eraideologicamente grottesco,  caratterizzato da un incredibile miscuglio di rozzezza reazionaria, di bigottismo fascista e di volgare antisemitismo, come dimostrato dalle citazioni di altri articoli di stampa del candidato che aveva espresso a sua volta l’elogio di Salazar, del  Fronte nazionale e di Le Pen , e che aveva definito l’ex Primo ministro francese Laurent Fabius, un « ebreo calvo- juif chauve »  ed aveva attaccato  la rivoluzione portoghese del 25 aprile 1974.   
  1. Caso  Jerusalem c. Austria, sentenza  del 27 febbraio 2001,  violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: divieto imposto dal tribunale ad un consigliere comunale di continuare a qualificare due associazioni assistenziali di essere delle sette a « carattere totalitario » e manifestanti delle « tendenze fasciste ».
  1. caso  Thoma c. Lussemburgo, sentenza del 29 marzo  2001 (ricorso n° 38432/97) violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: condanna di un giornalista della radio ai  danni per diffamazione riguardo molti funzionari del Ministero delle Acque e delle Foreste, malgrado il giornalista avesse fatto riferimento durante una trasmissione  radiofonica ad un articolo di stampa già pubblicato su un giornale, che pure metteva in dubbio la correttezza dei funzionari ministeriali circa alcuni lavori di rimboschimento.
  1. Caso   Marônek c. Slovacchia, sentenza del 19 aprile 2001, (ricorso n. 32686/96) violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie:    della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo  per la condanna di un privato per la   diffamazione nei confronti di un altro privato con cui si era disputato l’uso di un alloggio, per il solo fatto di aver pubblicato su di un giornale una lettera aperta al Primo Ministro con cui si lamentava l’impossibilità di ottenere il possesso dell’alloggio.
  1. Caso   Feldek c. Slovacchia, sentenza del 12 Luglio 2001 (ricorso n° 29032/95)  violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: condanna di un privato per la   diffamazione di un ministro del Governo per aver sostenuto che  quest’ultimo avrebbe avuto un passato fascista , dichiarazioni poi pubblicate da molti giornali.
  1. Caso  Perna c. Italia,  sentenza del 25 Luglio 2001 (ricorso n° 48898/99), violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie:  condanna penale e civile di un giornalista che aveva  diffamato un alto magistrato della Procura della Repubblica italiana attribuendogli di aver prestato un giuramento di obbedienza al vecchio partito comunista italiano. <<Quando fu ammesso in magistratura, fece un triplo giuramento di obbedienza. A Dio, alla Legge, a Botteghe Oscure.>>

Ø      Non violazione dell'articolo 10 della Convenzione  quanto alla condanna penale e civile di  un giornalista che aveva  diffamato un alto magistrato della Procura della Repubblica italiana attribuendogli, senza un riscontro nei fatti, di aver partecipato alla strategia di conquista delle Procure in molte città d’Italia e di aver fatto un uso strumentale di un  “pentito” contro un uomo politico.

Ø      Il caso sarà riesaminato dal Grande Camera della Corte europea.

  1. Caso  Nikula c. Finlandia, sentenza del 21 Marzo 2002, violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie:  condanna di un avvocato per la diffamazione di  un  pubblico ministero per aver sostenuto che quest’ultimo avrebbe « manipolato e presentato illegalmente le prove » in un  processo penale in cui l’avvocato aveva esercitato il suo ministero difensivo .

 

SENTENZE DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SULLA  LIBERTÀ DI STAMPA

