sentenza 28 novembre 2002

Cassazione italiana . sezione prima civile - sentenza 28 novembre 2002, n. 16882. Volpe C. Min. giustizia Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001. Durata del processo penale .

   

Il riconoscimento del diritto all'equa riparazione, previsto dall'articolo 2 della citata legge 89/2001, prescinde dall'esistenza di negligenze e, in genere, di "colpe" dei soggetti investiti della definizione del processo, il cui protrarsi "irragionevole" assume quindi rilievo anche quando dipenda da disfunzioni o carenze di carattere generale ed obiettivo.
Ai fini del diritto all'equa riparazione, l'apprezzamento in ordine alla ragionevolezza della durata di un singolo processo non può essere semplicemente correlato alla "normale" durata dei processi dello stesso tipo, dovendosi computare anche i tempi ricollegabili a vicende "tipiche", ipotizzabili anche rispetto ad altri processi analoghi, e, tra questi, il tempo impiegato per la risoluzione dell'incidente di costituzionalità.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
SEZIONE PRIMA CIVILE 
composta dai signori: 
dott. Antonio SAGGIO presidente 
dott. Alessandro CRISCUOLO consigliere 
dott. Mario Rosario MORELLI consigliere 
dott. Giuseppe MARZIALE cons. relatore 
dott. Giuseppe Maria BERRUTI consigliere 
ha pronunciato la seguente: 
SENTENZA 
sul ricorso proposto da: 
PIETRO VOLPE elettivamente domiciliato in Roma, Via Marcantonio Colonna n. 28, presso l'avv. Alfredo Irti, che con l'avv. Alfredo Retico del Foro di Avezzano, che lo rappresenta e difende in virtù di procura in calce al ricorso; 
- ricorrente -
contro 
MINISTRO DELLA GIUSTIZIA; 
- intimato -
avverso il decreto della Corte d'appello di Campobasso n. 53/01 del 16 ottobre 2001. 
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18 giugno 2002 dal relatore cons. dott. Giuseppe Marziale; 
Udito, per il Ministero della Giustizia, l'avvocato dello Stato Palatiello; 
Udito il P. M., in persona del sostituto procuratore generale dotta Guido Raimondi, il quale ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
Ritenuto in fatto 
- che, con atto depositato l'8 agosto 2001, il signor Pietro Volpe proponeva, in riassunzione di quello a suo tempo depositato presso la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, ricorso contro il Ministro della Giustizia ai sensi dell'art. 2, legge 24 marzo 2001, n. 89, chiedendone la condanna al pagamento della somma di L. 500.000.000 di lire, a titolo di "equa riparazione" dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a causa dell'eccessiva durata di un processo penale attivato nei suoi confronti con l'accusa di essersi, quale presidente del Nucleo Industriale di Avezzano, reso colpevole del delitto di concussione per aver indotto alcuni imprenditori a versargli la somma di L. 30.000.000, deducendo: 
- che la vicenda processuale, iniziata il 21 ottobre 1992 con il suo arresto da parte della Guardia di Finanza di Avezzano per l'accusa sopra specificata, si era conclusa il 17 febbraio 2000 quando era stato assolto con formula piena dal Tribunale di Avezzano; 
- che il suo rinvio a giudizio era stato disposto fin dal 3 febbraio 1993, fissando la data del 19 marzo per l'udienza preliminare; 
- che in tale occasione l'imputazione venne derubricata in quella di abuso d'ufficio; 
- che il dibattimento, pur essendo stato fissato per il 18 novembre 1993, ebbe concretamente inizio solo il 27 gennaio 2000, per una serie di rinvii, non sempre giustificati, dovuti al fatto che il suo processo pur apparendo di agevole soluzione, era stato riunito a quello a carico a carico di altri soggetti; 
- che la pronuncia di assoluzione, emessa in primo grado, non era stata impugnata dal P. M. ed era quindi divenuta irrevocabile; 
- che tale abnorme protrarsi del processo (sette anni e mezzo per un solo grado di giudizio) aveva avuto pesanti ripercussioni sul piano patrimoniale e su quello morale; 
- che la Corte territoriale, muovendo dall'assunto che la "ragionevolezza" della durata del processo deve essere valutata in relazione a quella (normalmente) impiegata per la trattazione di casi analoghi, ha respinto la domanda sul duplice rilievo: 
- che la durata del processo era stata; quanto meno in parte, giustificata e, come tali 
"non irragionevole", perché determinata da vicende (dichiarazione di nullità del primo decreto di citazione a giudizio, riunione dei processi, istanza di ricusazione, astensione degli avvocati; incidente di costituzionalità) che avrebbero potuto verificarsi "in tutti gli altri processi analoghi"; 
- che altri ritardi - in particolare, quelli dipesi: a) dall'aver rinviato di circa un anno (dal 18 novembre 1993 al 13 ottobre 1994) la data della prima udienza; b) dall'aver lasciato decorrere un lasso di tempo di pari durata tra il decreto di citazione (22 settembre 1995) e l'udienza dibattimentale (10 ottobre 1996) - non apparivano, a prima vista, "ragionevoli", ma la loro incidenza causale, rispetto ai danni lamentati, non era stata adeguatamente dimostrata; 
- che il ricorrente chiede la cassazione di tale decisione con due motivi di ricorso; 
- che il Ministro della Giustizia, non ha depositato controricorso di Messina (*), ma è intervenuto nella discussione orale, con la rappresentanza dell'Avvocatura dello Stato, che ha chiesto la reiezione del gravame.
Motivi della decisione 
Considerato in diritto 
- che con due motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente in quanto connessi, il ricorrente - denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 2, primo comma, della legge 24 marzo 2001, n. 89, in relazione all'art. 6, primo paragrafo della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, ratificata con la legge 4 agosto 1955, n. 848 (d'ora innanzi: Convenzione); nonché vizio di motivazione - deduce: 
