Lituania

 

 

 

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Strasburgo)

 CASO  JASIUNIENE  contro LITUANIA

SENTENZA del 06 marzo 2003   Ricorso n°  41510/98

Violazione  dell'articolo 1 del Protocollo  n°. 1 (protezione della proprietà) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, per la mancata esecuzione da parte delle autorità amministrative di una sentenza del tribunale che aveva disposto di scegliere la forma di compensazione da proporre alla ricorrente, a seguito della nazionalizzazione e della distruzione della  proprietà della sua defunta madre da parte delle autorità sovietiche. Equa soddisfazione liquidata in 9.000 (novemila) Euro per il danno morale.

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Strasburgo)

 CASO  JASIUNIENE  contro LITUANIA

SENTENZA del 06 marzo 2003   Ricorso n°  41510/98

TERZA SEZIONE

(traduzione non ufficiale del comunicato stampa a 
cura dell’avv. Maurizio de Stefano)

La ricorrente, Stase Jasiuniene, è una cittadina  lituana, nata nel 1923 e residente  in Palanga. La sua defunta  madre aveva posseduto una casa in una cittadina turistica balneare del Mar Baltico. In conseguenza dell'occupazione sovietica della Lituania nel  1940, il terreno venne  nazionalizzato e la casa è stata demolita negli anni sessanta. Il Consiglio municipale della  città di Palanga con provvedimento del 25 settembre 1992 dispose il reintegro dei diritti  della ricorrente e della sua sorella sul terreno della loro madre. Tuttavia il provvedimento non venne attuato e nessun indennizzo fu versato.

Nel gennaio 1995 la ricorrente iniziò una azione giudiziaria contro l'autorità locale al fine del recupero del  terreno.  Il tribunale distrettuale ha rigettato la sua domanda, ma ha ritenuto che alla ricorrente avrebbe dovuto essere offerta un’altra porzione di terreno a titolo di compensazione. La ricorrente  fece appello. La corte regionale  il 3 aprile 1996 annullò la sentenza del Tribunale del distretto ed rimise il caso di nuovo all'autorità locale. La ricorrente ha rifiutato l’offerta di un’altra porzione di terreno che le era stata proposta in cambio. La ricorrente diede istruzioni agli ufficiali giudiziari di mettere in  esecuzione la sentenza del tribunale regionale, ma questi non furono in grado di  farlo. Il governatore  della contea informò la ricorrente che se non avesse scelto un’altra porzione di terreno, gliene sarebbe assegnata una senza il suo consenso. Il 31 dicembre 1997, la ricorrente si lamentò presso il Primo ministro che le porzioni alternative di terreno propostele  si trovavano alla periferia  di Palanga e quindi  erano di valore inferiore a quello che possedeva sua madre.

La ricorrente venne informata il 30 agosto 1999 che ella stessa non era riuscita a dimostrare che sua madre fosse  proprietaria  della porzione in questione e che nessuna decisione poteva essere presa in materia di indennizzo fintanto che una simile prova non fosse stata addotta.

La ricorrente deduceva  che la nazionalizzazione e la distruzione della  proprietà della sua defunta madre da parte delle autorità sovietiche, così come il fatto che le autorità lituane non le avessero  restituito la proprietà né liquidato un indennizzo, avevano comportato una violazione dell'articolo 1 del Protocollo  n°. 1 (protezione della proprietà), preso da solo e combinato con l'articolo 14 (divieto di discriminazione). La ricorrente lamentava inoltre che la mancata esecuzione della sentenza del tribunale regionale  del 3 aprile 1996 ha violato gli articoli 6 (diritto ad un equo processo) e 13 (diritto ad un ricorso effettivo).

La Corte europea dei Diritti dell'Uomo ha ripetuto che il diritto ad un tribunale consacrato nell’articolo 6 della Convenzione sarebbe illusorio se una sentenza definitiva non fosse posta in esecuzione a detrimento di una parte. Il tribunale  regionale non aveva negato il merito della rivendicazione della ricorrente riguardo a dei beni, ma si è limitato a demandare alle autorità di scegliere la forma di compensazione da proporre alla ricorrente. Non avendo eseguito la sentenza di questa giurisdizione, le autorità lituane hanno privato l'articolo 6 paragrafo 1 della Convenzione di ogni utile effetto. Vi è stata di conseguenza una violazione di quell'articolo. Non è necessario statuire sulla doglianza fondata sull'articolo 13 perché le esigenze di questa disposizione sono assorbite da quelle dell'articolo 6, paragrafo 1.

La Corte ha precisato che essa non ha competenza per esaminare la doglianza della ricorrente circa la nazionalizzazione del  terreno e della distruzione della  casa della sua defunta madre perché  la doglianza  è riferita a degli eventi anteriori alla data dell'entrata in vigore della Convenzione e del Protocollo n° 1 riguardo alla Lituania. Non vi è stata  quindi  a questo titolo  la violazione dell'articolo 1 del Protocollo n° 1, preso da solo o combinato  con l'articolo 14 della Convenzione.