  1. Caso  Weber c. Svizzera, sentenza del 22 maggio 1990, violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: procedure giudiziarie a porte chiuse che avevano portato alla condanna di un giornalista per violazione del segreto  istruttorio relativamente ad un procedimento per  diffamazione in occasione di una  conferenza stampa.    
  1. Caso  Observer e Guardian Newspapers Ltd c. Regno-Unito, sentenza  del 26 novembre 1991, violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: divieto di  rivelare o di pubblicare degli estratti di  memorie scritte senza autorizzazione e relative a pretese attività  illegali dei Servizi di Sicurezza britannici e rivelanti informazioni ottenute dall'autore , già membro di questi Servizi; restrizioni confermate dai  tribunali nel luglio 1987, dopo essere stato pubblicato negli Stati Uniti il libro e disponibile nel Regno-Unito, sentenza  e mantenute fino alla fine del processo nel mese di ottobre  1988.  Violazione durante il secondo periodo  (luglio1987 - ottobre  1988), ma non durante il primo (luglio1986 - luglio1987). Esistenza di un diritto per la collettività di ricevere informazioni come corollario della funzione, propria dei  giornalisti, di divulgare informazioni o idee su questioni di pubblico interesse.
  1. Caso  Sunday Times (n°2) c. Regno-Unito, sentenza  del 26 novembre 1991, violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: divieto di rivelare o di pubblicare dei brani  d'un libro di memorie non autorizzato che attribuiva atti sleali ai  Servizi di Sicurezza britannici e rivelanti delle informazioni ottenute dall'autore , già membro di questi Servizi.
  1. Caso  Castells c. Spagna, sentenza  del 23 aprile 1992,    violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: condanna d'un politico e militante basco per  la pubblicazione d'un articolo ostile al Governo.   
  1. Caso  Thorgeir Thorgeirson c. Islanda, sentenza del 25 giugno 1992,   violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie:  condanna ad una ammenda per avere pubblicato in un quotidiano due articoli concernenti alcune brutalità commesse dalla polizia.  Esistenza di un diritto per la collettività di ricevere informazioni come corollario della funzione, propria dei  giornalisti, di divulgare informazioni o idee su questioni di pubblico interesse.
  1. Caso  Jersild c. Danimarca, sentenza del 23 settembre  1994,  violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: condanna d'un giornalista per avere contribuito alla diffusione di proposte razziste.     
  1. Caso  Vereinigung Demokratischer Soldaten Österreich e Gubi c. Austria, sentenza  del 19 dicembre 1994,   violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie:° divieto di diffondere un giornale militare all’interno di una caserma austriaca.    
  1. Caso  Vereniging Weekblad Bluf c. Paesi-Bassi, sentenza del 9 febbraio 1995,  violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie:°  sequestro e divieto di circolazione d'un numero della rivista dell'associazione ricorrente, a motivo della pubblicazione d'un articolo confidenziale relativo alle attività del servizio di sicurezza interno.    
  1. Caso  Goodwin c. Regno-Unito, sentenza  del 27 marzo 1996,   violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: ingiunzione fatta al ricorrente, giornalista, di rivelare le sue fonti  d'informazioni.
  1. Caso  Bowman c. Regno-Unito, sentenza  del 19 febbraio 1998,   violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: azioni intentate per la distribuzione di stampati da parte di una militante contro l’aborto prima delle  elezioni legislative.    
  1. Caso  Incal c. Turchia, sentenza   del 9 giugno 1998,  violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: condanna per aver contribuito alla  preparazione di stampati che  criticavano la politica condotta dalle autorità locali contro i lavoratori, segnatamente quelli d’origine kurda.    
  1. Caso  Lehidue e Isorni c. Francia, sentenza  del 23 settembre  1998,   violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: condanna per «apologia dei crimini di guerra o dei crimini o delitti di collaborazione»,  in seguito alla comparsa in un  quotidiano nazionale di un inserto pubblicitario che  presentava come salutari certe azioni del Marechallo Petain.
  1. Caso  Fressoz e Roire c. Francia, sentenza  del 21 gennaio 1999,  n° 29183/95   violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: condanna per ricettazione di fotocopie di documenti fiscali (avvisi d'imposta),  in seguito alla pubblicazione nel settimanale satirico le Canard Enchaîne d'un articolo che illustrava in dettaglio  la progressione della retribuzione  del presidente d’una società automobilistica.    
  1. Caso  Polat c. Turchia, sentenza  del 8 luglio 1999, violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: condanna per diffusione di propaganda contro l'integrità dello Stato in un opera pubblicata dal ricorrente e sequestro di questa opera);    