- che l'assunto, secondo cui la "ragionevolezza" della durata del processo dovrebbe essere valutata in relazione a quella "normalmente" occorrente per la definizione di casi analoghi, posto dalla Corte territoriale a fondamento del rigetto della domanda di equa riparazione, è giuridicamente errato, dovendo la sussistenza di tale requisito essere valutata, per espressa previsione di legge, solo in relazione alla complessità del caso, al comportamento delle parti e del giudice del procedimento, "nonché" al comportamento "di ogni altra autorità chiamata a concorrervi o a comunque contribuire alla sua definizione"; 
- che la motivazione della decisione impugnata è inoltre per più versi viziata perché insufficiente e contraddittoria; 
- che le asserite carenze della motivazione, pur essendo ammissibili, dovendo ritenersi che il regime dell'impugnazione prevista avverso il decreto emesso dalla Corte d'appello ai sensi dell'art. 2, legge 89/01, sia quello ordinario, sono tuttavia prive di fondamento, posto che: 
- la denunziata contraddittorietà (fondata sul rilievo che la domanda è stata respinta in ogni sua parte pur essendosi riconosciuto che i ritardi lamentati erano almeno in parte ingiustificati) è insussistente, in quanto, come si ricava chiaramente dal decreto impugnato, la pronuncia di rigetto è stata in tal caso determinata dalla considerazione che l'interessato non aveva fornito la prova dell'incidenza causale di tali ritardi sui danni lamentati); 
- che le altre inadeguatezze, derivanti, secondo il ricorrente, dall'omessa considerazione della stasi processuale subita dal processo a partire dal novembre 1993 e per circa un quinquennio, sono del pari inesistenti, dal momento che la Corte territoriale, contrariamente a quei che si assume, ha invece considerato tali ritardi, giudicandoli in parte "irragionevoli" e giungendo ad opposte conclusioni (ma, come si dirà tra breve, sulla base di considerazioni giuridicamente errate), per quelli riferibili al periodo di sospensione determinato dalla risoluzione della questione di costituzionalità;
- che con la ratifica della Convenzione, gli Stati hanno assunto l'obbligo di predisporre tutti gli strumenti atti ad assicurare una durata "ragionevole" dei processi, onde assicurare il rispetto del principio sancito dall'art. 6; primo paragrafo, della Convenzione (Corte europea dei diritti dell'uomo, 10 luglio 1984, Guincho; 25 giugno 1987, Baggetta; 26 ottobre 1988, Martins Moreira; 23 marzo 1994, Muti); 
- che detto principio è espressamente richiamato dall'art. 2, primo comma, della legge 89/01, in coerenza con l'art. 111; secondo comma, Cost., così come riformulato dall'art. 1, legge Cost. 23 novembre 1999; n. 2, che ha imposto al legislatore ordinario l'obbligo di assicurare la ragionevole durata del processo; 
- che il riconoscimento del diritto all'equa riparazione, previsto dall'art. 2 della citata legge 89/01, prescinde dall'esistenza di negligenze e, in genere, di "colpe" dei soggetti investiti della definizione del processo, il cui protrarsi "irragionevole" assume quindi rilievo anche quando dipenda da disfunzioni o carenze di carattere generale ed obbiettivo; 
- che, contrariamente a quel che si afferma nel decreto impugnato, l'apprezzamento sulla "ragionevolezza" della durata di un singolo processo non può pertanto essere correlato alla "normale" durata dei processi dello stesso tipo, poiché se così fosse, dovrebbe essere esclusa la rilevanza, ai fini che ne occupano, di ogni ritardo determinato da cause non specificamente riferibili a quello specifico procedimento, mentre è evidente che con le norme sopra indicate si é inteso garantire a ciascun individuo il diritto di ottenere, "entro il termine ... di cui all'art. 6, primo paragrafo, della Convenzione, la decisione definitiva della controversia" e che lo Stato è tenuto a rendere effettiva tale garanzia, organizzando il sistema giudiziario in modo da porre i giudici in grado di soddisfare questa esigenza (Corte europea dei diritti dell'uomo 24 maggio 1991, Vocaturo; 27 febbraio 1992, Vorrasi); 
- che, conseguentemente, non vi è quindi dubbio che anche i ritardi ricollegabili a vicende "tipiche" e, come tali, ipotizzabili anche rispetto ad altri processi analoghi debbano essere ricompreso nella durata complessiva del processo, da prendere in considerazione ai fini del giudizio di "ragionevolezza"; 
- che è del pari indubbio che in tale calcolo debba essere computato anche il tempo impiegato per la risoluzione dell'incidente di costituzionalità, dal momento che la relativa decisione, pur non riguardando direttamente il "merito" della controversia, concerne una questione che, rispetto alla sa definizione, assume carattere "pregiudiziale" (art. 23, secondo comma, legge 11 marzo 1953, n. 87; v., altresì, Corte europea, 29 maggio 1986, Deumeland); 
- che il ricorso deve essere, pertanto, entro tali limiti, accolto; 
- che il decreto impugnato va conseguentemente cassato, con rinvio della causa alla Corte d'appello di Campobasso in altra composizione, che si atterrà ai principi di diritto sopra enunciati e provvederà, inoltre, alla liquidazione delle spese della presente fase.
P. Q. M.
La Carte di cassazione accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese alla Corte d'appello di Campobasso in altra composizione. 
Così deciso, in Roma, il 18 giugno 2002. 
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 28 NOV. 2002 /16882