Per quanto concerne la doglianza della ricorrente secondo cui essa non ha potuto recuperare il terreno in questione in seguito alla restaurazione dello Stato lituano, la Corte  ripete che la Convenzione non garantisce, come tale, il diritto  alla restituzione dei beni.

La speranza di vedere rivivere  un diritto di proprietà da lungo tempo estinto non potrebbe essere considerato come "un bene" per gli scopi dell'articolo 1 del Protocollo  n° 1. Appare chiaro che la ricorrente non aveva alcuna speranza  legittima di recuperare il terreno in base alla legislazione interna  applicabile e che le autorità erano obbligate soltanto di fornirle una compensazione sotto forma di terra o soldi. L'articolo 1 del Protocollo n° 1 alla Convenzione non è quindi applicabile a questa doglianza.

Poiché l'articolo 14 non può essere invocato isolatamente, non  è nemmeno applicabile. Non vi è stata quindi la violazione per questo titolo dell'articolo 1 del Protocollo n° 1, preso da solo o combinato  con l'articolo 14. Per quanto riguarda la non esecuzione della sentenza del tribunale regionale da parte delle autorità, la Corte ripete che un diritto può considerarsi un bene per gli scopi dell'articolo 1 del Protocollo  n° 1 se questo è sufficientemente stabilito per poter essere messo in esecuzione. La sentenza del tribunale regionale aveva riconosciuto alla ricorrente un diritto esecutivo assimilabile ad un bene.

L’impossibilità in cui la ricorrente si è trovata di ottenere l’esecuzione della sentenza dunque ha costituito un'ingerenza nel suo diritto al rispetto dei beni. Le autorità nazionali hanno impedito alla ricorrente di ottenere la compensazione che essa poteva ragionevolmente sperare di ottenere ed il governo non ha fornito alcuna spiegazione plausibile per giustificare questa ingerenza.

Pertanto, la Corte dichiara all'unanimità che vi è stata una violazione dell'articolo 1 del Protocollo  n° 1 alla Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo riguardo alla non-esecuzione della sentenza del tribunale regionale ed ha assegnato alla ricorrente 9.000 euro (EUR) per danno materiale. Essa conclude tuttavia che questa violazione non ha provocato alcuna discriminazione nei riguardi dell’interessata. (la sentenza è soltanto in inglese.)

 

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Strasburgo)

 CASO  JASIUNIENE  contro LITUANIA

SENTENZA del 06 marzo 2003   Ricorso n°  41510/98

Violazione  dell'articolo 1 del Protocollo  n°. 1 (protezione della proprietà) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, per la mancata esecuzione da parte delle autorità amministrative di una sentenza del tribunale che aveva disposto di scegliere la forma di compensazione da proporre alla ricorrente, a seguito della nazionalizzazione e della distruzione della  proprietà della sua defunta madre da parte delle autorità sovietiche. Equa soddisfazione liquidata in 9.000 (novemila) Euro per il danno morale.

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Strasburgo)

 CASO  JASIUNIENE  contro LITUANIA

SENTENZA del 06 marzo 2003   Ricorso n°  41510/98

TERZA SEZIONE

(traduzione non ufficiale del comunicato stampa a 
cura dell’avv. Maurizio de Stefano)

La ricorrente, Stase Jasiuniene, è una cittadina  lituana, nata nel 1923 e residente  in Palanga. La sua defunta  madre aveva posseduto una casa in una cittadina turistica balneare del Mar Baltico. In conseguenza dell'occupazione sovietica della Lituania nel  1940, il terreno venne  nazionalizzato e la casa è stata demolita negli anni sessanta. Il Consiglio municipale della  città di Palanga con provvedimento del 25 settembre 1992 dispose il reintegro dei diritti  della ricorrente e della sua sorella sul terreno della loro madre. Tuttavia il provvedimento non venne attuato e nessun indennizzo fu versato.

Nel gennaio 1995 la ricorrente iniziò una azione giudiziaria contro l'autorità locale al fine del recupero del  terreno.  Il tribunale distrettuale ha rigettato la sua domanda, ma ha ritenuto che alla ricorrente avrebbe dovuto essere offerta un’altra porzione di terreno a titolo di compensazione. La ricorrente  fece appello. La corte regionale  il 3 aprile 1996 annullò la sentenza del Tribunale del distretto ed rimise il caso di nuovo all'autorità locale. La ricorrente ha rifiutato l’offerta di un’altra porzione di terreno che le era stata proposta in cambio. La ricorrente diede istruzioni agli ufficiali giudiziari di mettere in  esecuzione la sentenza del tribunale regionale, ma questi non furono in grado di  farlo. Il governatore  della contea informò la ricorrente che se non avesse scelto un’altra porzione di terreno, gliene sarebbe assegnata una senza il suo consenso. Il 31 dicembre 1997, la ricorrente si lamentò presso il Primo ministro che le porzioni alternative di terreno propostele  si trovavano alla periferia  di Palanga e quindi  erano di valore inferiore a quello che possedeva sua madre.