  1. Caso  Sürek (n°2) c. Turchia, sentenza  del 8 luglio 1999,   violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: condanna del ricorrente per avere pubblicato in una rivista l’identità dei funzionari incaricati della lotta contro il terrorismo.     
  1. Caso  Başkaya e Okçuoğlu c. Turchia, sentenza  del 8 luglio 1999,  violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: condanna per diffusione di propaganda contro l'integrità dello Stato in un’opera pubblicata dal ricorrente e sequestro di questa opera.     
  1. Caso  Sürek e Özdemir c. Turchia, sentenza  del 8 luglio 1999, violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: condanna per diffusione di propaganda contro l'integrità dello Stato ed incitazione al terrorismo in seguito alla  pubblicazione d'una  intervista ad un membro del PKK.      
  1. Caso   Erdogdu e Ince    c.  Turchia, sentenza  del 8 luglio 1999, Caso  Karatas          c. Turchia, sentenza  del 8 luglio 1999, Caso   Gerger           c. Turchia, sentenza  del 8 luglio 1999, Caso    Arslan          c. Turchia, sentenza  del 8 luglio 1999, Caso   Okçuoglu           c. Turchia, sentenza  del 8 luglio 1999, Caso  Sürek (n°4) c. Turchia, sentenza  del 8 luglio 1999, violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie:   condanna per diffusione di propaganda contro l'integrità dello Stato.      
  1. Caso  Ceylan c. Turchia, sentenza  del 8 luglio 1999,    violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: condanna d'un membro d'un sindacato per incitazione all’odio in seguito alla pubblicazione di critiche contro la politica dello Stato nel  Sud-Est della Turchia.     
  1. Caso  Öztürk c. Turchia, sentenza  del 28 settembre  1999,    violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: confisca d'una pubblicazione e condanna ad una multa d'un editore per incitazione del popolo all’odio ed alla ostilità.     
  1. Caso  News Verlags Gmbh & CoKG c. Austria, sentenza   del 11 gennaio 2000 , violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: divieto di pubblicare su una rivista, insieme alla relativa notizia giornalistica,  le foto di una persona sospettata di essere l’autore della spedizione di lettere imbottite di esplosivo recapitate effettivamente a degli uomini politici ed altre personalità della vita pubblica austriaca.
  1. Caso  Özgür Gündem c. Turchia, sentenza  del 16 marzo 2000, (ricorso n° 23144/93), violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: omessa adozione di misure positive di protezione dei giornalisti, del personale e dei distributori di un giornale  sostenitore del Partito PKK, a fronte di aggressioni sistematiche, generalizzate ed anche violente , con morti e di sparizioni ed omesse indagini di polizia su tali fatti criminosi. Perquisizioni ed arresti e condanne penali dei giornalisti. Questo accumulo di eventi ha costretto il giornale alla sua chiusura.
  1. Caso  Erdogdu c. Turchia, sentenza  del 15 giugno 2000,  violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: condanna penale (reclusione e multa ) di un redattore capo di una rivista che aveva pubblicato un articolo di un lettore contenente propaganda contro l'integrità dello Stato.    
  1. Caso  Sener c. Turchia, sentenza  del  18 luglio 2000  violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: condanna penale di un editore e redattore capo di una rivista che aveva pubblicato un articolo di un intellettuale contenente propaganda contro l'integrità dello Stato.     
  1. Caso  Du Roy e Malaurie c. Francia, sentenza   del 3 ottobre 2000,   violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: condanna  civile di un editore e di un giornalista di una rivista che aveva pubblicato un articolo contenente informazioni e riferimenti ad un procedimento penale a carico di alcune personalità del mondo politico, che per la  legge francese dovevano restare riservate per non violare il principio della presunzione d’innocenza.
  1. Caso  Ibrahim Aksoy c. Turchia, sentenza  del 10 ottobre 2000, violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie:  tre condanne penali (reclusione e multa ) di uno scrittore, ex deputato e segretario di un partito politico che aveva tenuto discorsi e pubblicato alcuni scritti contenenti propaganda contro l'integrità dello Stato.
  1. Caso  Cipro c. Turchia, sentenza del  10 maggio 2001 , violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: avendo accertato che la Turchia aveva sottoposto ad una censura eccessiva i libri scolastici destinati alla scuola elementare dei Greco-Ciprioti  che vivevano nella parte  nord di Cipro.
  1. Caso  Association Ekin c. Francia, sentenza   del 17 luglio 2001, (ricorso n° 39288/98), violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: divieto di circolazione, e distribuzione di un libro in Francia edito da una associazione per la tutela della cultura e della specificità dei  Baschi che incoraggiava il separatismo e giustificava il ricorso all’azione violenta.

 

SENTENZE DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SULLA  LIBERTÀ DI MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO

  1. Caso  Piermont c. Francia, sentenza  del 27 aprile 1995,   violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie:  espulsione d'un parlamentare Europeo tedesco della Polinesia francese e divieto di farvi ritorno in seguito alla sua  partecipazione ad una manifestazione e divieto d'ingresso nella Nuova Caledonia.
  1. Caso  Vogt c. Repubblica federale di Germania, sentenza del 26 settembre  1995,   violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: licenziamento  d'una insegnante della funzione pubblica in seguito alle sue  attività politiche in seno al Partito comunista tedesco.
  1. Caso  Hertel c. Svizzera, sentenza del 25 agosto 1998, violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: divieto fatto ad un privato di sostenere  la nocività per la salute umana dell’assunzione di alimenti preparati nei  forni à micro-onde, in risposta alla pubblicazione d’un articolo.
  1. Caso  Hashman e Harrup c.  Regno-Unito, sentenza  del  25 novembre  1999, violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: condanna dei ricorrenti al pagamento di una multa per comportamento contrario al buon costume, in quanto disapprovato dalla maggioranza dei cittadini, per aver sabotato e disturbato le attività venatorie di alcuni cacciatori, mettendo in  pericolo la vita dei cani da caccia.
  1. Caso  Refah Partisi, Erbakan, Kazan e Tekdal c. Turchia, sentenza del 31 luglio 2001, (ricorsi n° 41340/98 & 41342-4/98),  non-violazione dell’articolo 9 (libertà di religione) della Convenzione nella seguente fattispecie:  divieto perun partito e progetto politico specifico che aveva manifestato anche l’intento di ricorrere alla forza al fine di  conquistare il potere e di mantenerlo, per imporvi l’applicazione della legge islamica (la Shari’a)  e per ristrutturare gli stessi principi costituzionali sulla discriminazione nei confronti delle altre credenze religiose.

 

SENTENZE DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SULLA RADIO, TELEVISIONE, CINEMA

  1. Caso  Autronic AG c. Svizzera, sentenza del 22 maggio 1990,   violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: rifiuto del Ministero delle Poste svizzere  per difetto di concessione dello Stato, di autorizzare una società specializzata nell’elettronica domestica a ricevere, a mezzo di  una antenna parabolica privata, dei programmi televisivi non codificati destinati al pubblico in generale e provenienti da  un satellite sovietico di telecomunicazioni. 
  1. Caso   Informationsverein Lentia ed altri c.  Austria, sentenza  del  24 novembre 1993, violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie:   impossibilità di fornire  dei servizi privati di radio o di televisione a  causa del monopolio detenuto dall'organismo austriaco di radiodiffusione ORF.
  1. Caso  Otto-Preminger-Institut c. Austria, sentenza  del 20 settembre  1994,  non-violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie:    sequestro e confisca d'un film considerato come blasfema dai tribunali austriaci.
  1. Caso  Radio ABC c. Austria, sentenza  del 20 ottobre  1997, violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie:  rifiuto d'autorizzare la creazione d'una radio locale in seguito al vecchio monopolio esistente prima dei cambiamenti apportati alla legislazione.
  1. Caso  Tele 1 Privatfernsehgesellschaft Mbh  c. Austria, sentenza  del 21 Settembre 2000, (ricorso n. 32240/96), violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: nel periodo dal 30 Novembre 1993 fino al 1° Agosto 1996, vi era stato un illegittimo monopolio pubblico (detenuto dall'organismo austriaco di radiodiffusione ORF) che aveva impedito ad una televisione privata di ottenere una licenza di trasmissione .
  1. Caso  Vgt Verein Gegen Tierfabriken c. Svizzera, del 28 giugno 2001  (ricorso n. 24699/94), violazione dell’articolo 10 della Convenzione nella seguente fattispecie: rifiuto di diffondere per televisione la pubblicità dell’associazione ricorrente che intendeva partecipare al dibattito generale in corso sulla protezione degli animali d’allevamento e contro la sperimentazione animale e l’allevamento in batteria. Lo scenario mostrava aspetti crudi e cruenti dell’allevamento dei suini, il commento rievocava i campi de concentramento  e si precisava che gli animali erano imbottititi di medicinali.