La ricorrente venne informata il 30 agosto 1999 che ella stessa non era riuscita a dimostrare che sua madre fosse  proprietaria  della porzione in questione e che nessuna decisione poteva essere presa in materia di indennizzo fintanto che una simile prova non fosse stata addotta.

La ricorrente deduceva  che la nazionalizzazione e la distruzione della  proprietà della sua defunta madre da parte delle autorità sovietiche, così come il fatto che le autorità lituane non le avessero  restituito la proprietà né liquidato un indennizzo, avevano comportato una violazione dell'articolo 1 del Protocollo  n°. 1 (protezione della proprietà), preso da solo e combinato con l'articolo 14 (divieto di discriminazione). La ricorrente lamentava inoltre che la mancata esecuzione della sentenza del tribunale regionale  del 3 aprile 1996 ha violato gli articoli 6 (diritto ad un equo processo) e 13 (diritto ad un ricorso effettivo).

La Corte europea dei Diritti dell'Uomo ha ripetuto che il diritto ad un tribunale consacrato nell’articolo 6 della Convenzione sarebbe illusorio se una sentenza definitiva non fosse posta in esecuzione a detrimento di una parte. Il tribunale  regionale non aveva negato il merito della rivendicazione della ricorrente riguardo a dei beni, ma si è limitato a demandare alle autorità di scegliere la forma di compensazione da proporre alla ricorrente. Non avendo eseguito la sentenza di questa giurisdizione, le autorità lituane hanno privato l'articolo 6 paragrafo 1 della Convenzione di ogni utile effetto. Vi è stata di conseguenza una violazione di quell'articolo. Non è necessario statuire sulla doglianza fondata sull'articolo 13 perché le esigenze di questa disposizione sono assorbite da quelle dell'articolo 6, paragrafo 1.

La Corte ha precisato che essa non ha competenza per esaminare la doglianza della ricorrente circa la nazionalizzazione del  terreno e della distruzione della  casa della sua defunta madre perché  la doglianza  è riferita a degli eventi anteriori alla data dell'entrata in vigore della Convenzione e del Protocollo n° 1 riguardo alla Lituania. Non vi è stata  quindi  a questo titolo  la violazione dell'articolo 1 del Protocollo n° 1, preso da solo o combinato  con l'articolo 14 della Convenzione.

Per quanto concerne la doglianza della ricorrente secondo cui essa non ha potuto recuperare il terreno in questione in seguito alla restaurazione dello Stato lituano, la Corte  ripete che la Convenzione non garantisce, come tale, il diritto  alla restituzione dei beni.

La speranza di vedere rivivere  un diritto di proprietà da lungo tempo estinto non potrebbe essere considerato come "un bene" per gli scopi dell'articolo 1 del Protocollo  n° 1. Appare chiaro che la ricorrente non aveva alcuna speranza  legittima di recuperare il terreno in base alla legislazione interna  applicabile e che le autorità erano obbligate soltanto di fornirle una compensazione sotto forma di terra o soldi. L'articolo 1 del Protocollo n° 1 alla Convenzione non è quindi applicabile a questa doglianza.

Poiché l'articolo 14 non può essere invocato isolatamente, non  è nemmeno applicabile. Non vi è stata quindi la violazione per questo titolo dell'articolo 1 del Protocollo n° 1, preso da solo o combinato  con l'articolo 14. Per quanto riguarda la non esecuzione della sentenza del tribunale regionale da parte delle autorità, la Corte ripete che un diritto può considerarsi un bene per gli scopi dell'articolo 1 del Protocollo  n° 1 se questo è sufficientemente stabilito per poter essere messo in esecuzione. La sentenza del tribunale regionale aveva riconosciuto alla ricorrente un diritto esecutivo assimilabile ad un bene.

L’impossibilità in cui la ricorrente si è trovata di ottenere l’esecuzione della sentenza dunque ha costituito un'ingerenza nel suo diritto al rispetto dei beni. Le autorità nazionali hanno impedito alla ricorrente di ottenere la compensazione che essa poteva ragionevolmente sperare di ottenere ed il governo non ha fornito alcuna spiegazione plausibile per giustificare questa ingerenza.

Pertanto, la Corte dichiara all'unanimità che vi è stata una violazione dell'articolo 1 del Protocollo  n° 1 alla Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo riguardo alla non-esecuzione della sentenza del tribunale regionale ed ha assegnato alla ricorrente 9.000 euro (EUR) per danno materiale. Essa conclude tuttavia che questa violazione non ha provocato alcuna discriminazione nei riguardi dell’interessata. (la sentenza è soltanto in inglese.)