 


[1] Ad esempio sulla questione del diritto alla autodeterminazione del popolo kurdo, la Corte Europea ha osservato che anche se un simile progetto politico fosse considerato incompatibile con i principi  e le attuali strutture dello Stato turco, ciò non lo rendeva  contrario alle regole democratiche. Risiede nell’essenza della democrazia il permettere la proposta e la discussione di progetti politici diversi, anche quelli che rimettono  in causa l’assetto organizzativo attuale di uno Stato, purché tali progetti non mirino ad attentare alla stessa democrazia e siano proposti nel rispetto delle regole democratiche, in maniera pacifica ed equa, senza incitare all’uso della violenza, né alla resistenza armata, né alla rivolta violenta.

[2] Per una più ampia prospettiva della giurisprudenza della Corte europea sulla libertà religiosa,  vedi: BELGIORNO de STEFANO Maria Gabriella, Foulard Islamico e Corte Europea dei Diritti dell’uomo, in Rivista della Cooperazione Giuridica Internazionale, Anno III n.9 sett./dic. 2001 pag.73 ss.

[3] Una fattispecie eclatante di tale ipotesi si ricava dal caso  Özgür Gündem c. Turchia, sentenza  del 16 marzo 2000,  dove la Corte Europea ha dichiarato la violazione dell’articolo 10 della Convenzione, avendo accertato in fatto l’omessa adozione di misure positive di protezione dei giornalisti, del personale e dei distributori di un giornale  sostenitore del Partito PKK, a fronte di aggressioni sistematiche, generalizzate ed anche violente , con morti e di sparizioni ed omesse indagini di polizia su tali fatti criminosi, nonché di perquisizioni ed arresti e condanne penali dei giornalisti. Questo accumulo di eventi aveva costretto il giornale alla sua chiusura.

[4] Tra le tante, vedi la Dichiarazione sulla libertà d'espressione e  d'informazione, adottata il 29 aprile 1982, nella 70ma Sessione del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa. Vedi la Convenzione Europea sulla Televisione Transfrontaliera, adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa il 15 marzo 1989 (entrata in vigore il 1° maggio 1993) ed il suo Protocollo di emendamento, adottato dal Comitato dei Ministri il 9 settembre 1998. Vedi la Raccomandazione n° R (96) 4 e la Dichiarazione sulla Protezione dei giornalisti in situazione di conflitto e di tensione, adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa del 3 maggio 1996. Vedi laRaccomandazione n° R (96) 10 sulla Garanzia dell'indipendenza del servizio pubblico della radiodiffusioneadottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa dell’11 settembre 1996. Vedi  la  Raccomandazione n° R (99) 1 sulle Misure tendenti a promuovere il pluralismo dei media, adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa del 19 gennaio 1999. Vedi  la Raccomandazione n° R (99) 15 sulle Misure relative alla Copertura delle  Campagne Elettorali da parte dei media, adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa del 19  settembre 1999 nella 678ma Sessione del Comitato dei Ministri.

 

[5]  1) Prima Conferenza Ministeriale Europea   (Vienna, 9-10 Dicembre 1986): The future of television in Europe (L'avenir de la télévision en Europe); 2) SecondaConferenza Ministeriale Europea   (Stoccolma, 23-24 novembre 1988): European Mass Media Policy in an international context (Politique européenne des communications de masse dans un contexte international); 3) Terza Conferenza Ministeriale Europea   (Nicosia,  (9-10 ottobre 1991): Which way forward for Europe's media in the 1990 ? (Quel avenir pour les media en Europe dans les années 1990 ?)4) Quarta Conferenza Ministeriale Europea      (Praga, 7-8 dicembre 1994): The media in a democratic society (Les media dans une société démocratique)5) Quinta Conferenza Ministeriale Europea   (Tessalonica, 11-12 dicembre 1997): The Information Society: a challenge for Europe (La Société de l'Information: un défi pour l'Europe); 6) Sesta Conferenza Ministeriale Europea   (Cracovia, 15-16 giugno 2000): A media policy for tomorrow.

[6] Vedi anche per un più ampio panorama in dottrina,  Augusto SINAGRA, La disciplina comunitaria del settore televisivo, con riguardo all’ordinamento italiano, Giuffré Editore, , Milano,2001, pag.1/ 215.